Relazione di S.E. Mons. De Donatis presso Università La Sapienza – Roma, 20 aprile 2018

Università La Sapienza
Incontro a due voci con il Rettore Eugenio Gaudio
sul tema “Il coraggio delle scelte”
Relazione di S.E. Mons. De Donatis
Roma, 20 aprile 2018

Vorrei prendere spunto, per il mio intervento, dal libricino di Nerosfina (don Andrea Cavallini) “Infelici e contenti”, laddove si racconta la storia dell’asino del filosofo Buridano. Quest’asino ha la particolarità di essere intelligente, ma nonostante tutto viene messo a dura prova nel momento in cui viene a trovarsi equidistante tra due mucchi di fieno esattamente uguali. Indeciso su quale mucchio preferire, perché nella sua intelligenza vorrebbe scegliere il migliore, alla fine non mangia nessuno dei due e muore di fame! Questa simpatica, tragica, storia ci ricorda che evidentemente “scegliere” è fondamentale non solo per compiere determinate attività ma anzitutto per vivere. E altrettanto chiaramente si deduce che l’intelligenza da sola non è sufficiente per arrivare a fare delle scelte.
Cos’altro sia importante è riportato nel vangelo di Marco (Mc 10,17-30), nell’incontro tra Gesù e quel ricco che vorrebbe fare qualcosa per avere la vita eterna. Il ricco è bene intenzionato e ha fatto un suo iniziale discernimento, in quanto già osserva i comandamenti e si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono”. La posta in gioco è elevata, perché si tratta appunto della vita eterna. A un certo punto l’evangelista stringe l’inquadratura sugli occhi di Gesù, tenendo a sottolineare che «Fissatolo, lo amò». Non si tratta dunque di un fugace e distratto incrociarsi di sguardi, no: qui c’è la dinamica tipica dell’innamorato che ti scruta, ti degna di attenzione, ti stima e già desidera di volerti con sé. Non solo: da quello sguardo, che non sarà ricambiato, si capisce che in quell’incontro il primo a scegliere è stato Gesù.
Ecco: avere la consapevolezza dello sguardo personale d’amore del Maestro è ciò che più dovrebbe contare nel momento in cui ci si appresta a fare delle scelte. Se non si fosse motivati da questo amore divino, il rischio di rimanere immobili di fronte alle innumerevoli, succulente, proposte terrene diventerebbe una certezza. Non c’è nulla in questo mondo di duraturo nel tempo come lo sguardo di Gesù, senza il quale si dovrebbe scegliere ad esempio soltanto in base all’interesse per un obiettivo, oppure in balia dei sentimenti che, lo sappiamo, sono di un momento e ci costringerebbero a continui ripensamenti, al punto da creare una paralisi. In quello sguardo d’amore che ci ha creato, invece, ognuno di noi scorge il futuro della propria vita; solo in quell’incontro ravvicinato si può scoprire la chiamata di Dio e si può capire che ogni scelta autentica in realtà è una risposta.
Sosteneva Benedetto XVI in un messaggio del 2010 per la XXV Giornata mondiale della gioventù: «Gesù, invita il giovane ricco ad andare ben al di là della soddisfazione delle sue aspirazioni e dei suoi progetti personali, gli dice: “Vieni e seguimi!”. La vocazione cristiana scaturisce da una proposta d’amore del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d’amore: “Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest’invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo” (Benedetto XVI, Messaggio per la XXV Giornata della Gioventù, 4).
All’Amore occorre dunque rispondere con l’amore. Questa verità è ancor più chiara nell’incontro tra il Risorto e Pietro. A Gesù non interessa giudicare gli errori dell’apostolo che lo aveva rinnegato e abbandonato nel cammino verso la croce. La sete di amore che Gesù ha nei suoi e nei nostri riguardi va oltre ogni peccato, oltre ogni errore. Per ben tre volte il Signore chiede a Pietro: «Mi ami?» facendo seguire alla risposta dell’apostolo la conseguente missione: «Pasci i miei agnelli». E con questa dichiarazione di amore Pietro saprà tutto della propria vita futura: «In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: “Seguimi”» (Gv 21,15-19). Da quel momento Pietro non avrà più dubbi: seguirà Gesù dovunque il Maestro vorrà, in un cammino instancabile che lo porterà a Roma, su un’altra croce, a coronamento di una vita totalmente offerta al Signore. La scelta maturata nell’incontro sincero con Gesù e nel riconoscimento del suo amore incondizionato darà all’apostolo la forza di superare qualsiasi ostacolo e di non lasciarsi travolgere dalla paura.
