Linee guida per il Cammino Sinodale – Fase Sapienziale 2023-2024

Foto DiocesiDiRoma/Gennari

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Di seguito l’intervento del cardinale vicario Angelo De Donatis

“Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.” (Lc 24,31)

Carissimi,
sento la necessità di ripercorrere con voi in modo breve alcuni dei passaggi vissuti come Chiesa di Roma negli ultimi anni, per poter meglio collocarci nel presente e per aiutarci a dare l’avvio all’anno pastorale che ci aspetta.

Fare questo esercizio di memoria, far riaffiorare al cuore il ricordo di ciò che si è vissuto, non è dettato da un intento apologetico rispetto alle scelte compiute o dal bisogno di evidenziare una linea coerente e consequenziale. Al contrario, ciò che conta è il cammino effettivamente vissuto, con tutto il suo bagaglio di passaggi imprevisti, di ripensamenti ed arretramenti, di esperienze di crescita comunitaria ma anche di situazioni di disorientamento, di frattura e di conflitto. È comunque il cammino del Popolo di Dio che è in Roma, e questo cammino è un luogo teologico, direi, in cui si rivelano, come nella storia di Israele e della prima Chiesa, la fedeltà di Dio e insieme anche le miserie degli uomini.

In accordo con quello che ci ha sempre detto Papa Francesco, abbiamo superato fin dall’inizio la logica dei piani pastorali annuali e dei convegni. È stata una decisione coraggiosa. Bisognava mettere in evidenza che al centro della missione della Chiesa c’è lo Spirito Santo e non la capacità umana di saper pianificare. È lo Spirito Santo la sorgente e il segreto motore dell’evangelizzazione, non la Chiesa, non noi. Sembra un’affermazione evidente, o addirittura scontata, ma non lo è affatto. Cambia tutto, se la prendiamo sul serio: implica uno sguardo radicalmente diverso sulla nostra vita pastorale e sulla realtà intera, e soprattutto esige e chiede alle nostre comunità uno stile e dei ritmi di cammino molto dlversi da quelli a cui siamo abituati, più centrati sulle tappe di maturazione a cui il Signore ci vuole portare e meno preoccupati delle iniziative da realizzare. Ciò che è fondamentale è sperimentare la sinodalità del Popolo di Dio, che cammina insieme aprendosi a tutte quelle situazioni, volti, voci che contengono un’ispirazione dello Spirito.

Provo a riassumere quanto abbiamo vissuto.

L’obiettivo del primo anno (2017-2018) è stato quello di verificare le malattie spirituali delle nostre comunità parrocchiali (grazie al secondo capitolo di Evangelii Gaudium, nella parte dedicata a “le tentazioni degli operatori pastorali”); la verifica è stata realizzata dal 70% delle parrocchie e si è conclusa con l’assemblea del 14 maggio 2018 nella Basilica di San Giovanni in Laterano. In quell’occasione abbiamo presentato a Papa Francesco la sintesi delle riflessioni emerse (l’autoreferenzialità, il pessimismo sterile e la guerra tra noi, sono state le malattie più segnalate) e il Papa ci invitò ad adottare un paradigma biblico, quello dell’Esodo, per il percorso dei sette anni, spiegandoci il senso e la bellezza di farsi illuminare da un paradigma biblico per il cammino.

L’anno successivo le comunità parrocchiali hanno fatto memoria di come il Signore le ha guidate e fatte maturare nel tempo, attraverso i diversi passaggi della stagione postconciliare e lo hanno raccontato in assemblee parrocchiali e di Prefettura.

Vi ricordate? Sull’esempio del Deuteronomio (Ricordati di tutto il cammino…) abbiamo cercato non di scrivere una “cronaca” storica, ma di sviluppare insieme, comunitariamente, uno sguardo contemplativo sull’opera che Dio ha compiuto nella Chiesa di Roma. Era un obiettivo ambizioso, se volete, ma alla portata delle nostre comunità, che venivano così aiutate non a raccontare fatti ma a discernere l’opera di Dio, a constatare che l’aiuto del Signore non era venuto meno nel tempo e che aveva senso continuare a confidare nella sua guida, a riconoscere nella fede le mille situazioni e anche le persone attraverso le quali Egli aveva parlato. In tantissime comunità, lo ricordo anche personalmente, abbiamo vissuto momenti intensi e ricchi. Inoltre nella Quaresima del 2019 abbiamo vissuto un forte momento di riconciliazione comunitaria, una richiesta reciproca di perdono, non solo tra le persone ma anche tra gruppi e associazioni ecclesiali, in modo tale che il riconoscimento reciproco della comune debolezza aprisse uno spazio maggiore all’azione della Grazia.

Il 9 maggio 2019 Papa Francesco ha lanciato nella Basilica di San Giovanni in Laterano il cammino dei due anni successivi (2019-2021): abitare con il cuore la città, mettendosi in ascolto del grido dei giovani, delle famiglie, delle persone povere e fragili, un ascolto contemplativo che permettesse di cogliere la presenza di Dio nella città e nella vita delle persone. Il riferimento nel paradigma dell’Esodo era al terzo capitolo, quando Dio dice a Mosè nel roveto ardente di aver ascoltato il grido degli Ebrei e di voler inviare lui a liberare il Popolo.

Richiamandoci il discorso di Firenze 2015, Papa Francesco ci raccomandò lo stile di questo ascolto e dialogo con tutti: umiltà, disinteresse e testimonianza della beatitudine dell’incontro con Gesù. In quell’occasione il Papa ci disse che la conversione missionaria non punta a creare una Diocesi più efficiente, ma a renderci più capaci di ascoltare lo Spirito, e questo significa accettare di essere “squilibrati” in vista di una nuova armonia realizzata dallo Spirito. Nella Veglia di Pentecoste 2019 a Piazza San Pietro il Papa affidò a tutti i cristiani di Roma il “mandato dell’ascolto”.

