Un laboratorio sull’Iniziazione Cristiana – Sperimentazione nella Diocesi di Roma

Un parroco romano diceva: “la domenica alla messa del catechismo ho 100 bambini (e un po’ di genitori), ma non sono gli stessi che avevo l’anno scorso: ogni anno ne arrivano 50 nuovi e se ne vanno 50 comunicati. Se la catechesi funzionasse, in cinque anni dovrei avere la chiesa che esplode di gente, e invece ho sempre 100 bambini…”. È provocatorio e dice solo una parte della realtà, ma coglie un punto: l’iniziazione cristiana in parrocchia assomiglia alla scuola, dove ogni anno c’è più o meno lo stesso numero di alunni, che però sono diversi da quelli dell’anno prima, perché arrivano i nuovi e se ne vanno i vecchi. La scuola è pensata per essere un luogo dove si passa, si fa un’esperienza bella e determinante, si va via. La parrocchia aspira ad altro: vorrebbe essere una casa, luogo dove si resta. E invece anch’essa è, in molti casi, un luogo di passaggio. Di qui la necessità – non certo di oggi – di una riflessione sull’iniziazione cristiana, tema delicato perché tocca la questione della generatività e perché il cosiddetto “catechismo” impiega molte delle migliori energie delle parrocchie: le nostre comunità sono feconde? Le nostre pratiche di iniziazione funzionano? Nascono nuovi cristiani?

Un’occasione per la riflessione è data dal fatto che una ventina di parrocchie romane cominciano quest’anno a proporre, in via sperimentale, un nuovo itinerario di catechesi. Il progetto è stato elaborato da un gruppo di sacerdoti e catechisti su indicazione del Consiglio episcopale, ed è stato presentato prima dell’estate. L’esperienza delle parrocchie che cominciano sarà lo stimolo per un laboratorio più ampio sul tema. Si tratta di verificare i nostri percorsi alla luce dell’ascolto della città: la società di oggi è certamente diversa da quella di cinquant’anni fa, quando il nostro modo di proporre l’iniziazione fu impostato. Le famiglie e anche le comunità cristiane sono molto cambiate. Per dare solo un cenno: mentre in passato il momento critico per la permanenza dei giovani in parrocchia veniva individuato nella confermazione, ora l’allontanamento è anticipato (già una decina di anni fa, nel 2010, un’analisi dei dati diocesani notava un problema nella continuità non dopo la cresima, ma prima di essa: sul totale dei bambini che ricevevano la prima comunione, solo il 58% proseguiva la catechesi con la preparazione alla cresima; negli anni successivi la percentuale è ulteriormente scesa).

La proposta di rinnovamento dell’iniziazione prova a mettere in atto alcune istanze che sono da tempo sentite come importanti e dichiarate come principi fondamentali, ma che si fatica a realizzare in concreto. In particolare: l’importanza di non proporre una catechesi per i sacramenti, cioè percorsi finalizzati alla celebrazione, ma una formazione cristiana mediante i sacramenti; la necessità di spostare il soggetto principale della catechesi, dal solo bambino al bambino insieme alla sua famiglia; il valore dell’unità del percorso di iniziazione cristiana.

Alcune caratteristiche di questa sperimentazione cercano di valorizzare le prassi virtuose già presenti in molte parrocchie: ad esempio l’idea di impostare il percorso sull’anno liturgico, che è la catechesi permanente della Chiesa, e quindi tornare ogni anno, con livelli diversi di approfondimento, sui misteri principali della vita di Cristo; a livello metodologico, il favorire un’immersione nelle fonti principali della fede, cioè la Parola e la liturgia; la proposta del campo estivo, ecc. Altre caratteristiche sono novità: un anticipo generale dell’iniziazione cristiana dei bambini, che cominciano la catechesi a sei anni e concludono il percorso a nove anni; un coinvolgimento diretto e costante delle famiglie (gli incontri familiari cominciano prima di quelli dei bambini); l’ordine della celebrazione dei sacramenti modificato rispetto a quello attuale: nell’arco dei quattro anni si celebra la confermazione, poi la prima comunione, poi la riconciliazione; infine l’ultimo anno del percorso senza una meta sacramentale, ma con momenti forti come un pellegrinaggio mariano e una professione di fede.

Ciascuna delle scelte nasce da una riflessione – e anche uno studio, direi – condotto quest’anno dal gruppo di lavoro, e necessita di essere ampiamente discussa. Qui voglio solo segnalare due criteri che hanno guidato la stesura del progetto. Primo: dare l’essenziale del cristianesimo. L’iniziazione cristiana è anzitutto una comunicazione della vita cristiana mediante i sacramenti, accompagnati da quel tanto di catechesi che serve per cominciare a credere in Gesù Signore e a comprendere ciò che si celebra; non è una formazione completa, ma solo una introduzione a ciò che è fondamentale nella fede. In quest’ottica, i sacramenti dell’iniziazione sono da presentare e celebrare come doni di grazia che precedono la risposta dell’uomo. Secondo criterio: proporre un’esperienza. La catechesi dell’iniziazione non parla della vita cristiana né propone “attività”, ma immerge nelle quattro esperienze fondamentali della fede, secondo la descrizione della prima comunità cristiana negli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42; cfr. le quattro parti del Catechismo).

Quest’anno dunque alcune parrocchie cominciano, a latere del percorso tradizionale, la catechesi con i bambini di sei anni. Ascoltare via via la loro esperienza sarà uno stimolo per la discussione su questi temi. Certo, questo non basta: l’iniziazione cristiana è solo una parte della catechesi e quindi il ripensarla davvero comporta la necessità di mettere in discussione anche il prima e il dopo, e altri aspetti del nostro modo di proporre la fede. La riflessione dunque va collocata nel quadro più ampio del cammino della chiesa di Roma in questi anni, un cammino che vuole proprio rimodulare l’evangelizzazione alla luce di Evangelii Gaudium.