Discorso del Cardinal Poletti

Discorso del Cardinal Poletti

(Domenica 25 settembre 1993, presso l’istituto delle Suore della Carità di San Vincenzo de Paoli, a via Albergotti 75, al ritiro della comunità del diaconato, intervenne il Cardinal Ugo Poletti (da due anni non più vicario della Diocesi di Roma) per salutare Il Vescovo padre Luca Brandolini, che lasciava la formazione del Diaconato per assumere la responsabilità della diocesi di Sora.)

 

 

Cari fratelli e sorelle, vogliamo vivere questo nostro incontro come un momento particolarmente significativo di ringraziamento e di gioia, accompagnato da un impegno profondo di ciascuno che scaturisce dalla fede, da un’esperienza di ministero che avete compiuto e che deve continuare.

Viviamo in un momento di passaggio. Nel 1980 io presi la deliberazione di ricostituire, nella Diocesi di Roma, il Diaconato permanente come segno e testimonianza ecclesiale di completezza di vita cristiana nella Chiesa. Nel 1983 ci fu la prima ordinazione diaconale alla quale ne seguirono altre. Siete arrivati ormai, ordinati o prossimi all’ordinazione, vicino alla cinquantina. È stato fatto un lungo, grande e significativo cammino.

Siete stati circondati da una atmosfera di fiducia, di incoraggiamento, che vi ha dato stimolo a rispondere alla chiamata di Dio. Non dimentichiamo mai che ogni ordinazione è risposta alla chiamata di Dio.

È partito questo vostro gruppo nella fiducia della Chiesa espressa dal Cardinal Vicario. Siete stati guidati da amore fraterno e prudente nel discernimento come quello di mons. Franco Peracchi. Siete stati condotti quasi per mano, gioiosamente, con fervore e con entusiasmo da padre Luca Brandolini che ha svolto in nome di Dio, prima come sacerdote, poi come Vescovo, il compito della vostra formazione spirituale, culturale e pastorale, come diaconi permanenti della Chiesa.

Vivete un momento di passaggio, ho detto. C’è stato il cambiamento del Cardinal Vicario; resta l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, del Pastore di questa Chiesa al Diaconato permanente, al vostro impegno. Essa resta ed è il fondamento solido, la base solida della vostra offerta a Dio, della vostra ordinazione diaconale e del vostro apostolato. Resta la presenza discreta, saggia, attenta di don Franco Peracchi. Cambia anche il vostro formatore, padre Luca, che sta per prendere la sua Diocesi di Sora. Può nascere così sommessamente, quasi silenziosamente un interrogativo per il nostro cammino e le prospettive che ci attendono sono nelle mani di Dio.

La separazione da persone care che hanno aiutato lo spirito, che hanno dato la vita, può essere faticosa, può nascondere sofferenza, ciò è umano. Ci garantisce la Sua presenza il Signore Dio. Quello che è vero Egli lo conferma, quello che Egli ha predisposto nella sua Provvidenza Egli lo difende. Quello che Egli ha voluto per il bene della Sua Chiesa, del Suo popolo nella Chiesa particolare di Roma lo avvolge del Suo amore e della Sua protezione.

Dunque non c’è nulla da temere. Il vostro servizio diaconale nella Chiesa di Roma, non frantumato nelle persone, ma consolidato nell’unità della vocazione, della missione, del servizio, continua. La vostra forza è di essere insieme fedeli al vostro carisma. Rispondere all’amore di Dio, essere fedeli alla Chiesa esaltando in modo particolare questa caratteristica specifica, questa che è propria dell’Ordine diaconale: il servizio ecclesiale. Un servizio che è unico, ben preciso, ben definito nella vita della Chiesa. Non un qualsiasi servizio, ma un servizio sacramentale. La grazia del sacramento si concentra in voi, a vostro incoraggiamento, in questo rimanere, sempre e in tutte le circostanze della vita cristiana di Roma, in questa dimensione di servizio.