Nel frattempo, sulla scorta delle parole del Papa, invitammo tutte le parrocchie a costituire un’équipe pastorale formata da dodici “squilibrati” per animare questa tappa e per raccogliere le indicazioni pastorali che da questo ascolto sarebbero scaturite: queste équipe hanno ricevuto da lui uno specifico mandato il 9 novembre dello stesso anno nella Basilica di San Giovanni in Laterano. La scelta dell’équipe, lo ricorderete, puntava a coinvolgere nei processi di discernimento persone diverse dalle “solite”, persone più “santamente intraprendenti”, in modo da integrarle in un secondo momento negli abituali organismi di partecipazione, nei consigli pastorali.

Di per sé questa tappa non doveva durare due anni; ma il Covid 19 ci ha costretto tutti ad arrestarci e a riflettere, riscoprendo una prossimità con gli abitanti della nostra città fatta di ascolto, di cura delle relazioni, di solidarietà concreta. Non c’era altro modo di attraversare la dura esperienza della pandemia se non continuando a stare vicini gli uni agli altri, a custodirci, ad aspettarci a vicenda evitando che qualcuno si isolasse o rimanesse indietro.

Il dilagare della malattia, la proibizione di uscire e le relazioni vissute solo attraverso la rete online, la Pasqua celebrata nella case, ci hanno fatto sperimentare una situazione misteriosamente simile a quella vissuta dal Popolo in Egitto: le dieci piaghe, la notte di Pasqua in casa per evitare l’angelo distruttore, e finalmente la partenza verso il passaggio del Mar Rosso, in vista di un nuovo cammino e di una rigenerazione (l’attraversamento del Mar Rosso allude alla rinascita battesimale…). Avevamo la consapevolezza credente di un tempo totalmente affidato al Signore, in cui a noi era chiesto di rimanere nell’unica realtà essenziale, che è l’appartenenza a Lui e alla comunità umana. Privati dei mezzi abituali con cui si esprime e si nutre la nostra fede, privati persino della celebrazione dei sacramenti, ci siamo aggrappati al Signore e da Lui siamo stati guidati a farci vicini e solidali a tutti gli uomini, condividendone la vita, la percezione di incertezza, la fatica di aspettare ogni giorno qualche buona notizia che alimentasse la speranza. Questa situazione così inedita, che ci ha messo “tutti nella stessa barca”, ci ha insegnato anche l’atteggiamento profondo con cui vivere il dialogo con tutti e l’ascolto: l’amore di amicizia. L’abbiamo sottolineato nelle linee pastorali 2020-21: è necessario approcciare gli altri senza la pretesa di essere superiori a nessuno, in uno stato di povertà del cuore che permetta di essere presenti tra gli altri senza arroganza, di annunciare il Vangelo senza esibirlo come un proprio merito, di aiutare i poveri senza umiliarli. L’amore di amicizia disattiva il meccanismo perverso dell’affermazione di sé e del proprio gruppo favorendo un dialogo e un confronto senza “inquinamenti”, condizione necessaria per l’evangelizzazione; è il frutto più bello, a livello delle relazioni con gli altri, di un cammino personale e comunitario di conversione umile al primato dello Spirito, che opera tutto in tutti e attraverso di tutti.

Nel giugno 2021, lo ricorderete, avevamo immaginato, durante una “due giorni” con il Consiglio dei Prefetti e i Direttori degli Uffici Pastorali del Vicariato, di puntare per l’anno pastorale 2021-22 sull’esperienza del kerigma (in generale, il terzo capitolo di Evangelii Gaudium) per ripartire tutti insieme dal cuore dell’esperienza di fede, l’incontro con il Risorto, incontro da cui inizia ogni rinascita battesimale personale e comunitaria. Il cammino formativo delle équipe pastorali sul libro del Papa “Senza di me non potete far nulla”, dedicato al tema della missione della Chiesa, aveva posto le premesse per un linguaggio comune sull’evangelizzazione, individuandone gli elementi fondamentali, le dimensioni costitutive.

Ma ad un certo punto, durante l’estate, in Papa Francesco matura la convinzione che fosse preferibile, per la Chiesa di Roma, allinearsi sul cammino sinodale della Chiesa Universale e della Chiesa italiana, anche se questo significava concretamente ritornare sull’esperienza dell’ascolto reciproco e dell’ascolto di tutti per riconoscere la voce dello Spirito. A molti sembrò di ritornare indietro. Eppure, alla luce dei due anni trascorsi, dobbiamo riconoscere che abbiamo vissuto altri passaggi importanti e decisivi per il nostro cammino ecclesiale.

Prima di tutto il Papa ci ha regalato il discorso più bello sul senso del cammino sinodale, quello del 18 settembre 2021, rivolto proprio a noi, fedeli di Roma. L’inseparabilità dell’ascolto della Scrittura e dell’ascolto di tutti, in vista di un’apertura del cuore capace di intercettare le ispirazioni dello Spirito, sono dimensioni da coltivare permanentemente. Ci ha fatto molto bene vivere l’esperienza dei gruppi di ascolto tra di noi attraverso il metodo della conversazione spirituale, a partire dai brani delle Beatitudini: ci ha spinto a vivere incontri comunitari non centrati sul dibattito tra posizioni diverse, ma sull’ascolto reciproco e sul discernimento comunitario della voce dello Spirito. Così il cammino sinodale non è stato né un processo contro qualcuno né tantomeno la semplice sagra delle lamentele, bensì un cammino in cui la ferita dell’altro è la mia ferita, un aspetto critico e debole della comunità è il mio punto debole, etc. Abbiamo vissuto un ascolto di Popolo di Dio, effettuato dal Popolo di Dio, battezzati e pastori insieme. È stato un bel modo di “celebrare” i sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano Il (1962-2022), di vivere nella concretezza l’ecclesiologia conciliare di comunione.

