Lunlunedì | Marmartedì | Mermercoledì | Giogiovedì | Venvenerdì | Sabsabato | Domdomenica |
10 Maggio 2024-: Beato Enrico Rebuschini (1860-1938)-: Beato Enrico Rebuschini (1860-1938)10 Maggio 2024 - Beato Enrico Rebuschini Nato a Gravedona (Como) nel 1860, il beato Enrico Rebuschini a 18 anni comincia un cammino vocazionale, che però non viene ben visto dalla famiglia, appartenente alla buona borghesia lombarda. Soprattutto dal padre, il quale però alla fine cede ed Enrico entra 24enne nel seminario di Como. Qui fanno presto a scoprire le sue doti, e lo mandano a studiare teologia nell’Università Gregoriana di Roma. Poi lo aggredisce una forma grave di depressione. Perciò, ritorno in famiglia, poi ricovero in casa di cura. La ripresa è lenta, e non certo definitiva. Ma questa sofferenza lo orienta. Gli precisa la vocazione. Enrico Rebuschini scopre il mondo degli ammalati e scopre che dovrà vivere con loro e per loro: anche perché è come loro. Un’illuminazione simile a quella che nel ’500 ha orientato il soldato di ventura Camillo de Lellis, ricoverato all’ospedale romano di San Giacomo degli Incurabili con una piaga sempre aperta in un piede. San Camillo lo “cattura” attraverso la frequentazione degli ammalati, la preghiera, i suggerimenti del suo confessore. Nel 1887, a 27 anni, Enrico va a Verona ed entra come novizio tra i Ministri degli infermi. Dopo due anni di noviziato, il 14aprile 1889 è ordinato sacerdote da monsignor Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova e futuro papa Pio X. Lavora per dieci anni a Verona, insegnando ai novizi dell’ordine e assistendogli ammalati. Nel 1899, eccolo con i Camilliani a Cremona, prima nella casa di cura di via Colletta, poi in quella di via Mantova. Per quasi 39 anni, fino alla morte. Fedelissimo agli Ordini et modi prescritti ai suoi da san Camillo per il rapporto con gli infermi, partendo da “carità” e “diligenza”, e terminando con “piacevolezza” “mansuetudine”, “rispetto”, “onore”. Per Enrico Rebuschini, tutti coloro che la malattia costringe a letto sono i “Signori malati”; vicini a Dio, e perciò potenti, proprio a causa della loro sofferenza. Per lui sono tutti così, nello spirito camilliano, credenti e non credenti. Anzi, per questi ultimi sa magnificamente associare l’attenzione con la delicatezza. E tutto questo in mezzo all’andata e ritorno della sua depressione. Come è detto nella documentazione canonica sulle sue virtù in grado eroico: «più volte nel corso della sua vita portò la croce di grandi sofferenze interiori, che non gli impedirono tuttavia di progredire nelle vie del Signore». E ha continuato sempre a sostenere ogni altro “portatore di croce”, fino all’ultimo giorno. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato nel 1997. Il suo corpo è custodito nella cappella della Casa di cura “San Camillo” a Cremona. Pensieri «Iddio operò la mia salute col darmi la confidenza nella sua infinita bontà e misericordia». «Io invoco Dio in questa estrema mia necessità. Io non voglio temere se non l’offesa di Dio. Mio Dio, misericordia».