Nella breve lettura delle Lodi abbiamo sentito la parola del profeta Ezechiele che faceva promessa di rinnovamento del popolo di Dio. Tempi tristi, tempi di esilio e di schiavitù. Il popolo di Israele era disperso nei settant’anni della cattività babilonese, lontano dalla sua promessa:

“Così dice il Signore: vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati: io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli: vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi un cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.”

Questa è la parola del profeta al popolo di Israele, che è parola di Dio che si rinnova alla Chiesa dispersa in tutto il mondo per compiere la sua missione: “Ecco io vi mando ad annunciare il Vangelo fino agli ultimi confini della terra”. Questo è il comando di Gesù alla sua Chiesa, non solo agli Apostoli, ma alla sua Chiesa in tutte le sue componenti.

Anche oggi potete avere l’impressione di vivere nella Chiesa di Roma come una dispersione, una diaspora. Invece la vostra coesione, la partecipazione ad una interpretazione univoca, autentica, sincera del vostro servizio diaconale, non subito, ma accettato, voluto con amore, il vostro servizio che è risposta di amore a Dio, vi terrà come una forza viva e operante in questa Chiesa di Roma. Forza che andrà aumentando gradualmente, man mano che si consolida con il passare degli anni la vostra fedeltà.

Tutti siamo uomini, tutti possiamo avere momenti di debolezza, di stanchezza, di incertezza, ma c’è sempre la forza dello Spirito Santo che ci avvicina, ci tiene insieme.

La ricostituzione del Diaconato permanente nella Chiesa di Roma è estremamente significativa. Io non cesso, ancora oggi, dal mio ritiro spirituale di ringraziare Dio, attraverso Maria, salvezza del popolo romano, che mi ha dato la possibilità di ricostituire il Diaconato permanente a Roma.

Però dieci o dodici anni non costituiscono ancora una tradizione consolidata. Attraverso riflessioni e conversazioni, attraverso informazioni che potete aver ricevuto personalmente o che avete ascoltato da altri che vi sono vicini, potete avere la sensazione che in Italia, in questo nostro Paese, in seno alla stessa Conferenza Episcopale Italiana, ai Vescovi che sono Pastori del popolo in Italia, c’è ancora qualche incertezza circa l’autenticità, la verità, la finalità del Diaconato permanente. Nessuna meraviglia! Anche dov’è stato costituito, più o meno frettolosamente o con attenzione e diligenza, non è che tutto sia chiaro immediatamente, manca ancora una lunga tradizione che lo convalidi. Siete ancora, oserei dire, una pianticella. Pianticella di Dio, posta da Lui nel terreno del Suo popolo, ma siete ancora una pianticella fragile, che ha bisogno di tanto aiuto proprio mentre porta i primi frutti.

Allora più che mai, di anno in anno, è necessaria la vostra comunione tra voi comunità dei Diaconi permanenti di Roma. Per sorreggervi a vicenda, per arricchirvi a vicenda nella istruzione della Parola di Dio, nell’insegnamento della Chiesa e anche nella comune esperienza, perché il vostro servizio si consolidi, diventi sempre più efficace e si faccia testimonianza nella Chiesa di Dio che è in Italia. È una missione, un compito che pesa su di voi, Diaconi permanenti della Chiesa di Roma.

Dovete rendervene conto, per non scoraggiarvi, anzi per stimolarvi vicendevolmente ad approfondire responsabilità, ad accettare sacrifici, a testimoniare con animo aperto, con mente limpida, con cuore generoso, pronti a cogliere ogni ispirazione di Dio che dia luce, splendore, brillantezza al vostro servizio diaconale.

