Presentato il Rapporto Caritas sulla povertà a Roma

All’inizio del 2020 il 18% della popolazione romana era a rischio povertà, quasi il 10% non riusciva ad affrontare spese improvvise o legate all’abitazione e il 7% viveva in condizioni di grave deprivazione abitativa. È questa la situazione che presentava la Capitale prima del Covid-19 e il lockdown ha fatto da cartina al tornasole per tante fenomenologie, che in parte già covavano sotto le increspature di superficie della società, ma che erano pronte ad emergere alla prima congiuntura negativa. Una vera e propria emergenza così come risulta dalle persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto delle parrocchie romane nei primi nove mesi dell’anno. Sono state infatti 21.160 le persone accolte nelle comunità dalla diocesi, il 35,3% della quali ha varcato la soglia della Caritas per la prima volta (7.476 persone). Questi ultimi, nel 48,7% dei casi sono italiani, seguiti dai filippini (16,3%) soprattutto badanti che vivevano nelle case degli assistiti e si sono trovati senza reddito né abitazione.

È quanto emerge dal Rapporto 2020 “La povertà a Roma: un punto di vista” presentato oggi (martedì 15 dicembre) dalla Caritas. Il volume, 130 pagine ricche di infografiche e tabelle, documenta le numerose iniziative promosse dalle parrocchie di Roma nel periodo del lockdown fino al mese di ottobre. Dati sugli aiuti alimentari, la distribuzione dei buoni spesa, le mense sociali, le numerose iniziative di prossimità promosse dalle comunità e un focus sull’attività del Fondo “Gesù Divino Lavoratore” istituito da Papa Francesco. Nel Rapporto, che ha per tema “Nessuno si salva da solo”, vi è anche una sezione dedicata allo scenario economico-sociale della Capitale e un’analisi sull’efficacia delle misure messe in atto dalle istituzioni per far fronte alla crisi economica seguita alla pandemia. Completa il lavoro un’indagine realizzata in 177 parrocchie di Roma.

Tra i nuovi utenti della Caritas, il 64,4% erano donne e il 54% aveva un’età al di sotto dei 45 anni, mentre gli over 65 erano il 14,7%. 4.621 nuovi iscritti hanno chiesto aiuti alimentari attraverso pacchi e buoni spesa (62%), nel 30% dei casi con l’accesso agli Empori della solidarietà e nell’8% dei casi attraverso l’attivazione del Fondo anticrisi, con l’elargizione di un massimo di 500 euro per spese improcrastinabili come bollette, rate di condominio, spese mediche, riparazioni.

Il numero delle persone assistite dalle parrocchie è letteralmente esploso: l’85,9% dei Cda presenti nelle parrocchie romane ha registrato un’impennata del numero delle persone assistite (che in alcuni casi è arrivato a decuplicare). La maggior parte delle parrocchie ha visto un aumento fino a 50 persone. In 6 casi l’aumento delle persone assistite è stato addirittura di oltre 500. Durante il lockdown si sono rivolti alle parrocchie soprattutto persone con un impiego irregolare fermo, disoccupati di lunga data, lavoratori precari, lavoratori dipendenti in cassa integrazione, infine gli intermittenti e stagionali in attesa di bonus. Da notare anche una alta percentuale di pensionati, pari al 51,5%. Tra le richieste principali: gli alimenti (84,3%), la mancanza di lavoro/reddito (79,1%) e la mancanza di denaro per pagare l’affitto o il mutuo (71,5%). Un altro fenomeno da segnalare sono il 5,7% di episodi di violenze domestiche riferiti dalle parrocchie.

«La pandemia – ha detto l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicegerente della diocesi intervenendo alla presentazione che si è svolta in diretta Facebook – ci ha permesso di comprendere meglio chi sono gli «scartati»: quelli rimasti in strada perché i centri di accoglienza hanno dovuto ridurre le presenze senza che i servizi sociali fossero in grado di approntare misure alternative; coloro che per mesi – almeno per tutta la prima ondata di contagi – sono stati esclusi dalle misure diagnostiche; quanti hanno sofferto in solitudine rinchiusi dentro le loro case senza affetti».

«La grande povertà scoperta di questi mesi è il lavoro nero – ha detto don Benoni Ambarus, direttore della Caritas romana –. Non è stata l’emergenza alimentare, questa semmai è la punta dell’iceberg. E qui mi permetto di dire a tutti: bisogna tornare ad una cultura vera del lavoro, dignitoso, che non sfrutta e non schiaccia, che promuove la persona. La maggior parte delle persone che si sono rivolte a noi hanno denunciato la riduzione del reddito, ma il più delle volte semplicemente perché non hanno più lavorato. La parola precario per molti è un lusso, visto che sono lavoratori a giornata, a ore. Per loro le misure di sostegno al reddito sono un miraggio inesistente».

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15 dicembre 2020