La sintesi della commissione diocesana sulle relazioni pervenute dalle prefetture

Di seguito pubblichiamo l’intervento che don Paolo Asolan, professore all’Istituto “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense, ha tenuto lunedì 14 maggio all’assemblea diocesana, a cui è intervenuto Papa Francesco. Don Asolan ha sintetizzato il lavoro svolto dalla commissione diocesana sulle relazioni pervenute dalle prefetture.

Per abbozzare una sintesi del cammino compiuto durante la Quaresima dalle parrocchie, ci può forse aiutare una ripresa del tema delle malattie spirituali, ponendole in analogia con quelle corporali, le quali sono sempre la rottura dell’equilibrio funzionale in un organismo.
Per l’organismo che la Comunità Cristiana è (ed è chiamata ad essere), l’equilibrio funzionale buono é dato dalla reciprocità costitutiva della sua vita ad intra (= il suo impegno di edificazione della Comunità) e ad extra (= la sua missione e il suo servizio al mondo). Papa Giovanni, nel radiomessaggio dell’11 settembre 1962, disse che compito del Concilio doveva essere quello di affrontare entrambe queste sfide. Papa Francesco, con Evangelii Gaudium, ci chiede di strutturare l’ad intra alla luce dell’ad extra: cioè in chiave missionaria, perché la Chiesa vive – e comprende se stessa – per la missione, per la diaconia al mondo.
Di fatto, l’obiettivo ultimo delle domande era quello di evidenziare cosa frena in noi il dinamismo evangelizzatore.

Proviamo qui a collocare le malattie emerse/diagnosticate riconoscendole come rottura di questa reciprocità e di questo rapporto organico, che porta al cattivo funzionamento dell’organismo stesso.
Ci rifacciamo, sommariamente e solo per essere meglio illuminati a comprendere che passi di guarigione prevedere da qui in avanti, alle quattro possibili cause di una malattia, che si presenta

* o per la presenza di qualcosa “in più” nell’organismo (batteri, sostanze estranee, virus, lo stesso ossigeno assunto in quantità eccessiva…)

* o per l’assenza di qualcosa che é “in meno” rispetto alle esigenze del buon funzionamento dell’organismo (sottraendo ossigeno, sangue, enzimi… come avviene per carenza di elementi vitali come acqua, cibo, vitamine…)

* o per malattie autoimmuni (quando per difendersi da qualcosa, l’organismo produce risposte immunitarie anomale dirette contro componenti dell’organismo stesso, determinando alterazioni funzionali, come nel diabete o nelle sclerosi…)

* o per decadimento funzionale (quando uno o più sistemi nell’organismo vengono meno alla propria funzione: Alzheimer, demenza…).

La ricchezza di dati e di osservazioni è, grazie a Dio, proprio una ricchezza, irriducibile in poche pagine. Tuttavia, appare chiaro l’emergere di alcune costanti nelle risposte, che ci mettono di fronte ad un primo discernimento comunitario, entro il quale – pur con le dovute specificità – si riescono ad individuare alcune precise chiamate dello Spirito Santo alla conversione pastorale.
Una tale classificazione suppone le sei malattie sulle quali si era chiamati a verificarci (pessimismo, esclusione, etc), ma vorrebbe cercare già di individuare alcune radici. La rassegna è in ordine non ragionato.

A)
Presenza di qualcosa “in più” nell’organismo (batteri, sostanze estranee, virus, lo stesso ossigeno assunto in quantità eccessiva…):

– il benessere economico (anche relativo: ci sono situazioni di disagio economico crescente) e i soldi ottundono la vita spirituale in generale, cioè una vita che tiene nel suo orizzonte ciò che è immateriale. Il fattore economico (come anche la convenienza o la produttività) si sono largamente insediati come matrici di giudizio, al posto della fede e del Vangelo. Questa causa, peraltro, un grande senso di inutilità e di stanchezza (la stanchezza è lo stato d’animo più ricorrente), che viene dagli scarsi risultati pastorali nell’immediato.

– l’ipertrofia del soggetto, che stenta a viversi come persona-in-relazione, e che considera gli altri, il prossimo, come una relazione esterna e non necessaria. Non c’è coscienza e spesso nemmeno esperienza della necessità di appartenere al popolo di Dio per conoscerLo e essere partecipi della pienezza della vita. La dimensione sociale e comunitaria è tutta da ricostruire e rieducare, sia nella vita ecclesiale che in quella civile. La partecipazione dei singoli appare legata al sentire personale e alla compiacenza (verso i preti-guru), e così sembrano irrilevanti Gesù Cristo e la Chiesa.