Il frutto di questo ascolto è stato fissato poi nella sintesi diocesana che abbiamo restituito a tutti a fine giugno dell’anno scorso, alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo. Una sintesi in cui sono confluite le voci, le vite, le parole di tante persone, di tante situazioni.

Nell’economia del cammino sinodale, per come è stata poi declinata dalla CEI, la fase narrativa della durata di due anni prevedeva la partenza di “cantieri pastorali”, emersi dal confronto delle sintesi di tutte le diocesi italiane. Ispirati dal brano biblico della visita di Gesù nella casa di Marta e Maria a Betania, i quattro cantieri rappresentano i “luoghi” in cui le comunità cristiane continuano il loro ascolto reciproco, la loro riflessione sui nodi fondamentali della vita ecclesiale (la corresponsabilità dei laici, la formazione spirituale, i sacerdoti…), ma anche il dialogo e l’ascolto di tutti. Vero è il fatto che per noi è stato un anno atipico, o meglio, il nostro cantiere principale ad un certo punto è diventata la Costituzione In Ecclesiarum Communione, con la conseguente riforma del Vicariato, e gli organi sinodali di partecipazione che siamo stati invitati a creare a tutti i livelli della Chiesa Diocesana.

Quando abbiamo iniziato il cammino, nel 2017, l’intenzione che ci ha esplicitamente guidato era “far funzionare” Evangelii Gaudium come testo di riferimento per l’attivazione di tutto il processo ecclesiale, come richiesto da Papa Francesco nell’Esortazione stessa (EG 25). Di fatto abbiamo utilizzato i primi due capitoli dell’Esortazione, insieme all’ultimo, dedicato alla spiritualità degli evangelizzatori. A dieci anni dall’uscita di Evangelii Gaudium, nel novembre 2023, ci piacerebbe fare una verifica della nostra “receptio”, non soltanto per confermare la bontà e la fecondità dell’itinerario compiuto, ma soprattutto per rilanciarla come bussola per la prosecuzione del nostro cammino ecclesiale.

 

FASE SAPIENZIALE

Dopo la fase narrativa, con il nuovo anno pastorale il Cammino Sinodale entra nella sua fase sapienziale. Che significa?

Abbiamo vissuto quattro anni molto intensi, dedicati all’ascolto della Parola di Dio unito all’ascolto tra di noi e all’ascolto di tutti. Il desiderio di allinearci al Cammino Sinodale della Chiesa universale e della Chiesa italiana ci ha spinto a rimanere per un tempo prolungato nella dinamica spirituale dell’ascolto contemplativo, quasi un tempo di ricerca e di attesa, in modo da creare quello spazio aperto, quell’allargamento della mente e del cuore, necessario perché lo Spirito Santo possa parlare. Le narrazioni di vita, ascoltate soprattutto dalle labbra di chi si sente lontano dalla Chiesa e dalle labbra dei poveri, sono state fondamentali per realizzare in noi questo “allargamento”. Ci siamo resi conto che non aveva senso continuare a girare intorno alle solite dinamiche e ai soliti problemi ecclesiali, mentre insieme con i nostri contemporanei stiamo vivendo un cambiamento d’epoca. Vi invito a meditare la memoria del cammino fin qui compiuto perché aiuta a ricollocarci nel pellegrinaggio che ci porta fino al Giubileo 2025.

Inaugurare quest’anno la fase sapienziale significa decidere con coraggio di affrontare la sfida del discernimento comunitario della voce dello Spirito.

È un passaggio importante. Potremmo infatti pensare che, alla luce degli ascolti fatti, non ci rimanga che tirare le fila e prendere conseguentemente delle decisioni, magari a “maggioranza qualificata”. Sarebbe un errore! Dobbiamo evitare una certa fretta decisionistica, e rimanere nel solco della vita spirituale, altrimenti rischiamo di fare un semplice “maquillage” ecclesiale, sulla base soltanto delle informazioni ed impressioni raccolte. In questa fase, come e forse più della precedente, è indispensabile rafforzare la vita nello Spirito, la preghiera individuale e comunitaria, e solo lentamente riusciremo a capire dove ci sta portando il Signore.

Se poi pensate alla sintesi diocesana che abbiamo inviato alla CEI, buona parte dei contenuti sono sottolineature di criticità, difficoltà, aspetti problematici, cioè un insieme di elementi che spingono ad un certo rinnovamento ecclesiale. Attenzione però, perché non basta questo per creare le condizioni per un buon discernimento spirituale! Dibattere sul “negativo”, discutere tra di noi a partire dai nodi irrisolti e dai passi falsi compiuti, prendere di conseguenza le decisioni che sembrano più necessarie per evitare il fallimento e recuperare “terreno” con le persone… mi sembra una modalità di discernimento troppo “umano” o, per dirla con San Paolo, molto “carnale”.

Per spiegare cosa sia il discernimento a cui siamo chiamati, vi invito a contemplare un’icona evangelica che tutti conosciamo e che abbiamo già incontrato nel nostro cammino pastorale di questi anni: i discepoli di Emmaus.

