Il mutamento sarebbe arrivato prestissimo, e proprio a causa della morte del papà . La piccola Anne aveva già visto suo padre tornare dal fronte. Una mattina di luglio del 1915, quando scoprì il lutto di sua madre, vedendo e avvertendo il suo dolore, si rese conto d’un tratto della realtà della morte, ma anche di come l’amore sia più forte della morte. Ecco la motivazione del cambiamento di Anne. Cercando di consolare la madre, in una situazione così drammatica, la risposta materna risuonò nella sua anima come un messaggio di Dio stesso: “Anne, se vuoi consolarmi, devi essere buonaâ€.
Il cuore generoso della figlia, allora di soli quattro anni, trovò nell’ammonimento della madre un ideale di vita per cui lottare. A partire da questo momento l’impegno di corrispondere alla grazia di Dio sarebbe stato per lei un’espressione di amore verso la mamma, verso il papà in cielo e quindi verso Dio: “niente costa molto quando lo amiamoâ€.
Il 19 dicembre del 1921, mentre si trovava a Cannes con la famiglia, è assalita da fortissimi dolori alla testa e alla schiena e pochi giorni dopo le viene diagnosticata una meningite. Tutto precipita rapidamente, e Anne offre le sue sofferenze a Gesù per tutti. All’alba del 14 gennaio 1921 chiede alla suora che l’assiste: “Posso andare con gli Angeli?â€, come avverte un cenno di assenso, chiude gli occhi.
La Chiesa si è domandata a lungo se i bambini possono praticare in grado eroico le virtù cristiane, cioè se in definitiva possono essere proclamati santi, arrivando solo nel 1981 ad una risposta affermativa. Soltanto allora la causa di beatificazione di Anne, avviata nel 1932, ha potuto decollare e nel 1990 S.Giovanni Paolo II l’ha dichiarata venerabile.
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PREGHIERA
Mio angelo prezioso, appena sotto il sole
come potevo sapere che proprio tu mi avresti mostrato
La Torino che conoscerà Giulia è una città che deve fare i conti con il primo disagio industriale, ed è la Torino di don Bosco, di Cottolengo, di Cafasso, di Murialdo, ed anche di suo marito Carlo che, come amministratore di Torino, fonda a sue spese nel 1825 l’Asilo Barolo, dove raccoglie i figli delle madri operarie, altrimenti destinati a crescere per la strada e, nel 1834, insieme a Giulia fonderà la Congregazione delle Suore di S. Anna per dare sicurezza ed istruzione adeguate ai medesimi fanciulli.
Ecco il cuore della missione di Giulia, insieme a Carlo: prendersi cura delle membra sofferenti del corpo di Cristo, così come Torino le presenta loro. Ecco allora Giulia occuparsi, naturalmente, delle mense dei poveri, ed entrare nelle carceri a visitare le donne recluse. Donne operarie e donne recluse, questo è il suo principale campo di azione. Insegna loro a leggere e scrivere, e soprattutto insegna loro a sperare, a riprendere a sperare. Giulia riporta la speranza nei cuori di chi incontra riportandovi la fede. Scopre una elementare reazione chimica e teologale: sperare, credere, amare.
In sintesi, Giulia entra negli istituti di pena, all’epoca vere e proprie discariche sociali, insegna a leggere e scrivere alle detenute, va a cercare i giudici che si dimenticano di processarle, condivide intere giornate con loro, viene insultata e finanche picchiata senza cedere di una virgola. Presenta un progetto di riforma accolto poi nel 1821, redige regolamenti discussi con le detenute e fonda un centro di reinserimento per ex carcerate.
Lucetta Scarafia afferma: “I liberali la accusarono di ogni nefandezza, ma anche i cattolici oltranzisti non apprezzarono il suo anticonformismo e questo spiega tutti i ritardi che si sono accumulati verso la beatificazioneâ€.