Preghiera Signore Gesù, che nel Beato Enrico Rebuschini, ardente del tuo spirito di amore, hai unito alla mitezza e umiltà il servizio dei poveri e dei malati, concedi a noi, per sua intercessione, di vivere umilmente il tuo Vangelo e di servirti con opere di carità nei fratelli infermi. Per Cristo nostro Signore |
11 Maggio 2024 |
12 Maggio 2024-: Beato Alvaro del Portillo (1914-1994)-: Beato Alvaro del Portillo (1914-1994)12 Maggio 2024 - Beato Alvaro del Portillo Figlio di Clementina Diez de Sollano (messicana) e di Ramón del Portillo y Pardo (spagnolo), Álvaro del Portillo nacque a Madrid l’11 marzo 1914. Dopo il diploma nella scuola Nuestra Señora del Pilar di Madrid, si iscrisse alla Scuola di Ingegneria civile, che terminò nel 1941. Successivamente lavorò in vari enti pubblici occupandosi di questioni idrografiche. Studiò inoltre Lettere e Filosofia (indirizzo storico), laureandosi nel 1944 con la tesi "Scoperte ed esplorazioni sulle coste della California". Nel 1935 entrò nell’Opus Dei, istituzione della Chiesa Cattolica che era stata fondata sette anni prima da san Josemaría Escrivá. Ricevette direttamente dal fondatore la formazione e lo spirito propri di questo nuovo cammino di fede. Sviluppò un ampio lavoro di evangelizzazione tra i suoi compagni di studio e colleghi di lavoro. Il 25 giugno 1944 fu ordinato sacerdote. Nel 1946 si trasferì a Roma, pochi mesi prima che san Josemaría vi fissasse la sua residenza. Fu un periodo cruciale per l’Opus Dei, che ricevette allora le prime approvazioni giuridiche della Santa Sede. Anche per lui iniziò un’epoca decisiva, in cui, tra l'altro, sviluppò, con la sua attività intellettuale accanto a san Josemaría e con il suo lavoro presso la Santa Sede, una profonda riflessione sul ruolo e la responsabilità dei fedeli laici nella missione della Chiesa, attraverso il lavoro professionale e le relazioni sociali e familiari. Promosse attività di formazione cristiana, offrendo i suoi servizi sacerdotali a numerose persone. Della scia che il suo lavoro ha lasciato in Italia parlano oggi le varie strade e piazze che gli sono state dedicate in varie città e paesi. Durante i suoi anni romani, i diversi Papi succedutisi al soglio pontificio (da Pio XII a Giovanni Paolo II) lo chiamarono a svolgere numerosi incarichi, come membro o consultore di 13 organismi della Santa Sede. Partecipò attivamente al Concilio Vaticano II. La vita di Álvaro del Portillo è strettamente unita a quella del fondatore. Rimase sempre al suo fianco fino al momento della morte, che avvenne il 26 giugno 1975. Il 15 settembre 1975, nel congresso generale convocato dopo la morte del fondatore, don Álvaro del Portillo fu eletto a succedergli a capo dell’Opus Dei. Il 28 novembre 1982, quando il beato Giovanni Paolo II eresse l’Opus Dei in Prelatura personale, lo nominò Prelato della nuova prelatura. Nel corso degli anni in cui fu a capo dell’Opus Dei, Álvaro del Portillo promosse l’inizio dell'attività della Prelatura in 20 nuovi paesi. Nei suoi viaggi pastorali, che lo portarono in tutti e cinque i continenti, parlò a migliaia di persone di amore alla Chiesa e al Papa e predicò con convinzione il messaggio cristiano di san Josemaría sulla santità nella vita ordinaria. Come Prelato dell'Opus Dei, Álvaro del Portillo diede impulso alla nascita di numerose iniziative sociali ed educative. Allo stesso modo, la Pontificia Università della Santa Croce (dal 1985) e il seminario internazionale Sedes Sapientiae (dal 1990), entrambi a Roma, così come il Collegio ecclesiastico internazionale Bidasoa (Pamplona, Spagna), hanno formato per le diocesi migliaia di candidati al sacerdozio, inviati dai vescovi di tutto il mondo. Queste realtà evidenziano la preoccupazione di mons. del Portillo per il ruolo del sacerdote nel mondo, tema al quale ha dedicato buona parte delle sue energie, come fu evidente negli anni del Concilio Vaticano II. Mons. Álvaro del Portillo morì a Roma la mattina del 23 marzo 1994. È stato beatificato il 27 settembre 2014 a Valdebebas. La sua memoria liturgica è fissata al 12 maggio, giorno della sua prima Comunione.