Sottolineerò tre passaggi:

1) Cleopa e il suo compagno (o si tratta di una donna? Che i due discepoli siano in realtà una coppia di sposi è un’ipotesi esegetica realistica e… interessante!) stanno andando via da Gerusalemme e discutono animatamente tra di loro di tutto ciò che era accaduto. Sono in grado di raccontare ciò che è successo, per filo e per segno, anche allo straniero che sta camminando con loro e che sembra non sappia nulla degli eventi recenti. Sanno mettere tutto in fila, ma solo per sottolineare la loro delusione, la loro sofferenza: “noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele!”, e invece è finito sulla croce. Raccontano del fallimento del Maestro, della sua morte, del sepolcro vuoto e delle donne visionarie che dicono di aver ricevuto un annuncio da parte degli angeli.

I due hanno fatto discernimento e la loro conclusione è molto chiara: il fallimento di Gesù è il nostro fallimento; non c’è niente da fare, non c’è futuro, e per quanto doloroso, questa è la realtà da accettare. Invece le donne, che pure lo hanno visto morire sulla croce, non si sono rassegnate e quindi è iniziata la follia, il delirio di chi ritiene di averlo visto vivo. Ormai la comunità dei discepoli è impazzita e divisa: meglio allora allontanarsi da questo gruppo di discepoli resi ciechi e pazzi dal loro dolore, meglio ritornare a casa e alla vita di prima.

Ecco, questo è il frutto del discernimento dei due discepoli. Un discernimento senza Gesù, senza lo Spirito, all’apparenza pieno di realismo, di intelligenza e di umano buon senso. Un discernimento nato dall’ascolto reciproco di due discepoli che hanno conosciuto il Signore ma che non ricordano più il cammino fatto insieme al Maestro verso Gerusalemme. In quel viaggio, raccontato dall’evangelista Luca a partire dal capitolo 9, Gesù annuncia per tre volte che a Gerusalemme lo attende la passione, l’ingresso nel regno promesso dal Padre attraverso la croce. Egli non si rivolge quasi più alle folle per dedicarsi all’insegnamento impartito ai discepoli (quelli rimasti) e che, convinti che Gesù non parli “sul serio”, lo seguono nonostante tutto, nonostante gli annunci profetici della sua morte. I due discepoli di Emmaus non hanno custodito nella memoria nulla di questa istruzione prepasquale sul Messia sofferente. Eppure sono stati con il Signore, hanno camminato con Lui e lo hanno ascoltato, ma senza capire il senso profondo della rivelazione contenuta nelle parole pronunciate durante il viaggio verso Gerusalemme.

Ma i loro occhi erano impediti di vederlo…”  Non lo riconoscono, non distinguono nel forestiero la presenza del Risorto. Per poter vedere hanno bisogno di occhi nuovi (solo chi rinasce dall’alto può vedere il regno di Dio, dice Gesù a Nicodemo) ma questi occhi nuovi, capaci di cogliere la presenza di Dio nella storia umana, ce li consegna solo la Pasqua di Gesù, lo Spirito del Risorto.

Comprendiamo allora che c’è una grande differenza tra il ragionamento umano, dove al massimo regna la logica e il “buon senso”, e la rivelazione della volontà di Dio che lo Spirito ci vuole donare. Forse non ci prestiamo molta attenzione, ma questa è davvero la domanda da farsi: cosa ci guida, quando nelle nostre comunità ci ritroviamo insieme per riflettere e decidere? Perché talvolta la volontà di Dio va in una direzione opposta al realismo troppo umano! Lo Spirito ribalta i tavoli, ci ha detto Papa Francesco, e crea scompiglio per creare una nuova armonia. Lo Spirito dona quella fede soprannaturale che ci fa credere che Gesù è risorto, che è presente in mezzo a noi e che è il Signore della storia umana, al di là di ogni evento che fa piombare nell’avvilimento o nella disperazione.

Per questo il discernimento comunitario non è una discussione di gruppo, ma si realizza in un contesto di preghiera, dove ci mettiamo ai piedi del Signore, in ascolto della Parola di Dio, nella ricerca della sua volontà e non della nostra. Ognuno di noi deve accettare la possibilità che anche i suoi occhi siano incapaci di vedere e che la strada indicata dal Signore sia un’altra rispetto a quella che ha ipotizzato. Ho bisogno di ascoltare gli altri e di scrutare la Scrittura per permettere al Signore di comunicarsi il suo punto di vista. È la rinuncia alla volontà propria perché possa convertirmi alla volontà di Dio e non sentirmi dire dal Signore “Stolto e lento di cuore a credere alla Parola…”.

2) Un secondo aspetto: se leggiamo il racconto evangelico “dalla parte” di Gesù Risorto, comprendiamo meglio quali siano le intenzioni del Signore. Egli non blocca la fuga dei discepoli, ma va loro incontro nelle vesti di un viandante sconosciuto, cammina con loro, si mette in ascolto delle loro delusioni, prova ad interagire nella discussione riaprendo il loro discernimento e proponendo una prospettiva “altra”, diversa… la prospettiva donata dalla Parola di Dio, testimoniata dalla parola dei profeti. Il Signore non può sopportare che la sua piccola comunità, con una missione storica così importante, perda la fede, si divida e si disperda, ma come Buon Pastore va in cerca di tutti i suoi fratelli per riportarli nel Cenacolo di Gerusalemme. Egli conosce il cuore dei discepoli di Emmaus: sa che può ancora ardere a contatto con la Parola di Dio. Egli è convinto che i suoi due amici non si ripiegheranno nel loro scetticismo triste e senza prospettiva, anche se in questo momento sono poco disposti a dare credibilità alle fantasie delle donne e alle parole di uno straniero. Hanno solo bisogno di fare ancora un pezzo di strada con Lui, di ascoltarlo ancora mentre mostra il filo rosso che lega Isacco, il servo sofferente di Jhwh cantato da Isaia, Geremia e il suo dolore solitario, i profeti perseguitati e messi a morte, fino a Lui e alla sua croce, Lui che è il Messia e Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del Cielo.