– eccessivo senso di appartenenza nei confronti della propria comunità e/o esperienza di fede. Vi sono due conseguenze: il dramma (presente in tutte le schede!) di una mancanza di comunione davvero preoccupante. Si tratta forse della malattia più segnalata: le varie realtà ecclesiali non si sentono parte di un tutto (la parrocchia o la diocesi) e questo è a sua volta alla radice delle divisioni e della inconsistenza pastorale di molte proposte. La seconda conseguenza è che la missione o la formazione cristiana sono pensate come mera ripetizione della propria, consegnata ai più giovani, senza quindi una vera conoscenza di chi essi siano e di che cosa abbiano bisogno, di quale sia il contesto nel quale ora si trovano. Una prefettura segnala con una certa insistenza il problema costituito dal Cammino Neocatecumenale, a causa del quale questa frattura sembra essere particolarmente dolorosa.

– eccessivo numero di iniziative pastorali, molto frammentate e non organicamente pensate (“inutile moltiplicazione delle attività”), che non danno continuità (“si passa da un incontro all’altro senza meditarne i contenuti, da una proposta all’altra senza rimanerne coinvolti”). In alcuni casi, troppa programmazione (efficientismo), per cui lo spazio per la gratuità e il non preventivabile rimane scarso o del tutto assente. Ciò comporta una certa defigurazione del ministero pastorale, ridotto a volte a ruoli di pura gestione e coordinamento, senza che si viva una paternità/generatività spirituale. Più in generale, si registra una centratura ancora troppo decisiva sul prete in ordine alle attività pastorali, intese sempre come attività ad intra.

– in generale una malattia comune praticamente a tutte le schede è quella della frenesia, cioè di una gestione del tempo vissuto come un tiranno, che non consente altro che una vita alienata e lontana dal Signore e dai fratelli. L’organizzazione del tempo riempito di cose da fare è avvertito come una delle radici degli infiniti disagi ecclesiali, familiari e più in generale esistenziali. Ci si chiude alla bellezza e alla gratuità delle relazioni, che richiedono invece tempo.

– troppa connessione tecnologica e troppa immersione nei nuovi media rendono marginali l’annuncio verbale o scritto del Vangelo, l’appartenenza in carne e ossa alla comunità cristiana, il gusto di imparare la sapienza della fede (il sapere è dedotto da Google). La pervasività di questi mezzi concorre all’irrilevanze di autorevolezza della parola della fede. Le figure in autorità non sono quelle dei testimoni della fede o dei genitori, ma quelle enfatizzate dai media. Troppo sapere e troppe informazioni hanno preso il posto del Vangelo.

– troppe Messe e troppo schiacciamento sulle Messe anziché sull’evangelizzazione. La Messa non può continuare ad essere l’unica offerta pastorale. Al prete continuano ad essere richieste tante Messe e tanti adempimenti gestionali.

– una paura inibente di incontrare realtà difficili (i giovani “lontani”, ad esempio) o anche soltanto nuove. Questa paura determina un’eccessiva chiusura difensiva nelle attività intraecclesiali, e una sostanziale lontananza dalle questioni sociali, politiche o amministrative, non sentite come parte della missione del cristiano.

B)
Assenza di qualcosa che é “in meno” rispetto alle esigenze del buon funzionamento dell’organismo (sottraendo ossigeno, sangue, enzimi… come avviene per carenza di elementi vitali come acqua, cibo, vitamine…)

– il deficit più segnalato è senz’altro quello della conoscenza, della fraternità e della comunione tra di noi. Non c’è scheda che non registri in termini preoccupati una mancanza di familiarità, di senso di appartenenza. Gruppi e realtà ecclesiali vengono descritti sempre come chiusi tra di loro, tranne forse le eccezioni rappresentate dai gruppi caritativi. Ogni realtà pare procedere in ordine sparso: per contrasto lo si costata anche dall’entusiasmo che gli incontri di verifica hanno suscitato in chi ci ha partecipato, quasi che l’esperienza del pregare insieme e del parlarsi al di fuori del solito gruppo di appartenenza fosse il dono (o la realtà) cercata e non mai trovata.

– manca una prospettiva diocesana che faccia unità: si intuisce in più schede che il servizio dell’unità dev’essere sovra-parrocchiale e anche sovra-prefettizio. Questo servizio dovrebbe porsi in termini sussidiari e non sostitutivi o concorrenziali con le attività e i servizi che già svolgono le parrocchie. Si sente l’esigenza di avere degli obiettivi comuni, che ci facciano camminare insieme.

– alcune schede segnalano una sorta di endemica mancanza di simpatia/fraternità tra preti. E questo si vede.