Sua caratteristica principale è la fedeltà: fedeltà a Dio, anzitutto, nel compimento della sua volontà; fedeltà alla Chiesa e al Papa; fedeltà al sacerdozio; fedeltà alla vocazione cristiana in ogni istante ed in ogni circostanza della vita (decreto sulle virtù, pag.1). La santificazione del lavoro è stata perseguita in ogni momento della sua vita: prima come ingegnere, poi come sacerdote e, infine, come Vescovo. Da quando fu alla guida dell'Opus Dei (1975) si prodigò all'estensione degli apostolati svolti dai fedeli della Prelatura al servizio della Chiesa, viaggiò in tutto il mondo per incoraggiare i fedeli della Prelatura e tanti altri cristiani. Mons. Álvaro del Portillo visse con un profondo senso della filiazione divina, che lo portava a cercare l'identificazione con Cristo in un fiducioso abbandono alla volontà del Padre (decreto sulle virtù, pag.3)
«Dette prova di eroismo in particolare nell’affrontare le malattie – nelle quali vedeva la Croce di Cristo –, il carcere per un certo tempo durante la persecuzione religiosa in Spagna (1936-1939) e gli attacchi che dovette subire per la sua fedeltà alla Chiesa. Uomo di profonda bontà ed affabilità, era capace di trasmettere pace e serenità alle anime. Nessuno ricorda un gesto poco cortese da parte sua, il minimo moto di impazienza dinanzi alle contrarietà, una sola parola di critica o di protesta per le difficoltà: aveva imparato dal Signore a perdonare, a pregare per i persecutori, ad accogliere tutti con un sorriso e con cristiana comprensione.»
-: San Leopoldo Mandic (1866-1942)-: San Leopoldo Mandic (1866-1942)12 Maggio 2024 - San Leopoldo Mandic Leopoldo nacque a Castelnuovo di Cattaro (l'odierna Herceg-Novi in Montenegro) il 12 maggio 1866, penultimo dei sedici figli di Pietro Mandić e di Carolina Zarević, famiglia cattolica croata. Al battesimo ricevette il nome di Bogdan Ivan (Adeodato Giovanni). Suo bisnonno paterno Nicola Mandić era oriundo da Poljica, nell'arcidiocesi di Spalato (Split), dove i suoi antenati erano giunti dalla Bosnia, nel lontano secolo XV. A Castelnuovo di Cattaro, all'epoca situato nella Provincia di Dalmazia, a sua volta parte dell'Impero Austriaco, prestavano la loro opera i frati francescani Cappuccini della Provincia Veneta (vi si trovavano fin dal 1688, epoca del dominio della Repubblica di Venezia). Frequentando l'ambiente dei frati, in occasione delle funzioni religiose e del doposcuola pomeridiano, il piccolo Bogdan manifestò il desiderio di entrare nell'Ordine dei Cappuccini. Per il discernimento della vocazione religiosa, fu accolto nel seminario cappuccino di Udine e poi, diciottenne, il 2 maggio 1884 al noviziato di Bassano del Grappa (Vicenza), dove vestì l'abito francescano, ricevendo il nuovo nome di "fra Leopoldo" e impegnandosi a vivere la regola e lo spirito di san Francesco d'Assisi. Dal 1885 al 1890 completò gli studi filosofici e teologici nei conventi di Santa Croce a Padova e del Santissimo Redentore a Venezia. In quegli anni la formazione religiosa ricevuta dalla famiglia ricevette l'impronta definitiva nello studio e nella conoscenza della Sacra Scrittura e della letteratura patristica e nell'acquisizione della spiritualità francescana. Il 20 settembre 1890, nella basilica della Madonna della Salute a Venezia, fu ordinato sacerdote per mano del card. Domenico Agostini. Di intelligenza aperta, padre Leopoldo Mandić aveva una buona formazione filosofica e teologica e per tutta la vita continuerà a leggere i padri e i dottori della Chiesa. Sin dal 1887, si era sentito chiamato a promuovere l'unione dei cristiani orientali separati con la Chiesa cattolica. Nella prospettiva di un ritorno nella terra natia come missionario, si dedicò all'apprendimento di diverse lingue slave, compreso un po' di greco moderno. Fece domanda di partire per le missioni d'Oriente nella propria terra, secondo quell'ideale ecumenico, divenuto poi voto, che coltiverà fino alle fine dei suoi giorni, ma la salute cagionevole sconsigliò i superiori dall'accettare la richiesta. Infatti, a causa dell'esile costituzione fisica e di un difetto di pronuncia, non poteva dedicarsi alla predicazione. I primi anni passarono nel silenzio e nel nascondimento del convento di Venezia, addetto al confessionale e agli umili lavori del convento, con un po' di esperienza da questuante di porta in porta. Nel settembre del 1897, ricevette l'incarico di presiedere il piccolo convento cappuccino di Zara in Dalmazia. Durò poco la speranza di poter realizzare l'aspirazione alla missione: già nell'agosto del 1900 fu richiamato a Bassano del Grappa (Vicenza) come confessore. Si aprì un'altra breve parentesi di