Purtroppo le positio delle cause di beatificazione di Carlo e Giulia sono state avviate separatamente. Papa Francesco ha riconosciuto la venerabilità di Giulia nel 2015, e di Carlo nel 2018. Auguriamoci e preghiamo che il cammino verso la beatificazione  veda Giulia e Carlo uniti. Noi intanto insiemeli vogliamo pregare:
Ti ringraziamo Padre, per averci donato Giulia e Carlo
che hanno saputo vedere il volto di tuo Figlio
nelle membra più sofferenti e disprezzate
portando amore dove l’amore era stato tolto
riportando la fede in Dio dove il peccato dell’uomo la aveva cancellata
facendo riemergere la speranza dove pareva non ci fosse più nulla da sperare.
Spirito di Dio, donaci il coraggio di vedere la realtà intorno a noi
Francesco Paoli nacque ad Argigliano, frazione di Casola in Lunigiana (MS), il 1° settembre 1642. Cresciuto in una famiglia cristiana, scelse di indossare l’abito carmelitano con il nome di frà Angelo e pronunciò i voti solenni nel 1667. Fu ordinato sacerdote nel 1671, per poi terminare gli studi filosofici e teologici. Rimase a Firenze fino al 1674, quando dovette tornare in famiglia, ad Arigliano, per motivi id salute. Il 15 agosto di quell’anno fu protagonista di un “miracoloâ€. La distribuzione del pane ai poveri non aveva mai fine e ancora oggi, in ricordo, annualmente frà Angelo e il fatto prodigioso vengono ricordati.
Nei conventi della Provincia Toscana in cui visse svolse con dedizione e umiltà vari servizi e più volte fu formatore dei novizi. Ovunque cercò il modo per aiutare i poveri nelle loro necessità . Nel 1687 il Priore Generale lo chiamò a Roma per affidargli anche nella città eterna la formazione dei novizi. Qui trascorse più di trent’anni, restandovi fino alla morte. La contemplazione dell’Eucarestia, del mistero della Passione e della Croce, unita alla devozione per la Vergine Maria nutrirono la sua spiritualità fondata sull’incontro e sul dialogo con Dio.
Animatore e direttore spirituale ricercato, si dedicò senza riserve ai poveri, agli ammalati ed ai carcerati, assistiti in ogni modo, anche con iniziative originali e nuove. Nei poveri riconosceva il volto di Cristo, li trattava con rispetto e attenzione, li incoraggiava ad avere fiducia nella Provvidenza e insieme alla riconoscenza per i benefattori. D’altra parte non si stancò di suscitare in tanti laici ed ecclesiastici un amore per i poveri e i malati simile al suo, educandoli al servizio della carità e al rispetto per le persone meno fortunate.
Fece dunque il suo ingresso nella città eterna il 12 marzo 1687, dopo un viaggio lungo e avventuroso. Nel convento dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti fu accolto con gioia, la sua fama l’aveva preceduto. Un giorno del mese di luglio, dopo aver fatto la Scala Santa, decise di visitare l’ospedale del Laterano. Quanta miseria umana e spirituale vide in quelle corsie. Tornato dal superiore chiese, nelle ore libere dagli incarichi che ricopriva, di dedicarsi ai malati. Gli fu accordato, a patto che non trascurasse la formazione dei novizi che era sotto la sua responsabilità .
Nei trentatre anni romani il Beato Angelo divenne il “padre dei poveriâ€, il suo apostolato raggiunse livelli altissimi. Alla sua mensa venivano sfamati fino a trecento poveri al giorno. Si preoccupò inoltre dei malati che venivano dimessi dall’ospedale ma non erano abili a lavorare e aprì un convalescenziario. Organizzò, per quei tempi, servizi innovativi ed efficienti.
Nel 1710 decide di aprire una specie di ostello in stile “famiglia allargataâ€, un ospizio “a porte aperte†in cui accogliere queste persone per accompagnarle, con il riposo e un vitto adeguato, verso il completo ristabilimento, raggiunto il quale ciascuno è indirizzato verso la propria famiglia, dotato di biancheria nuova e di un piccolo gruzzolo che gli consenta di riprendere il proprio lavoro.