A questo punto ci si potrebbe chiedere: “Ma allora chi riesce a scegliere, e lo fa pertanto nel disegno d’amore di Dio, sarà inevitabilmente destinato alla croce e alla morte?”. A motivo di questa domanda, chi si affida soltanto all’intelligenza rimane fermo come l’asino di Buridano, perché non riesce a capire con chiarezza quale sia la differenza tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre, tra il male e il bene. Chi invece si fida di Dio riesce ad andare oltre questo ragionamento e ad affrontare senza problemi anche la morte, sicuro che Dio è il Signore della vita e non lo abbandonerà a se stesso.
Ricorda a questo proposito il libro del Deuteronomio: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete» (Dt 30,15-17). Il peccato, ossia la lontananza dall’amore di Dio, confonde le idee e fa apparire la vita come se fosse la morte; a causa del peccato siamo portati a credere che Dio voglia per noi la morte: al contrario la Verità che è il Signore è l’unica via per la vita. Dio ci chiama, ci ama, ci chiede di seguirlo affinché noi possiamo vivere.
Del resto evidenzia Gesù nel vangelo di Giovanni: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25). Per scegliere la vita occorre mettere in conto il passaggio attraverso la morte. Diversamente ci si illuderà di vivere, ma di fatto si percorrerà una strada senza uscita che avrà come destinazione la solitudine, ossia la vera morte, quella che ognuno di noi cerca di evitare sin dalla nascita. A tal proposito l’evangelista Giovanni aggiunge: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14). Quindi paradossalmente se evitassimo di scegliere di amare per sperare di scampare al sacrificio e alla morte, finiremmo per incappare proprio in ciò da cui si vorrebbe fuggire.
Questa dinamica si esplica anche nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30). Nel racconto di Gesù tutti i servi ricevono alcuni talenti: chi dieci, chi cinque, chi uno. Tutti fanno fruttare i propri talenti tranne chi ne aveva ricevuto uno che, per paura, lo andò a sotterrare. Il padrone finirà per togliergli quel talento e condannarlo; ma in realtà potremmo dire che fu il servo stesso ad autocondannarsi per esser rimasto immobile con il suo talento, senza fare dunque alcuna scelta, rinunciando di fatto a vivere.
È quanto accade al giovane ricco, che si distrae dallo sguardo innamorato di Gesù, non investe su di Lui, rimane ancorato ai comandamenti, vissuti a questo punto soltanto per dovere, per formalità, e si allontana verso l’orizzonte della sopravvivenza. Si allontana triste, e non sarebbe potuto essere diversamente, perché avrà intuito da subito di aver perso l’occasione della sua vita, eppure condizionato dalle sue ricchezze non avrà avuto il coraggio di giocarsi, di andare oltre, di fidarsi di quel Maestro buono. Ormai la vita eterna e l’amore di Dio si sono ridotti a un mucchio di fieno al pari di tanti altri che non riuscirà a mangiare. Rinunciando a scegliere, quel ricco si ritroverà circondato solo da delusione, indifferenza, insoddisfazione. E in tale humus la tristezza non potrà che prendere il sopravvento immediatamente.
Nessuno di noi può considerarsi estraneo alla vicenda di questo ricco. Perché, anzi, la precarietà che stiamo vivendo nella nostra società alimenta ancora di più – rispetto alla sua situazione di benessere – la paura di rimanere poveri, di non riuscire a sopravvivere. Il Signore ama ciascuno di noi e ci prospetta un futuro dove non bisogna lottare per la sopravvivenza perché con Lui, anche senza niente, si ha tutto, si è nell’abbondanza, si vive già oggi la vita eterna, in quanto si è partecipi del Suo Amore, che oltrepassa l’indigenza, la violenza, la sofferenza. È importante allora aprirsi all’ascolto, accorgersi della presenza di Gesù, fidarsi di Lui, avere il coraggio di dargli retta, di sperare contro ogni speranza, di mettere in pratica quanto ci chiede, alla maniera in cui Lui si è fidato del Padre e ha fatto la Sua volontà fino in fondo, fino in cima al monte Calvario.
Prendiamo esempio dunque da Gesù. Nella scelta più importante della sua vita, quella che lo ha portato alla passione e alla morte, egli non si è tirato indietro, non è rimasto indifferente, non si è ribellato ma al contrario è stato risoluto e ha avuto la forza di andare avanti, sempre. Nel cammino verso il Golgota, quella che poteva sembrare la fine di un’avventura affascinante verrà a rivelarsi come l’inizio della nuova vita.