Vedete quanto è importante per noi ascoltare il Signore, nella Scrittura e in ogni sconosciuto con cui entriamo in contatto nelle strade dei quartieri della nostra città? È solo la nostra stupidità spirituale che ci fa ritenere di non averne bisogno, l’indurimento del nostro cuore dovuto ad una sorta di superbia fatta di senso di superiorità e di autosufficienza. Il Signore vuole davvero che il nostro Cammino Sinodale sia fatto di ascolto della Parola e di disponibilità al dialogo con tutti, oppure come ha detto Papa Francesco per due volte nel suo discorso all’assemblea della CEI di maggio scorso: con “tutti, tutti, tutti”.

In effetti, noi saremmo tentati di affidare il discernimento comunitario ad un gruppo di persone qualificate e ben formate: prendiamo “i migliori” e chiediamo loro di dirci cosa vuole da noi il Signore. Ma non funziona. Il Padre rivela i misteri del Regno non ai sapienti e ai dotti, ma a chi si fa piccolo, così piccolo da fare spazio agli altri e a Dio, così umile e mansueto da essere come un bue che si fa mettere al collo il giogo della Parola di Dio per farsi guidare (Mt 11,25-30). Per Gesù questo “altro” con cui Egli cammina può essere “pagano e idolatra”, come la donna sirofenicia, o persino “nemico”, come il centurione romano: egli scopre con gioia che la loro piccolezza nasconde una statura grande di fede. Anche una persona lontana dalla comunità o a noi sconosciuta, può essere la finestra attraverso cui arriva tanta luce perché ci rendiamo conto che lo Spirito accompagna non solo la vita dei credenti, ma anche la ricerca inquieta di tanti nostri contemporanei, e che spesso è anche la nostra. Ecco che può succedere che un viandante inatteso ci ponga le domande giuste, quelle dell’uomo di oggi, con le quali scrutare la Scrittura; o ci testimoni, sorprendendoci, una sapienza di vita permeata di Vangelo; o persino che ci faccia ardere il cuore, perché ci rivela che quel brano biblico, tante volte letto distrattamente, contiene il fuoco dello Spirito, la risposta che cercavamo. La Chiesa cammina con tutti, non allontana nessuno, perché ogni uomo può essere il Signore Risorto che si avvicina: anche questo è a fondamento di ogni discernimento comunitario. Perché porti frutto, è necessario che la comunità cristiana rinunci ad ogni mentalità elitaria, ma custodisca la consapevolezza di essere Popolo di Dio e si ponga sempre in un atteggiamento di apertura verso tutti, soprattutto verso i piccoli e i poveri.

3) In ultimo, vorrei farvi notare che gli occhi dei discepoli sono guariti e si aprono per la Parola di Gesù e per il segno dello spezzare il Pane, manifestazioni della presenza del Risorto. L’Eucarestia che celebriamo ha il potere di aprirci gli occhi. In questo senso, come scrive Mons. Erio Castellucci, “non c’è solo un’analogia, ad unire le due celebrazioni (sia l’Eucarestia che il Sinodo si celebrano) ma è una co- implicazione tale, che si potrebbe definire la Sinassi Eucaristica un Sinodo concentrato e il Cammino Sinodale, un’Eucarestia dilatata”. È proprio così: quando la Chiesa ha il coraggio di vivere e camminare in maniera sinodale, non fa che prolungare, “dilatare” l’Eucarestia. Non solo perché l’assemblea eucaristica, di cui fanno parte tutti i battezzati, si riunisce per discernere e decidere, in dialogo con tutti gli uomini; ma perché al centro del discernimento della Chiesa c’è il Signore Crocifisso e Risorto: gli occhi nuovi, capaci di cogliere la presenza di Dio nella storia umana, ce li consegna solo la Pasqua di Gesù.

I due discepoli di Emmaus hanno udito le parole dei profeti che annunciano la realizzazione delle promesse di Dio grazie alle sofferenze dell’inviato di Dio: “non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria?”, e hanno sentito che il loro cuore “ardeva”; ma solo nel momento in cui il viandante accolto nella loro casa spezza il Pane, essi comprendono il senso profondo del gesto del Maestro durante l’ultima cena, un gesto in cui egli ha voluto concentrare tutta la sua vita consegnata e donata, il memoriale dell’amore di Dio che fa della croce l’Albero della Vita. Il fallimento di Gesù è spiegato dall’Eucarestia: non è la fine di tutto, ma la pienezza della manifestazione dell’amore di Dio e la realizzazione della salvezza per tutti gli uomini.

In sostanza, ogni discernimento che prescinda dal fatto che il Signore realizza il Regno in ciò che dal punto di vista umano sembra un fallimento, è un discernimento che non coglie l’opera di Dio. Chi non vive nella luce del Crocifisso Risorto non è capace di uno sguardo contemplativo, non coglie la presenza e l’opera di Dio nella storia umana, i suoi occhi vedono solo i fatti negativi, senza riuscire a realizzare che proprio attraverso questi eventi all’apparenza incomprensibili e spiazzanti, nei quali emerge tutta la debolezza della comunità cristiana, il Signore sta preparando novità che sanno di Resurrezione!