Nella Chiesa voi non solo avete assunto uno speciale stato di servizio, non solo dovete rimanere in questo stato di servizio, ma il vostro stato di servizio è specifico, in qualche modo si distingue e si qualifica da tutti gli altri stati di servizio che sono nella Chiesa. Che nella società civile lo stato di servizio non sia compreso, che nella società civile prevalga il senso dell’autorità, del potere, del prestigio è comprensibile. La società civile cerca prevalentemente gli interessi terreni. Ma nella Chiesa il Diaconato permanente, a mio modo di vedere, ha il compito di testimoniare che, chiamati da Gesù ad essere suoi discepoli, noi dobbiamo vivere la condizione da Lui scelta. Pur essendo Dio, dice l’apostolo Paolo ai Filippesi, non considerò un privilegio da far valere la sua divinità, ma umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Poi Dio lo esaltò e la sua missione di Salvatore e Redentore del mondo brillò proprio in relazione a questo stato di servizio e di annientamento che Lui aveva scelto. Nella Sua predicazione del Vangelo, Gesù ripetutamente disse: “Io sono come uno che serve; voi mi chiamate Maestro e Signore e lo sono, ma io mi sono messo in mezzo a voi come uno che serve”. Tutti i discepoli di Cristo, dunque, devono mettersi in un atteggiamento di servizio che li rende simili al Maestro e Signore. Il Maestro che ci guida, al Signore che ci dà la vita.

Ma in modo particolare Gesù chiede la condizione del servizio a coloro che Egli ha chiamati per l’annuncio del Vangelo, per la testimonianza del Vangelo, per i suoi apostoli.

Anche se Gesù ha poi caricato sulle spalle dei suoi apostoli, Vescovi e Presbiteri, responsabilità di custodia della Parola di Dio, di annuncio della Parola di Dio, di distribuzione e animazione dei sacramenti della vita eterna che li rendono più evidenti come pastori, come amministratori della grazia, come guide. Però in tutti resta lo spirito di servizio. In voi, nel Diaconato permanente, c’è ben poco di responsabilità ecclesiale che equivalga a potere, a custodia della verità, a servizio della carità. Ben poco potere decisionale; vorrei dire quasi nulla.

Nel vostro stato di servizio si evidenzia solo questo. Quando gli apostoli costituirono i primi diaconi, le parole degli apostoli furono sufficientemente precise e chiare: “Non è giusto che noi ci disperdiamo nei servizi della comunità, nei servizi delle mense, mensa del pane di Dio, mensa dell’eucaristia, mensa della misericordia. Noi dobbiamo dedicarci alla Parola, alla preghiera e all’annuncio del Vangelo.

Essi hanno costituito i diaconi perché rimanessero nello stato e nella condizione di servizio in modo evidente. Questo servizio gli apostoli non lo limitavano a un servizio specifico, materiale, fisico, ma un servizio che liberasse la Parola di Dio, liberasse la diffusione della grazia di Dio, facesse da supporto all’opera meravigliosa, visibile e invisibile, della grazia di Dio che si esprime nell’annuncio della Parola del Vangelo ed è comunicata attraverso gli strumenti della santificazione, i Sacramenti, nell’esercizio di una carità senza limiti, non limitata alle cose materiali. Ma tutta questa missione di verità, di carità e di servizio che è nella Chiesa, gli apostoli vollero che fosse resa visibile nel suo fondamento, nell’umiltà di una pietra che si mette sotto terra e sostiene un edificio, vollero cioè i diaconi. Gli Atti degli Apostoli riassumono in questa sola parola una volontà, una intenzione, una dimensione molto più grande di quella intesa dagli apostoli: perché noi fossimo liberi nella preghiera, nell’annuncio globale del Vangelo, nella santificazione della Chiesa.

Questa caratteristica di servizio è comune a tutti i membri della Chiesa; è doverosa anche per noi rivestiti dell’autorità di pastori e di maestri. Però l’esercizio della nostra missione può in qualche modo velare davanti agli uomini il nostro stato di servizio, che non è meno valido del vostro, che porta anche maggior sacrificio del vostro, ma in noi resta meno evidente. Potete constatare anche voi quanta gente considera la struttura gerarchica della Chiesa come esercizio di potere, esercizio di forza: “I preti fanno il loro mestiere, i preti cercano i loro interessi!”. La gente è confusa in merito a ciò.