Il Colosseo, santuario dei martiri dei primi tempi, per incuria era quasi pericolante e rifugio per gente di malaffare. Padre Angelo si rivolse a Clemente XI, con cui era in amicizia, e ricevette i fondi per alcuni lavori e per chiudere gli ingressi con le cancellate. Innalzò quindi tre croci davanti alle quali ancora oggi si celebra la Via Crucis. Anche sul Monte Testaccio fece mettere tre croci come aveva pure fatto sulle Alpi Apuane, in Lunigiana, sua terra di origine. La sua devozione per la croce era forte, per tutta la vita la tradusse in carità dedicandosi al prossimo, coinvolgendo altre persone che su suo esempio compresero il valore del Vangelo vissuto. Diceva: “chi cerca Iddio deve andarlo a trovare tra i poveriâ€.
Per due volte rinunziò alla dignità cardinalizia propostagli da Innocenzo XII e Clemente XI.
La mattina del 14 gennaio 1720, mentre suonava l’organo, fu assalito da febbre e portato in cella. L’ultima malattia durò pochi giorni. Alle ore 6.45 del 20 gennaio spirava venerato come un santo, all’età di 78 anni. Al suo funerale accorse tutta  Roma, cardinali, nobili e una moltitudine di popolo. Il corpo venne portato in processione, la gente per strada espose gli arazzi delle occasioni solenni. Papa Clemente XI sulla tomba in S. Martino fece scrivere il “venerabile†“padre dei poveriâ€. Molti miracoli gli furono attribuiti in vita e dopo la morte. Nel 1781 papa Pio VI riconobbe le sue virtù eroiche, oggi, riconosciuto il miracolo, è assunto alla gloria dei beati.
Nel 1999 Giovanni Paolo II, per il 7° centenario della presenza dei Carmelitani nella Basilica di S. Martino ai Monti, disse: "Come non far memoria di quell’umile frate, il Ven. Angelo Paoli, "Padre dei Poveri" e "Apostolo di Roma," che possiamo definire il fondatore “ante litteram†della "caritas" nel rione Monti? Egli, per primo, collocò la croce nel Colosseo, dandovi inizio al pio esercizio della Via Crucis."
Benedetta Bianchi Porro nasce a Dovadola, in provincia di Forlì e diocesi di Forlì-Bertinoro, l’8 agosto 1936. A tre mesi si ammala di poliomielite: guarisce, ma rimane con una gamba più corta dell’altra. A dispetto delle condizioni di salute, s’iscrive alla facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Milano, ma dopo un mese passa a quella di Medicina. Proprio questi suoi studi le permettono, nel 1957, di riconoscere da sola la natura della malattia che l’aveva intanto resa cieca e progressivamente sorda: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. La vicinanza degli amici le permette di uscire a poco a poco dal dolore. Due volte pellegrina a Lourdes, scopre in quel luogo quale sia la propria autentica vocazione: lottare e vivere in maniera serena la malattia. Attorno a lei si radunano amici e sconosciuti, mentre con le sue lettere raggiunge molti cuori. Muore nella sua casa di Sirmione alle 10.40 del 23 gennaio 1964, a ventisette anni, con un «Grazie» come ultima parola. Dal 22 marzo 1969 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa della badia di Sant’Andrea a Dovadola. È stata beatificata il 14 settembre 2019 nella cattedrale di Santa Croce a Forlì, sotto il pontificato di papa Francesco. La sua memoria liturgica cade il 23 gennaio, giorno della sua nascita al Cielo. a quella di Medicina. Proprio questi suoi studi le permettono, nel 1957, di riconoscere da sola la natura della malattia che l’aveva intanto resa cieca e progressivamente sorda: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. La vicinanza degli amici le permette di uscire a poco a poco dal dolore. Due volte pellegrina a Lourdes, scopre in quel luogo quale sia la propria autentica vocazione: lottare e vivere in maniera serena la malattia. Attorno a lei si radunano amici e sconosciuti, mentre con le sue lettere raggiunge molti cuori. Muore nella sua casa di Sirmione alle 10.40 del 23 gennaio 1964, a ventisette anni, con un «Grazie» come ultima parola. Dal 22 marzo 1969 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa della badia di Sant’Andrea a Dovadola. È stata beatificata il 14 settembre 2019 nella cattedrale di Santa Croce a Forlì, sotto il pontificato di papa Francesco. Vive in maniera serena la malattia. Attorno a lei si radunano amici e sconosciuti, mentre con le sue lettere raggiunge molti cuori. Muore nella sua casa di Sirmione alle 10.40 del 23 gennaio 1964, a ventisette anni, con un «Grazie» come ultima parola. Dal 22 marzo 1969 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa della badia di Sant’Andrea a Dovadola. È stata beatificata il 14 settembre 2019 nella cattedrale di Santa Croce a Forlì, sotto il pontificato di papa Francesco. La sua memoria liturgica cade il 23 gennaio, giorno della sua nascita al Cielo.