Vorrei che fissassimo nel cuore questo terzo punto della nostra riflessione sui discepoli di Emmaus. Siamo chiamati a riprendere in mano la sintesi, che sia quella diocesana o della nostra comunità parrocchiale, sempre e comunque partendo da un brano della Scrittura, e rileggere i racconti e le condivisioni, il frutto del nostro ascolto reciproco e dei nostri dialoghi con tutti, con una chiave spirituale chiara: la Pasqua di Gesù, il suo Mistero di Crocifisso Risorto, di cui siamo tutti resi partecipi attraverso il Battesimo e l’Eucarestia e con il quale sono messi in contatto dallo Spirito Santo tutti gli uomini (Gaudium et spes 22).

È proprio nel momento in cui il Signore spezza il Pane che si realizza un’irruzione dello Spirito Santo nel cuore dei discepoli, una Pentecoste che apre gli occhi e li spinge a ritornare di notte (una corsa “folle” …) nel Cenacolo di Gerusalemme per confermare agli apostoli la Resurrezione del Signore. L’annuncio delle donne non suona più assurdo e incredibile: davvero il Signore è risorto ed è apparso anche a noi! La missione della Chiesa nasce da questa sovrabbondanza di Spirito Santo, dall’incontro con il Signore che riempie di gioia e di entusiasmo. Qui non c’è bisogno di un lungo lavoro di discernimento… È talmente tanto evidente che dall’Eucarestia nasce la missione!

Dopo aver meditato il brano evangelico, ritorniamo con più chiarezza alla fase sapienziale. Alla luce del brano dei discepoli di Emmaus, che significa “discernimento comunitario”? Non è una “tecnica pastorale”, ma una dimensione essenziale e permanente della vita della Chiesa e di ogni comunità ecclesiale: è l’assemblea eucaristica che, in ascolto della Parola e sentendosi in cammino e in dialogo con tutti gli uomini, cerca la volontà di Dio qui e ora alla luce della Pasqua di Gesù, permettendo allo Spirito Santo di irrompere nella sua vita, di guidarla nelle scelte, di convertirla alla missione. Già lo scorso anno, utilizzando il metodo della “conversazione spirituale” nei gruppi sinodali, abbiamo di fatto vissuto in germe l’esperienza del discernimento comunitario. In tutte le Chiese d’Italia è stata confermata la bellezza e l’efficacia di questo metodo, e quest’anno potremo viverlo con più consapevolezza. Nessuno di noi si illude che il discernimento comunitario sia un’esperienza semplice; non è semplice nemmeno il discernimento individuale, con il quale abbiamo una certa dimestichezza, come potrebbe esserlo quello comunitario?

Tuttavia sarebbe insensato metterlo da parte. Dobbiamo invece creare le condizioni perché possiamo viverlo.

Per favorire la riflessione comune, vorrei sintetizzarvi in un elenco alcune attenzioni da avere. Sono frutto del lavoro comune compiuto con gli altri Vescovi ausiliari, i parroci prefetti e i direttori degli Uffici della Diocesi e l’Équipe pastorale Diocesana:

1. Il soggetto che discese è la comunità che si riunisce in ascolto della Parola ed intorno all’Eucarestia e che si “mette in discussione”, in stato di conversione pastorale e di riforma, perché vuole davvero ascoltare lo Spirito per aderire con tutta sé stessa alla volontà di Dio. Non demanda ad alcuni il discernimento, ma coinvolge tutti i battezzati, sentendosi in cammino e in dialogo costante con gli uomini del nostro tempo, abitando i villaggi e le strade della città.
2. Quanto all’oggetto del discernimento: in ogni riunione di gruppi o di comunità che vogliano discernere insieme la volontà di Dio, è importante circoscrivere e precisare quale sia l’oggetto del discernimento e verificare che tutti abbiano le informazioni necessarie per poter valutare e decidere.
3. Fare discernimento significa entrare in un processo di preghiera, che permetta a tutti di mettersi davanti al Signore con lo scopo di ascoltare la sua volontà e ridimensionare la propria. In sostanza, viene proposto a tutti di assumere l’atteggiamento della conversione: un atteggiamento contrario all’individualismo e all’autosufficienza, per ribadire la necessità di comprendere insieme agli altri cosa ci chieda il Signore, di lasciarsi inspirare dallo Spirito che può parlare attraverso tutti, anche i più deboli.
4. Mettersi in ascolto della Parola di Dio: interpretare la situazione presente alla luce della Parola di Dio, fare memoria di alcuni brani della Scrittura che sono particolarmente significativi perché indicano come Dio “vede” la realtà e come agisce nella storia.
5. Ricercare un tempo lungo e sereno per ascoltare la Parola di Dio e per ascoltare tutti.
6. Condividere con gli atri, in un dialogo aperto e sincero, i pensieri e i sentimenti che ciascuno prova. Non aver paura di esprimere anche il proprio senso di delusione o di frustrazione o l’insicurezza che ci ha lasciato nel cuore la memoria di alcuni momenti bui vissuti. Nello stesso tempo, far presente le proprie speranze, i desideri, le attese, soprattutto se si pensa che dietro vi sia un’ispirazione dello Spirito.
7. Oltre al proprio mondo interiore, è bene raccontare le tradizioni da cui veniamo, le prassi consolidate, le esperienze vissute, le indicazioni magisteriali che ci hanno guidato nel passato; a questo punto è importante condividere anche le intuizioni che sembrano orientarci per il presente e il futuro, per verificare insieme agli altri se vengono dallo Spirito.
8. Provare ad individuare tra le cose dette e ascoltate quelle che contengono
l’indicazione della volontà di Dio. Convergere su una direzione comune che ci sembra sia inspirata dallo Spirito, e che accolga la verità di ciò che è stato condiviso. Il pastore, che fino adesso si è limitato a favorire il processo del discernimento (custodendo il clima della comunione, garantendo l’ascolto di tutti, ecc.) conferma o corregge le conclusioni, riconoscendo nel processo compiuto l’azione di Dio. Ognuno è chiamato ad accogliere le decisioni frutto del discernimento comune e della conferma del pastore.