attività missionaria nel 1905 come vicario del convento di Capodistria, nella vicina Istria, dove sì rivelò subito consigliere spirituale apprezzato e ricercato. Ma, ancora una volta, dopo un solo anno, venne richiamato in Veneto, al santuario della Madonna dell'Olmo di Thiene (Vicenza). Tra il 1906 e il 1909 vi prestò servizio come confessore, salvo una breve parentesi a Padova. A Padova, al convento di piazzale Santa Croce, padre Leopoldo arrivò nella primavera del 1909. Nell'agosto del 1910, fu nominato direttore degli studenti, cioè dei giovani frati cappuccini che, in vista del ministero sacerdotale, frequentavano lo studio della Filosofia e della Teologia. Furono anni di intenso studio e dedizione. A differenza di altri docenti, padre Leopoldo – che insegnava Patrologia – si distinse per benevolenza, che qualcuno riteneva eccessiva e in contrasto con la tradizione dell'Ordine. Anche per questo, probabilmente, nel 1914 padre Leopoldo fu improvvisamente sollevato dall'insegnamento. E fu un nuovo motivo di sofferenza. Così, a partire dall'autunno del 1914, a quarantott'anni di età, a padre Leopoldo venne chiesto l'impegno esclusivo nel ministero della confessione. Le sue doti di consigliere spirituale erano note da tempo, tanto che, nel giro di qualche anno, divenne confessore ricercato da persone di ogni estrazione sociale, che per incontrarlo arrivavano anche da fuori città. Fortemente legato alla sua terra d'origine, padre Leopoldo aveva mantenuto la cittadinanza austriaca. Le scelta, motivata dalla speranza che i documenti d'identità favorissero un suo ritorno missionario in patria, si muta però in problema, nel 1917, con la rotta di Caporetto. Come altri 'stranieri' residenti in Veneto, nel 1917 fu sottoposto a indagini di polizia e, visto che non intendeva rinunciare alla cittadinanza austriaca, venne mandato al confino nel Sud d'Italia. Nel corso del viaggio, a Roma incontrò anche papa Benedetto XV. A fine settembre del 1917, raggiunse il convento dei Cappuccini di Tora (Caserta), dove iniziò a scontare il provvedimento di confino politico. L'anno successivo passò al convento di Nola (Napoli) e poi di Arienzo (Caserta). Al termine della Prima guerra mondiale fece ritorno a Padova. Durante il viaggio visitò i santuari di Montevergine, Pompei, Santa Rosa a Viterbo, Assisi, Camaldoli, Loreto e Santa Caterina di Bologna. Il 27 maggio 1919 giunse al convento di Cappuccini di Santa Croce in Padova, dove riprese il proprio posto nel confessionale. La sua popolarità aumentò a dispetto del carattere schivo. Gli Annali della Provincia Veneta dei Cappuccini riportano: “Nella confessione esercita un fascino straordinario per la grande cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità della vita. A lui affluiscono non solo popolani, ma specialmente persone intellettuali e aristocratiche, a lui professori e studenti dell'Università e il clero secolare e regolare”. Nell'ottobre del 1923 i superiori religiosi lo trasferirono a Fiume (Rijeka), dopo che il convento era passato alla Provincia Veneta. Ma, soltanto una settimana dopo la sua partenza, il vescovo di Padova, mons. Elia Dalla Costa, interprete della cittadinanza, invitò il Ministro provinciale dei francescani Cappuccini, padre Odorico Rosin da Pordenone, a farlo ritornare. Così, per il Natale di quell'anno padre Leopoldo, obbedendo ai superiori e congedando il sogno di lavorare sul campo per l'unità dei cristiani, era di nuovo a Padova. Da Padova non si allontanerà più per il resto della vita. Qui, spenderà ogni momento del suo ministero sacerdotale nell'ascolto sacramentale delle confessioni e nella direzione spirituale. Domenica 22 settembre 1940, nella chiesa del convento di Santa Croce, si festeggiarono le nozze d'oro sacerdotali, cioè il 50º anniversario dell'ordinazione presbiterale. Le spontanee, generali e grandiose manifestazioni di simpatia e stima a padre Leopoldo fecero chiaramente conoscere quanto vasta e profonda fosse l'opera di bene da lui svolta in cinquant'anni di ministero. Negli ultimi mesi del 1940 la sua salute andò sempre più peggiorando. All'inizio di aprile 1942 fu ricoverato all'ospedale: ignorava di avere un tumore all'esofago. Rientrato in convento continuò a confessare, pur in condizioni sempre più precarie. Com'era solito fare, il 29 luglio 1942 confessò senza sosta, trascorrendo poi gran parte della notte in preghiera. All'alba del 30 luglio, nel prepararsi alla santa messa, svenne. Riportato a letto, ricevette il sacramento dell'unzione degli infermi. Pochi minuti dopo, mentre recitava le ultime parole della preghiera Salve Regina, tendendo le mani verso l'alto, spirò.