Benedetta moriva e una rosa quel giorno sbocciava, fuori tempo, nel suo giardino. Aveva detto: «Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà , qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano».
Signore, commossi ti ringraziamo
per il dono bello e luminoso
di Benedetta Bianchi Porro.
Attraverso di lei tu hai seminato
speranza nella nostra strada,
povera di speranza
e ci hai rieducato
al canto della vita.
Teresa Grillo nacque a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, il 25 settembre 1855. Quinta e ultima figlia di Giuseppe, primario dell'Ospedale Civile di Alessandria, e di Maria Antonietta Parvopassu, discendente da antica e illustre famiglia alessandrina, fu battezzata il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di Spinetta, ricevendo anche il nome di Maddalena.
Dotata di un temperamento incline alla carità , alimentato anche da un clima familiare ricco di spirito cristiano, il 1° ottobre 1867 ricevette la cresima nella cattedrale di Alessandria e cinque anni dopo, mentre era in collegio, la prima comunione.
Lasciato il collegio, tornò ad Alessandria, dove, sempre sotto la guida materna, iniziò a frequentare le famiglie aristocratiche della città .  Fu proprio in questo ambiente che conobbe il futuro marito, il colto e brillante capitano dei Bersaglieri, Giovanni Michel.  Celebrate le nozze il 2 agosto 1877, con il marito si trasferì prima a Caserta, poi ad Acireale, a Catania, a Portici ed infine a Napoli.
Con la morte del marito, stroncato da un'insolazione durante una sfilata a Napoli, il 13 giugno 1891, Teresa sprofondò in una cupa angoscia che rasentò la disperazione.
La ripresa quasi improvvisa, dovuta anche alla lettura della vita di San Giuseppe Cottolengo e all'aiuto del cugino sacerdote, Mons. Prelli, sfociò nella scelta di abbracciare la causa dei poveri e dei bisognosi. Teresa cominciò così a spalancare le porte del proprio palazzo ai fanciulli poveri e alle persone abbandonate e bisognose.
Alla fine del 1893, visto che “i poveri aumentano a più non posso e si vorrebbe poter allargare le braccia per accoglierne tanti sotto le ali della Divina Provvidenzaâ€, vendette palazzo Michel e acquistò un vecchio edificio di via Faà di Bruno. Qui diede inizio ai lavori di ristrutturazione e ampliamento, costruendo un piano superiore e comprando alcune casupole vicine. Sorse, così, il “Piccolo Ricovero della Divina Provvidenzaâ€.
L'opera avviata da Teresa non fu certo priva di avversità che le vennero non solo dalle autorità ma soprattutto dagli amici e familiari. Proprio nell'incomprensione fu evidente la solidarietà e l'affetto dei poveri, delle persone generose e delle collaboratrici. Dietro sollecitazione dell'Autorità Ecclesiastica, l'8 gennaio 1899, vestendo l'abito religioso nella cappellina del Piccolo Ricovero, Teresa Grillo, con otto tra le sue collaboratrici, diede vita alla Congregazione delle Piccole Suore della Divina Provvidenza.
L’opera cominciò ad avere case in diversi luoghi del Piemonte, sviluppandosi presto anche nelle regioni del Veneto, della Lombardia, della Liguria, delle Puglie e della Lucania. Dal 13 giugno 1900 l'Istituto si estese in Brasile e dal 1927 e dietro sollecitazione del Santo Don Luigi Orione, fondò case anche in Argentina.