Sono personalmente convinto che, se nelle nostre comunità, sapremo custodire questo clima di preghiera e di apertura all’azione di Dio, sperimenteremo una grande ricchezza. Nel discorso, a cui ho già fatto riferimento, di Papa Francesco all’Assemblea CEI egli ci ha lasciato quattro importanti consegne: continuate a camminare; continuate a fare Chiesa insieme; ad essere una Chiesa aperta a tutti; ad essere una Chiesa inquieta nelle inquietudini del nostro tempo. Soprattutto egli ci ha invitato a non aver paura di essere una Chiesa “vulnerabile”, che rifugge da ogni autoreferenzialità e da ogni clericalismo, e ad avere grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando. Vi leggo un bel passaggio: “È Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa, l’armonia”.

Con questa fiducia nel cuore, possiamo affrontare il prossimo anno pastorale. Vorrei presentare, insieme agli altri Vescovi, alcune concrete linee, facendo riferimento alle tre parole del Sinodo dei Vescovi di ottobre: comunione, partecipazione, missione. A breve usciranno poi le linee guida della CEI, per cui rimaniamo aperti ad eventuali altri suggerimenti e nuove indicazioni.

COMUNIONE:

Alla base del Cammino Sinodale, ciò che lo rende possibile, è che lo Spirito custodisce la Chiesa nella Comunione, come il succo tiene insieme i chicchi del melograno. Unità nella pluralità dei ministeri e dei carismi, per cui è lo stesso Spirito che diversifica i doni rendendo ricca e poliedrica la Comunione.

Per questo, facendo nostra e attuale l’esortazione di San Paolo, è davvero importante “conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,3), vale a dire custodire il primato dello Spirito Santo in tutto quello che faremo. Mi riferisco al fatto che, conformemente alla Costituzione Apostolica In Ecclesiarum Communione, porteremo avanti il processo di conversione sinodale delle strutture e degli organismi della nostra Chiesa locale, a partire dai consigli pastorali parrocchiali, per poi arrivare al livello di Prefettura, di Settore e Diocesano. Questa conversione sinodale, come sapete, riguarda anche il Consiglio Episcopale stesso e gli uffici del Vicariato. Questa riforma potrà funzionare solo se questi organismi di partecipazione, di discernimento e di decisione nella Chiesa, saranno davvero luoghi in cui abitualmente ci metteremo in ascolto dello Spirito e non solo di esercizio di “buon senso umano”. Altrimenti scadranno immediatamente in “riunioni di condominio”! Nel cammino che abbiamo compiuto, per evitare fin dall’inizio questo rischio, abbiamo puntato sulle équipe pastorali, realtà più “carismatiche” che istituzionali. Ora è tempo di far confluire le équipe negli organismi ordinari, che sono i Consigli Pastorali; il metodo della “conversazione spirituale” ci ha aiutato e ci aiuterà ad evitare ogni deriva negativa, ogni ritorno alla condizione dei discepoli di Emmaus prima dell’incontro con il Risorto.

Ma soprattutto è necessario che in ogni momento possiate “misurare la temperatura” del clima e dello stile delle vostre comunità e dei suoi organismi di partecipazione. Quando non si mette al centro la Parola di Dio e l’Eucarestia, quando salta la comunione, bisogna fare molta attenzione e ripartire dalla conversione al Signore.

C’è un brano che cito spesso, per spiegare come si manifesta la comunione suscitata dallo Spirito. Lo racconterò ancora. È preso dal Colloquio con Motovilov, di San Serafino di Sarov (+1833), un grande santo russo. San Serafino riceve un giorno la visita del giovane Nikolaj. Nasce un dialogo, che inizia con la domanda del giovane:

Come posso scorgere in me la manifestazione dello Spirito Santo?”. “Ti ho già detto che è molto semplice. Cosa vuoi ancora?”. “Ho bisogno di capirlo ancora meglio”, rispose Nikolaj. Allora padre Serafino mi prese per le spalle, mi abbracciò e mi disse. “Siamo entrambi nella pienezza dello Spirito Santo. Perché non mi guardi?”. “Non posso, padre, dei lampi brillano nei suoi occhi e il suo volto è diventato più luminoso del solito. Mi fanno male gli occhi”. Non aver paura, amico di Dio, anche tu sei diventato luminoso come me, anche tu adesso sei nella pienezza dello Spirito Santo. Altrimenti non avresti potuto vedermi”.

Dopo l’esperienza della trasfigurazione dei volti il colloquio tra Serafino e Nikolaj continua così:

“Come ti senti adesso?”, chiese Padre Serafino. Stavano sulla neve e c’era molto freddo. “Eccezionalmente bene, sento un tepore nel cuore”. “Come bene? Cosa intendi con bene?’. “La mia anima è colma di un silenzio e di una pace inesprimibili”. “Amico di Dio, è quella pace di cui il Signore parlava quando diceva ai suoi discepoli “vi do la mia pace, non come la dà il mondo”.

Ecco, questo è il clima che si vive quando la Comunione che viene dallo Spirito ci afferra, quando ne siamo coinvolti come persone e come comunità. E a sua volta “lo Spirito cresce quando rimaniamo nella pace, quando c’è lo sguardo di benevolenza verso gli altri. Lo Spirito c’è quando siamo nell’uTYliltà, quando siamo nel gusto delle cose create, quando siamo nell’amicizia con la nostra fragilità, quando siamo nella pazienza verso noi stessi e verso gli altri, quando siamo nella gratitudine silenziosa, a volte fino alle lacrime. Lì lo Spirito c’è. Questi sono segnali dello Spirito Santo” (Giuseppe Forlai, Vestirsi di luce. Introduzione pratica alla vita dello Spirito, ed. Paoline, 2018, p. 142).