– manca il tempo per l’impegno nelle attività pastorali (anche in quelle che pure saprebbero necessarie) e la cura delle relazioni: c’è un certo analfabetismo affettivo, un’incapacità di offrire amicizia (specie ai giovani)

– mancano tempi di preghiera (qualcuno aggiunge: “manca chi insegni a pregare”) e più a fondo ancora, mancano tempi di formazione sul/al Vangelo. L’esigenza della formazione di fede è molto segnalata: sia come intelligenza della fede stessa, sia di tutti quegli aspetti culturali e sociali che fanno l’ambiente umano nel quale viviamo e che appare respingere o ritenere inutile la fede e Gesù Cristo. C’è consapevolezza di non saper trarre dalla fede e dal Vangelo le risposte e gli orientamenti per la vita in un contesto come il nostro, fattosi plurale, indifferente e qualunquista. Manca nella nostra coscienza di fede un’antropologia cristiana davvero integrale. Non appare nelle schede l’idea che il cammino di fede consista in una formazione permanente, che dura tutta la vita: a parte alcune parrocchie, nelle quali questa scelta è stata fatta e ha portato buoni frutti e un risveglio anche nella partecipazione.
Mancano analisi kairologiche (cioè fatte dal punti di vista della fede e con categorie di fede) del territorio che organizzino una risposta comune tra parrocchie di uno stesso territorio.

– manca spesso un ricambio di responsabili delle attività: sia generazionale (siamo in presenza di strutture pastorali in genere costituitesi alcuni decenni fa: quando le generazioni che le hanno iniziate non ci saranno più, probabilmente spariranno anche le attività) che di durata (molte schede segnalano la radice delle malattie spirituali comunitarie nel fatto che alcuni laici siano da sempre responsabili di alcuni settori, e questo genera dei feudi – con tutte le rivalità del caso).

– mancano i poveri come parte della comunità e non solo come destinatari dei servizi caritativi. Bisogna aggiungere che la prassi caritativa è una delle realtà di cui tutti sono grati.

– in alcune comunità la mancanza dei giovani è un problema grave.

– mancano rapporti con l’Amministrazione circa i problemi cittadini che ci si trova a dover affrontare: siamo un popolo e invece ci comportiamo come un club privato. Manca l’offerta di una piattaforma di dialogo/confronto comune sui problemi che ha la gente. E se queste piattaforme ci sono, non partecipiamo.

– in alcune parrocchie (specie del settore Nord) manca la presenza fisica dei parrocchiani, che sono pendolari. La povertà territoriale incide anche sulla composizione della parrocchia e sulle attività che essa può fare.

C)
malattie autoimmuni (quando per difendersi da qualcosa, l’organismo produce risposte immunitarie anomale dirette contro componenti dell’organismo stesso, determinando alterazioni funzionali, come nel diabete o nelle sclerosi…)

– il pettegolezzo, la mormorazione e la critica malevola e vigliacca; di converso, la paura paralizzante delle critiche degli altri

– il disprezzo verso altre esperienze di fede diverse dalla nostra; l’appartenenza troppo rigida al proprio gruppo, che provoca fratture e mancanza di comunione; il senso di sconfitta quando le nostre attività non hanno funzionato

– la comunicazione difettosa o addirittura mancante tra di noi; assuefazione all’indifferenza e alla solitudine, interpretate come rispetto e desiderio di non disturbare

– introversione e incapacità di fare il primo passo, di riconoscere bellezza e interesse al di fuori di noi;

– autoreferenzialità dei percorsi formativi;

– enfatizzazione degli aspetti socio-caritativi della parrocchia, ridotta a sede di servizi di questo tipo, dove la fede non c’entra

– l’attaccamento ai metodi pastorali del passato, al “si è sempre fatto così” (si perpetua un’identità, senza comprendere che lo scopo della nostra vita è fuori di noi, non nel preservare noi stessi)

– disinteresse verso le iniziative diocesane, sentite come “altro” rispetto alla pastorale della parrocchia

– per i bisogni fondamentali della vita – bisogni di senso, di luce, di riconciliazione – i cristiani vanno dallo psicologo piuttosto che in parrocchia.

D)
decadimento funzionale (quando uno o più sistemi nell’organismo vengono meno alla propria funzione: Alzheimer, demenza…).

– il coinvolgimento in parrocchia più per risolvere problemi personali (solitudine, bisogno di gratificazioni personali) piuttosto che per vivere il vangelo

– la parrocchia diventata un’azienda di servizi, che moltiplica le attività senza corrispondente crescita spirituale; questo chiudersi/limitarsi alle attività provoca stanchezza e aridità; il parroco ridotto a manager, esecutore di progetti. L’impostazione parrocchiale com’è, non sostiene la vita spirituale, né del prete né dei laici

– quando le persone vengono viste solo come risorse-lavoro

– non c’è un senso trascendente in quello che facciamo

– la consegna di noi stessi agli algoritmi che plasmano le nostre identità

– una grande stanchezza: la vita si è fatta sempre più intensa e complicata

– difficile collaborazione con i religiosi

– non c’è rapporto strutturale/strutturato con il territorio

– non si ritiene per niente utile quello che si fa
– invecchiamento/spopolamento del Centro che ha bisogno di essere pastoralmente riconfigurato

– la crisi non tocca un aspetto o l’altro della fede, ma la possibilità stessa della fede

– approccio semplicistico (culturalmente debole) alla complessità nella quale siamo immersi

– gli scandali dei pastori provocano disorientamento e allontanamento, specie dei giovani

– Alzheimer spirituale: ossia la dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore, del “primo amore”

14 maggio 2018