Senza risparmiarsi, Teresa animava e incoraggiava le consorelle con la sua sollecita e carismatica presenza nelle comunità . Per ben sei volte attraversò l'oceano per raggiungere l'America Latina, dove dietro sua sollecitazione fiorirono numerose fondazioni con asili, orfanotrofi, scuole, ospedali e ricoveri per anziane. Il sesto viaggio lo fece nel 1928, all'età di 73 anni. L'8 giugno 1942, la Santa Sede concedeva l'Approvazione Apostolica alla Congregazione delle Piccole Suore della Divina  Provvidenza. La Beata Teresa Grillo si spense ad Alessandria il 25 gennaio 1944 all'età di 88 anni. Il suo lstituto contava 25 case in Italia, 19 in Brasile e 7 in Argentina. Con il Processo Informativo, nel 1953 fu avviata la Causa di Canonizzazione. Il 6 luglio 1985 il Santo Padre Giovanni Paolo II, dichiarandola Venerabile, ne ha decretato l'eroicità delle virtù.
Giovanni Paolo II, in occasione dell'ostensione della Sindone, l'ha beatificata a Torino il 24 maggio 1998. La sua memoria è posta dal Martyrologium  Romanum al 25 gennaio, mentre la sua Congregazione e la Diocesi di Alessandria la ricordano il 23 gennaio.
Gianluca, per gli amici Gian, è nato a Sospiro (CR) l’8 Settembre 1994, secondo figlio di Luciano e Laura, è un figlio, un fratello, un bambino, un ragazzo come tutti gli altri, si impegna a scuola, ama il calcio, tanto da intraprendere la strada del calciatore, una storia normale, niente di che, come tanti, come sempre. Nel Dicembre 2012, durante una partita, la malattia si manifesta con un pizzico, un dolore alle gambe, ma in breve peggiorerà , la diagnosi è infausta (“osteosarcomaâ€), non sono molte le speranze, nonostante gli sforzi dei medici.
Durante la malattia l’incontro con Gesù, Gian si rivede in Cristo, diventa l’alter Christus Patiens, è la vita che si manifesta nella sua pienezza proprio quando sta per finire. Tramite amici comuni incontra don Marco D’Agostino, con lui parla del Signore, diventa lampada per quel sacerdote ordinato da 20 anni, che si converte dinanzi a un ragazzo che ha meno della metà dei suoi anni. E con don Marco scrive un libro, il suo libro, la sua vita in poche pagine, in un alfabeto, è così che Gian si presenta al mondo proprio quando parte per raggiungere il Cielo.
Don Marco parla con chiarezza della sua esperienza di prete e di amico. Lui, abituato a spiegare, a insegnare, a interrogare in un liceo, in seminario, ad organizzare e condurre corsi ed approfondimenti biblici, si trova a lasciarsi interrogare nel profondo da Gian. Lo segue nella malattia attraverso messaggi e incontri frequenti, con le modalità di oggi, ma con la forza che viene da un altro Messaggio, dalla Parola che non passa.
Il miracolo degli ultimi mesi della sua malattia non è stato quello della guarigione. Forse questo sarebbe stato più eclatante. La notizia della sua vicenda – che il libro Spaccato in due contiene in tutta la sua freschezza e verità – ci restituisce un Gian che sa affrontare la vita prima della morte e sa leggere, con gli occhi della fede, una malattia e un dolore dei quali diventa non amico, ma padrone.
Gian è cresciuto e ha fatto crescere. Aveva fede e l’ha fatta tornare agli altri. Era uomo di comunione e desiderava che ci si amasse. E lo diceva, lo scriveva su WhatsApp, lo manifestava. Quella di Gian, umanamente, è una storia di dolore. Evangelicamente, una storia di grazia e di bellezza. A soli vent’anni ha dimostrato che si può essere abitati da Dio e dagli uominiâ€.