Ma voi siete posti in mezzo al popolo di Dio per testimoniare che la Chiesa è servizio, attenta a tutti i grandi bisogni dell’umanità, attenta ai più piccoli, ai più umili, ai più modesti. In mezzo alla comunità cristiana del popolo, nelle ripartizioni delle parrocchie, nei vari servizi che vi possono essere assegnati, voi siete lì come persone disponibili, anche se nella vita civile avete responsabilità che rivestono in qualche modo autorità, quelle stesse responsabilità assumono, attraverso il vostro diaconato, una sfumatura più delicata, vi rende più pazienti, vi rende soprattutto più umili, più uniti, più puri di cuore. Persone dalla mente più libera per capire la gente. Siete davvero gli operatori primi e più immediati del codice della vita cristiana che sono le otto beatitudini descritte da Matteo nel Vangelo.

In principio di questo servizio ne avete fatto l’esperienza; vi accolgono con diffidenza, con una certa ironia, con un certo distacco, poi a poco a poco vi apprezzano e vi stimano. È un passo avanti, ma bisogna che il passo della gente si allunghi e riconosca nel vostro stile di vita questa continua disponibilità, l’essere in mezzo ai fratelli come uno che serve. Il che non vuol dire dispensarsi dalle responsabilità; vuol dire gestire i propri doveri, a cominciare dalla famiglia fino al lavoro, fino alla partecipazione alla vita pubblica, in modo umile, paziente e mite, che è caratteristico del servizio. I servi non si ribellano, non protestano, non discutono, anche se fra gli uomini questo potrebbe essere, in qualche situazione, discutibile. Ma nel Regno di Dio, davanti all’infinita misericordia di Dio, che può raggiungere tutti gli uomini, anche i più lontani, è questo spirito di servizio delicato, paziente, generoso, disponibile, senza limiti che è caratteristico di una testimonianza ecclesiale. Ecco il Diaconato permanente, ecco quello che mi sembra sempre opportuno approfondire nella formazione, verificare nell’esercizio, moltiplicare nella comunione fra voi.

Siamo fedeli a questo spirito di servizio, a questa nostra vocazione. La grazia sacramentale del servizio che voi avete ricevuto come noi nel diaconato, in voi resta in qualche modo stabile e prevalente, mentre in noi resta dovere, ma assorbita da tanti altri doveri, è forse meno percepibile. Allora il vostro spirito di servizio diventa la più pertinente, la più efficace evangelizzazione in mezzo al popolo di Dio.

Il servizio liturgico, le iniziative varie che vi vengono assegnate nell’esercizio del vostro ministero, l’attenzione ai poveri, l’attenzione agli emarginati, alle famiglie che sono nel bisogno, il servizio nei sacramenti, la Parola di Dio, ecc. sono vostre importanti attribuzioni, ma deve emergere in tutto questo lo spirito di servizio per cui siete diaconi. Avete un diritto solo: essere servi del Signore perché gli uomini abbiano la vita e nel vostro servizio riconoscano l’amore, la Provvidenza, la benevolenza, la vicinanza del Padre che tutti amano.

La vostra caratteristica è lo spirito di servizio. Perché questo emerga, perché nel numero sempre crescente di diaconi permanenti, come avviene gradualmente nella Diocesi di Roma e anche si estende nelle altre Chiese di Italia, io vorrei che fosse messo in luce questo spirito di servizio. Allora emerge anche quello che nell’ordinazione diaconale è in qualche modo richiesto. Non solo il consenso della consorte del diacono, ma della famiglia del diacono. Essere costanti in questo spirito di servizio, con pazienza, con dolcezza. È difficile soprattutto per gli uomini quando sono impegnati e travolti dalla vita esterna. Ma l’aiuto colmo di fede della consorte, della sposa, della madre e la partecipazione dei figli, man mano che divengono grandi, questi vi danno speranza, perseveranza, costanza, fortezza nella testimonianza di questo spirito di servizio, che diventa disponibile a tutti senza discriminazione. Il diacono deve dire, ovunque si trovi, di non contare nulla, di essere uno che serve perché crede e perché ama.

