5 Settembre 2020 -
Quando si entra in una chiesa o cappella delle Missionarie della Carità, non si può non notare il crocefisso che sovrasta l’altare, al fianco del quale si trova la scritta: «I thirst» («Ho sete»): qui sta la sintesi della vita e delle opere di Santa Teresa di Calcutta, canonizzata il 4 settembre scorso da Papa Francesco in piazza San Pietro, alla presenza di 120 mila fedeli e pellegrini.
Donna di fede, di speranza, di carità, di indicibile coraggio, Madre Teresa aveva una spiritualità cristocentrica ed eucaristica. Usava dire: «Io non posso immaginare neanche un istante della mia vita senza Gesù. Il premio più grande per me è amare Gesù e servirlo nei poveri». Questa suora, dall’abito indiano e dai sandali francescani, estranea a nessuno, credenti, non credenti, cattolici, non cattolici, si fece apprezzare e stimare in India, dove i seguaci di Cristo sono la minoranza.
Nata il 26 agosto 1910 a Skopje (Macedonia) da benestante famiglia albanese, Agnes crebbe in una tribolata e dolorosa terra, dove convivevano cristiani, musulmani, ortodossi; proprio per tale ragione non le fu difficile operare in India, uno Stato dalle lontane tradizioni di tollenza-intolleranza religiosa, a seconda dei periodi storici. Madre Teresa definiva così la sua identità: «Di sangue sono albanese. Ho la cittadinanza indiana. Sono una monaca cattolica. Per vocazione appartengo al mondo intero. Nel cuore sono totalmente di Gesù».
Buona parte della popolazione albanese, di origine illirica, nonostante abbia subito la sopraffazione ottomana, è riuscita a sopravvivere con le sue tradizioni e con la sua profonda fede, che affonda le radici in san Paolo: «Tanto che da Gerusalemme e paesi circonvicini, fino alla Dalmazia ho portato a compimento la missione di predicare il Vangelo di Cristo» (Rm 15,19). Cultura, lingua e letteratura dell’Albania hanno resistito proprio grazie al Cristianesimo. Tuttavia la ferocia del dittatore comunista Enver Hoxha vieterà, con decreto statale (13 novembre 1967), qualsiasi religione, distruggendo da subito 268 chiese.
Fino all’avvento del tiranno, la famiglia di Madre Teresa elargiva carità e bene comune a piene mani. Preghiera e Santo Rosario erano il collante della famiglia. Rivolgendosi ai lettori della rivista «Drita», nel giugno del 1979, Madre Teresa disse ad un mondo occidentale sempre più secolarizzato e materialista: «Quando penso a mia mamma e a mio papà, mi viene sempre in mente quando alla sera eravamo tutti insieme a pregare […] Vi posso dare un solo consiglio: che al più presto torniate a pregare insieme, perché la famiglia che non prega insieme non può vivere insieme».
A 18 anni Agnes entra nella Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto: partita nel 1928 per l’Irlanda, un anno dopo è già in India. Nel 1931 emette i primi voti, prendendo il nuovo nome di suor Maria Teresa del Bambin Gesù, perché molto devota della mistica carmelitana santa Teresina di Lisieux. Più tardi, come il carmelitano san Giovanni della Croce, sperimenterà la «notte oscura», quando la sua mistica anima proverà il silenzio del Signore.
Per circa vent’anni insegnò storia e geografia alle giovani di famiglie facoltose frequentanti il collegio delle Suore di Loreto a Entally (zona orientale di Calcutta). Poi arrivò la vocazione nella vocazione: era il 10 settembre 1946 quando avvertì, mentre si recava in treno ad un corso di esercizi spirituali a Darjeeling, la voce di Cristo che la chiamava a vivere in mezzo agli ultimi degli ultimi. Lei stessa, che desiderò vivere come autentica sposa di Cristo, riporterà le parole della «Voce» nella sua corrispondenza con i superiori: «Voglio Missionarie indiane Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del Mio amore porterebbero a Me queste anime».
Lascia, non senza difficoltà, il prestigioso convento dopo quasi vent’anni di permanenza e da sola si incammina, con un sari bianco (colore del lutto in India) bordato di azzurro (colore mariano), per gli slums di Calcutta in cerca dei dimenticati, dei paria, dei moribondi, che arriva a raccogliere, circondati dai topi, persino nelle fogne. A poco a pocosi aggregano alcune sue ex-allieve e altre ragazze ancora, per poi giungere al riconoscimento diocesano della sua congregazione: 7 ottobre 1950. E mentre, anno dopo anno, l’Istituto delle Suore della Carità cresce in tutto il mondo, la famiglia Bojaxhiu viene espropriata di tutti i suoi beni dal governo di Hoxha, e, rea del suo credo religioso, viene aspramente perseguitata. Dirà Madre Teresa, alla quale sarà vietato di rivedere i suoi cari: «La sofferenza ci aiuta a unirci al Signore, alle sue sofferenze» in un’azione redentiva.
Parole toccanti e forti userà in riferimento al valore della famiglia, primo ambiente, nell’età contemporanea, di povertà: «Qualche volta dovremmo farci alcune domande per sapere orientare meglio le nostre azioni […] Conosco per prima cosa, i poveri della mia famiglia, della mia casa, quelli che vivono vicino a me: persone che sono povere, però non per mancanza di pane?».