Gian muore all’ospedale di Cremona il 30 Gennaio 2015, lasciando al mondo una delle più belle testimonianze di fede e di fiducia nel Signore. Nell’introduzione al suo libro scrive: “In questo libro mi ritroverai, in ogni pagina. E io troverò te. Sento che, in Dio, siamo già amiciâ€, ed è proprio così.
La sofferenza che Gianluca ha provato non è mai diventata un muro per gli altri, non lo ha allontanato dai suoi amici, dalla famiglia, dai cari, al contrario, lo ha avvicinato sempre di più a loro. Il letto dell’Hospice in cui ha passato i suoi ultimi mesi di vita si è trasformato in un luogo di incontro, amicizia e preghiera.
Il ragazzo ha accettato fin da subito la sua situazione e ha deciso di raccontarla in un libro, mostrando come nella lotta si diventi pienamente uomini. Marco D’Agostino ha scritto a quattro mani con lui il volume dove narra l’esperienza di malattia e di fede vissuta.
Sono immagini intense quelle di don Marco per raccontare Gianluca e per lui usare il presente non è casuale. Incontrarlo è stato “sfogliare pagine di Vangelo†e nel momento finale della sua esistenza il sacerdote ha pronunciato una frase che non richiede commento: “Tu, dono, sei riconsegnato a Chi ti ha donato a noiâ€. Eppure anche per lui non è stato facile stare dentro quella sofferenza, se ha detto di sentirsi “ribaltato†uscendo dalle visite al giovane amico, il quale chiedeva al Signore di “smezzargli la croceâ€. Una preghiera sconvolgente, un’intercessione che esprime tutta la potenza del credere e dell’affidarsi.
“Parlando di Gianluca ci si sente trascinati da un vortice di bene…â€.
Esponente di una delle più illustri famiglie romane, quella dei Marcelli (secondo altri dei Claudi), Marcella nacque verso il 330, ma non ebbe la giovinezza felice, essendo ben presto rimasta orfana del padre. Quello che sappiamo di questa santa matrona romana lo ricaviamo dall’elogio funebre che san Girolamo inviò nel 413 da Betlemme alla giovane Principia, amica inseparabile di Marcella e sua erede spirituale.
Contratto matrimonio in giovane età , fu colpita dalla morte del marito avvenuta sette mesi dopo la celebrazione delle nozze. Questi avvenimenti luttuosi fecero maggiormente riflettere Marcella sulla caducità delle cose terrene.
Lo spirito ascetico propugnato dal monachesimo, consistente nell’abbandono di ogni bene mondano, andò sempre più conquistando l’animo della giovane vedova. Quando perciò le furono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale (358), nonostante le premurose pressioni della madre Albina, oppose al ventilato matrimonio un netto rifiuto, motivato dal desiderio di dedicarsi interamente a una vita ritirata facendo professione di perfetta castità .
Così Marcella, secondo san Girolamo, fu la prima matrona romana che sviluppò fra le famiglie nobili i principi del monachesimo. Il suo maestoso palazzo dell’Aventino andò trasformandosi in un ascetario ove confluirono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea e la stessa madre di Marcella, Albina. Per molti anni infatti la sua domus dell’Aventino rimase un cenacolo ascetico specie fra le vergini e le vedove della nobiltà . Andava spesso alle basiliche degli Apostoli e dei martiri per pregare in segreto, e a quelle meno frequentate dalla gente.
Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni basate specialmente sulla S. Scrittura. Il sacro testo, specie il Salterio, non fu studiato solo superficialmente: per meglio comprenderne il significato Marcella imparò l'ebraico e sottopose al dotto Girolamo molte questioni esegetiche, come ne fanno fede varie lettere a lei dirette. Fra Girolamo e Marcella si strinse una profonda e spirituale amicizia, continuata anche dopo la partenza del monaco per la Palestina.
Verso la fine della vita Marcella vide la città di Roma assediata e saccheggiata dai goti, federati nell’esercito dell’Imperatore Teodosio, capitanati da Alarico. Nel 408 il popolo romano compra la propria salvezza a prezzo d’oro versando nelle mani dei barbari un’ingente quantità di tesori.