Pensieri “Quando il Padrone Iddio ci tira per la briglia, direttamente o indirettamente, lo fa sempre da Padre, con infinita bontà. Cerchiamo di comprendere questa mano paterna che con infinito amore si degna di prendersi cura di noi”. “L’amore di Gesù è un fuoco che viene alimentato con la legna del sacrificio e l’amore della croce; se non viene nutrito così, si spegne”.
Preghiera del malato O caro san Leopoldo, tu hai sempre aiutato e consolato quanti ricorrevano a te nelle loro necessità spirituali e materiali. Animato da grande confidenza, anch’io ricorro a te, così ricco di benevolenza e generosità. Nella tua vita hai provato il turbamento e la fatica di vivere con il tumore: stammi vicino. Tu conosci la mia angustia e trepidazione: vieni in mio aiuto. Sorreggi la mia fede, rafforza la mia speranza, ottienimi la grazia di affrontare la sofferenza e le cure del mio male, superando positivamente questa prova. Intercedi presso il Padre affinché il mio cuore trovi la pace e la serenità vera. Fa’ che io possa, con animo riconoscente, ringraziare quel Dio misericordioso che tu stesso proclamavi “medico e medicina”.
|
---|---|---|---|---|---|---|
13 Maggio 2024 | 14 Maggio 2024 | 15 Maggio 2024 |
16 Maggio 2024-: Beata Madre di Misericordia-: Beata Madre di Misericordia16 Maggio 2024 - Beata Madre di Misericordia Il titolo di «Madre di misericordia», che per primo sant'Oddone († 942), abate di Cluny, si ritiene abbia attribuito alla Madonna, giustamente celebra la santa Vergine, sia perché ci ha generato Gesù Cristo, che è la misericordia visibile dell'invisibile Dio misericordioso, sia perché è madre spirituale dei fedeli, piena di grazia e di misericordia: la beata Vergine è chiamata «madre della misericordia» - scrive san Lorenzo da Brindisi -, il che significa che è infinitamente misericordiosa, madre clementissima e tenerissima, madre dolcissima». La Madre di Gesù, che ora è in cielo, presenta le necessità dei fedeli al Figlio suo, che, quando era in terra, supplicò per gli sposi a Cana (Gv 2,1-11). Nel formulario della messa la beata Vergine è celebrata anche come: - profetessa che esalta la misericordia di Dio; due volte nel cantico «Magnificat» ha lodato Dio che usa misericordia: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono»; «ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,50.54). Per questo i fedeli desiderano vivamente «magnificare con Maria la bontà infinita» di Dio; - donna che ha fatto un 'esperienza della misericordia di Dio: «la regina clemente, esperta della benevolenza (di Dio), accoglie quanti nella tribolazione ricorrono a lei. Scrive Giovanni Paolo Il riguardo alla beata Vergine: «Maria (...) in modo particolare ed eccezionale - come nessun altro - ha sperimentato la misericordia; (...) avendo fatto esperienza della misericordia in una maniera straordinaria» (Lettera Enciclica Dives in misericordia, 9).
|