Ciò che maggiormente ha aiutato Gesù nella direzione della sua scelta è stato il riferimento costante alla Parola di Dio. Nella preghiera, innanzitutto, per la quale ricavava lungo tempo ogni giorno, malgrado i mille impegni quotidiani, e nell’annuncio della salvezza a quanti lo hanno incontrato di villaggio in villaggio.
In particolare senza la preghiera Gesù non sarebbe riuscito a salire a Gerusalemme. Con la preghiera egli chiedeva conferme, si immergeva nell’intimità dell’amore del Padre, lo ringraziava e lo benediceva per la sua missione. Soprattutto alla vigilia di scelte importanti il ricorso alla preghiera era imprescindibile, non perché amasse delegare il Padre a scegliere al posto suo, ma perché aveva necessità del suo sostegno e della sua luce.
A seguito di una notte di preghiera, il Signore con decisione sceglierà gli apostoli, i suoi più stretti collaboratori a cui affiderà il delicato compito di edificare la Sua Chiesa. E di sicuro grazie a quella notte di preghiera non si sarà mai pentito della sua scelta, neanche quando si ritroverà da solo sulla croce. A motivo di un’altra sofferta notte di preghiera, nell’orto degli ulivi, Gesù si consegna a chi lo verrà ad arrestare per ucciderlo. Seppure avanzerà la richiesta di “passare quel calice”, rimarrà fermo nella decisione di fare la volontà del Padre e grazie a quella comunione di amore riuscirà a sopportare con serenità le torture e le umiliazioni sulla via del Calvario, fino ad arrivare a consolare le donne di Gerusalemme e perdonare coloro che lo stavano inchiodando sulla croce.
La stessa serenità troviamo in Maria, che pur avendo vissuto il dolore più atroce di questa terra, ossia la morte in croce del figlio innocente, avrà la forza di radunare nuovamente gli apostoli, che nel frattempo si erano dispersi per paura, e di rigenerare la Chiesa. Cosa sarebbe stata la Madonna senza quell’intimo rapporto di amore con il Padre e con il Figlio? Avrebbe scelto Giuseppe come sposo? Sarebbe stata capace di affrontare con lui tutte le difficoltà che ha attraversato dal giorno dell’annunciazione in poi, dal parto in una grotta alla fuga in Egitto? Sarebbe sopravvissuta al dolore per la passione di Gesù?
Oltre alla preghiera, per arrivare ad affrontare scelte coraggiose sarebbe indispensabile anche riferirsi a persone già mature nella fede, capaci di illuminarci riguardo la strada da seguire. Come nel caso di San Paolo. L’apostolo delle genti, prima della conversione, non era di certo un indeciso, uno che aveva paura di scegliere. Ma il fondamento delle sue scelte era dettato non dall’amore ma dall’odio, a causa del quale perseguitava e uccideva i cristiani in nome di un ideale che di sicuro riteneva giusto.
L’incontro con Cristo rivoluzionerà la sua vita e le sue scelte. Ma la conversione non avvenne solo grazie alla folgorazione sulla via di Damasco. Quella fu solo la prima tappa di un cammino, come ci ricorda il libro degli Atti degli Apostoli: «Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda» (At 9,8-9). Quindi indispensabile per Paolo è stato chi lo ha guidato per mano a Damasco e soprattutto chi con l’imposizione delle mani gli ha fatto recuperare la vista: Anania, il discepolo che lo battezzò. Con lui altri cristiani aiutarono Paolo a liberarsi del passato, difendendolo da quanti tra i Giudei adesso avrebbero voluto ucciderlo. E ancora, grazie a Barnaba poté unirsi agli apostoli a Gerusalemme.
C’è dunque una comunità che si prodiga per sostenere san Paolo nel processo di conversione. Senza quei discepoli l’apostolo sarebbe potuto rimanere nell’incertezza, nella confusione, non avrebbe potuto proseguire il cammino, non avrebbe riacquistato la vista, sarebbe incappato nelle mani dei nemici, non si sarebbe potuto riconciliare con i Dodici. Senza una comunità anche oggi fare delle scelte coraggiose può diventare un’impresa impossibile. Occorre disponibilità e preparazione degli educatori e umiltà per chi decide di convertirsi e scegliere di seguire Gesù. Un dovere importantissimo specie nella nostra società attuale, caratterizzata da una forte propensione individualista che tende ad attenuare se non a spegnere l’entusiasmo e il desiderio di quanti si vorrebbero impegnare in un progetto di vita “a tempo indeterminato”!