PARTECIPAZIONE:

Un processo sinodale riesce se coinvolge tutti, se permette a tutti di partecipare, di esercitare la propria corresponsabilità. Sarà davvero importante fare in modo che ogni consiglio, a tutti i livelli, sia “uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto, abbla la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare” (Proemio, §6), dove i sogni e le inquietudini delle persone possano essere espressi e diventare oggetto di discernimento. Quando si dà alla vita delle persone la possibilità di “venire allo scoperto”, si accendono mille “fuochi dello Spirito”, che dovremo aver cura di non spegnere con le nostre paure. La corresponsabilità chiede senso di appartenenza reciproca, poiché siamo un unico corpo, percezione del bisogno dell’altro rinunciando a fare da soli, premura e cura gli uni degli altri perché si è accomunati dalla vulnerabilità e dalla debolezza. In questa maniera il senso della fede di cui ogni battezzato è munito, il fiuto o il gusto delle cose di Dio, converge insieme con gli altri in un consenso di fede di tutti i fedeli, segno che lo Spirito ha parlato.

I “luoghi” in cui eserciteremo il discernimento comunitario sono prima di tutto i cantieri sinodali che abbiamo già fatto partire e che rappresentano alcuni snodi fondamentali della vita della Diocesi: la Chiesa in uscita che incontra e ascolta tutti con amore di amicizia (come abbiamo detto altre volte, è già l’inizio della missione!), la formazione di tutti (il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale), i ministri ordinati (il quarto cantiere che abbiamo scelto come Diocesi di Roma), la forma sinodale della vita della Chiesa e lo snellimento delle strutture (il cantiere della casa) e gli altri cantieri che avete attivato nelle vostre comunità.

Con l’aiuto di alcune schede (saranno sei), ogni realtà ecclesiale vivrà il discernimento comunitario su altrettante questioni fondamentali della nostra vita pastorale. Ogni scheda partirà da un brano della Parola di Dio e inviterà a procedere secondo il metodo della “conversazione spirituale”. Cercheremo di fare in modo che questi incontri sinodali siano momenti intensi di preghiera e di ascolto dello Spirito. Non scoraggiamoci, se all’inizio incontreremo qualche difficoltà, se cadremo nei due pericoli di cui parla il Papa: “le polarizzazioni”, quando ci blocchiamo in una posizione per motivi ideologici, o il “falso irenismo”, quando non affrontiamo le questioni più complesse per evitare il conflitto e custodire una pace solo “di facciata”. Cercheremo invece di vivere il “traboccamento”. Ascoltiamo questo bellissimo passaggio del Papa, in cui spiega che cosa intende con “traboccamento”: “questo progresso avviene come un dono nel dialogo, quando le persone si fidano a vicenda e cercano umilmente il bene insieme, e nel farlo sono disposti ad imparare l’una dall’altra in uno scambio reciproco di doni. In momenti del genere, la soluzione a un problema inestricabile arriva in modi inattesi e imprevisti, come risultato di una nuova e maggiore creatività liberata, per così dire, dall’esterno. Lo chiamo “traboccamento”, perchè rompe gli argini che confinavano il nostro pensiero e fa sgorgare, come da una fonte traboccante, le risposte che prima la contrapposizione non ci permetteva di vedere. Riconosciamo in questo processo un dono di Dio perché è l’azione dello Spirito stesso, descritta nella Scrittura ed evidente nella storia. […] La mia preoccupazione come Papa è stata quella di incoraggiare traboccamenti del genere all’interno della Chiesa, ridando vigore all’antica pratica della sinodalità. Ho voluto ravvivare questo antico processo non solo per il bene della Chiesa, ma come servizio a un’umanità che è così spesso bloccata da discordie paralizzanti” (Papa Francesco, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, ed. Piemme, 2020).

Ci aiuteremo ad avviare delle Scuole di Preghiera.

MISSIONE:

Lo Spirito ci mette in stato di permanente conversione in vista della missione. Come abbiamo ascoltato nel brano dei discepoli di Emmaus, la missione nasce dalla gioia e dall’entusiasmo dell’incontro con il Risorto, grazie agli occhi che si aprono per l’irruzione dello Spirito.

Vi invito a fare memoria di questo incontro con il Signore e a celebrarlo vivendo un pellegrinaggio quaresimale alla Cattedrale e al Battistero di San Giovanni. Il Capitolo dei Canonici della Cattedrale si è reso disponibile a facilitare e accompagnare le comunità in questo pellegrinaggio alla vigilia del Giubileo, che ci permette di riscoprire le radici della nostra identità più profonda: siamo battezzati, figli di Dio immersi nel corpo di Cristo Risorto, membra gli uni degli altri, discepoli missionari inviati per l’annuncio del Vangelo e la trasformazione del mondo nel regno di Dio. Si può organizzare questo pellegrinaggio sotto forma di una “Statio” quaresimale, anche a livello di Prefettura, per vivere questo momento celebrativo in una dimensione più esplicitamente comunionale ed ecclesiale.

Il 25 novembre, poi, è il decennale della pubblicazione di Evangelii Gaudium, il testo programmatico del pontificato di Papa Francesco, bussola che ha orientato il nostro cammino dei sette anni in vista del Giubileo. Vorremmo in quell’occasione verificare i passi compiuti nella direzione della nostra conversione pastorale, verificare cioè la nostra “recezione” dell’Esortazione apostolica.

Basilica di San Giovanni in Laterano, 23 giugno 2023

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