La «piccola matita di Dio», per usare la sua autodefinizione, è più volte intervenuta pubblicamente e con forza, anche di fronte a uomini politici e di Stato sulla condanna dell’aborto e dei metodi di contraccezione artificiali. Ha «fatto sentire la sua voce ai potenti della terra» ha detto, infatti, Papa Francesco nell’omelia della canonizzazione. Come non ricordare, allora, il memorabile discorso che tenne alla consegna del Premio Nobel per la Pace del 17 ottobre 1979 ad Oslo? Affermando di accettare il Premio esclusivamente a nome dei poveri, sorprese tutti per l’attacco durissimo all’aborto, che presentò come la principale minaccia alla pace nel mondo. Le sue parole risuonano più attuali che mai: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa (…). Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me». Sosteneva che la vita del bambino non nato è un dono di Dio, il maggior dono che Dio possa fare alla famiglia. «Oggi ci sono molti Paesi che permettono l’aborto, la sterilizzazione e altri mezzi per evitare o distruggere la vita fin dal suo inizio. Questo è un segno ovvio che tali Paesi sono i più poveri tra i poveri, poiché non hanno il coraggio di accettare nemmeno una vita in più. La vita del bambino non ancora nato, come la vita dei poveri che troviamo per le strade di Calcutta, di Roma o di altre parti del mondo, la vita dei bambini e degli adulti è sempre la stessa vita. È la nostra vita. È il dono che viene da Dio. […] Ogni esistenza è la vita di Dio in noi. Anche il bambino non nato ha la vita divina in sé». Ancora alla cerimonia dei premi Nobel, alla domanda che le venne posta: «Che cosa possiamo fare per promuovere la pace mondiale?», ella rispose senza esitare: «Andate a casa e amate le vostre famiglie». Si addormentò nel Signore il 5 settembre (giorno della sua memoria liturgica) 1997 con un rosario fra le mani. Questa «goccia di acqua pulita», questa Marta e Maria inscindibili, ha lasciato in eredità un paio di sandali, due sari, una borsa di tela, due-tre quaderni di appunti, un libro di preghiere, un rosario, un golf di lana e…una miniera spirituale di inestimabile valore, alla quale attingere a profusione in questi nostri confusi giorni, spesso dimentichi della presenza di Dio.
Omelia di Papa Francesco per la Canonizzazione – 4 Settembre 2016
“Madre Teresa, in tutta la sua esistenza, è stata generosa dispensatrice della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. Si è impegnata in difesa della vita proclamando incessantemente che «chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo, il più misero». Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! - della povertà creata da loro stessi. La misericordia è stata per lei il “sale” che dava sapore a ogni sua opera, e la “luce” che rischiarava le tenebre di quanti non avevano più neppure lacrime per piangere la loro povertà e sofferenza.
La sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane ai nostri giorni come testimonianza eloquente della vicinanza di Dio ai più poveri tra i poveri. Oggi consegno questa emblematica figura di donna e di consacrata a tutto il mondo del volontariato: lei sia il vostro modello di santità! Penso che, forse, avremo un po’ di difficoltà nel chiamarla Santa Teresa: la sua santità è tanto vicina a noi, tanto tenera e feconda che spontaneamente continueremo a dirle “Madre Teresa”. Questa instancabile operatrice di misericordia ci aiuti a capire sempre più che l’unico nostro criterio di azione è l’amore gratuito, libero da ogni ideologia e da ogni vincolo e riversato verso tutti senza distinzione di lingua, cultura, razza o religione. Madre Teresa amava dire: «Forse non parlo la loro lingua, ma posso sorridere». Portiamo nel cuore il suo sorriso e doniamolo a quanti incontriamo nel nostro cammino, specialmente a quanti soffrono. Apriremo così orizzonti di gioia e di speranza a tanta umanità sfiduciata e bisognosa di comprensione e di tenerezza.
Madre Teresa di Calcutta
Come si ama Dio
Tutti desideriamo amare Dio. Ma come si fa?
Gesù si convertì in pane di vita per saziare la nostra fame.
Quindi si fece ignudo, sfrattato, abbandonato, lebbroso, drogato, prostituta, di modo che tutti noi, tanto voi come io, potessimo saziare la sua fame con il nostro amore.
Sicuramente non vi capiterà di vedere nei vostri paesi malati rosi da vermi,
ma ci sono vermi che tarlano i cuori.
Mi commosse moltissimo il gesto di una bambina piccola che decise di mandarmi i soldi della sua prima comunione invece di tenerseli per comprare un vestito per quella festa.
In Africa ci sono molte migliaia di persone che muoiono di fame a causa della siccità.
Mi imbattei in strada in una bambina di cinque o sei anni e le diedi un pezzo di pane.
Cominciò a mangiarlo briciola per briciola, dicendo che avrebbe avuto ancora fame, una volta terminato il pane.
Lei aveva già fatto esperienza di cosa è la fame, qualcosa che né io né voi ancora sappiamo cos'è.