Ecco il fondamento: la vostra fede. Dovete credere che Dio vi ha chiamati, ed Egli vi ha chiamati perché avete creduto al suo amore, gli avete offerta la vostra disponibilità. Questo spirito di servizio è la caratteristica del Diaconato permanente. Altri, teologi, pastoralisti, dottori, sacerdoti, Vescovi, potranno discutere sulle competenze del Diacono, ma nessuno potrà discutere sul fatto che voi, in virtù dell’ordine diaconale, avete ricevuto la grazia sacramentale del servizio: è e resta prevalente in tutta la vostra vita ministeriale.

 

 

*

 

 

Saluto della comunità diaconale a S. E. mons. Luca Brandolini, a cura del diac. Giampaolo Mollo.

 

Caro padre Luca,

è toccato a me il compito di rivolgerti il nostro caro e affettuoso saluto. Puoi ben comprendere la mia emozione.

Quando il Diaconato ha cominciato a riprendere corpo dopo tanti secoli, io mi sono trovato in qualche riunione al Seminario Maggiore dove stranamente erano dodici le persone presenti. Di tutti quelli che quella volta si sono riuniti intorno a te e a don Franco non tutti sono diventati diaconi e non tutti quelli che sono diventati diaconi sono ora qui tra noi.

Però quel momento è rimasto nella nostra memoria, nella nostra attenzione come un momento creativo dello Spirito. Ciò che preferisco ricordare è che tu sei stato voce di quello Spirito. Di quello Spirito animatore che, dopo tanto tempo, in maniera misteriosa, voleva nuovamente evidenziare quel servizio sacramentale che così bene Sua Eminenza ci ha delineato e sottolineato ancora una volta questa mattina.

E se veramente questo spirito sacramentale ha trovato corpo, tu sei stato il nostro primo esempio. Primo esempio perché hai messo a nostra disposizione tutto: il tuo tempo, la tua preparazione, la tua cultura e soprattutto la tua disponibilità a tutte le nostre richieste. Anche quando ci hai richiamati in maniera vivace per le nostre impazienze, sei stato ancora una volta paziente con tutti noi.

Partire è un po’ morire. E, come abbiamo già sentito questa mattina, questo è il momento dei distacchi. Però penso anche che, per il canto che hai scelto, un cammino è stato aperto, un cammino che continua perché quello che viviamo è un inizio. Ripensando alla figura del diacono Lorenzo, non posso pensare che, quando egli concluse la sua esperienza, tutto si fosse chiuso. Egli ha lasciato una strada aperta, nella quale siamo stati reimmessi per il tuo aiuto, per la tua comprensione e per la tua attenzione.

Questo cammino intrapreso non vogliamo, noi della Comunità diaconale di Roma, che si interrompa. E questa è l’altra annotazione che ci tengo a fare. Hai avuto la capacità, la prudenza, l’attenzione di sperimentare giorno per giorno sempre una comunità nuova che cresceva. Dalle difficoltà dei primi giorni, quando pochissimi si ponevano gli interrogativi di crescere, a oggi che siamo prossimi alla cinquantina, ci sono già i germi di una capacità della comunità di vivere poggiando sulla propria esperienza. Questo è un grandissimo dono che ci hai fatto e che, girando per l’Italia, ho avuto l’occasione di sperimentare come sia unico per questa Chiesa.

Ho avuto occasione di incontrare delle Diocesi dove purtroppo, dopo l’ordinazione, i diaconi si sono dispersi. È stata una grandissima sofferenza. Quando invece ci siamo incontrati per la preparazione dell’anno nuovo, ci riconoscevi già la capacità di camminare con le nostre forze, hai sentito che realmente lo Spirito stava operando in mezzo a noi.

Di tutto questo vogliamo ringraziarti. Anche della tua docilità nelle difficoltà, che non sono state poche per sostenere questa comunità; del discernimento per trovare tra di noi quelli che realmente lo Spirito chiamava a questo servizio sacramentale.

Siamo qui per renderti grazie e per dirti che sarebbe una grande gioia averti ogni tanto tra noi. Ci auguriamo che tu possa portare di tutti quelli che hanno ricevuto il dono dell’Ordine e di coloro che la Provvidenza chiama ad altri servizi un ricordo vivo nella preghiera e nella possibilità di chiamarci ad essere ancora al tuo servizio.