Dedicazione di San Giovanni in Laterano: l’omelia dell’arcivescovo Reina

Foto Diocesi di Roma / Gennari

Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata da monsignor Reina il 9 novembre 2024, in occasione della Messa per i 1.700 della basilica lateranense

Al centro della celebrazione che stiamo vivendo vi è la realtà della Chiesa, mistero di comunione, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). L’annuale ricordo della Dedicazione per noi oggi assume un significato particolare poiché ricordiamo i 1700 anni di questa Basilica, sede della Cattedra di Pietro, punto di riferimento particolarissimo per la nostra Diocesi e per la Chiesa universale. Per un anno intero si sono organizzati eventi e celebrazioni per mettere in risalto il ruolo di questa Chiesa Mater et Caput di tutte le Chiese del mondo; ringrazio di cuore il Capitolo dei Canonici di San Giovanni per l’impegno profuso affinché fosse ancora più forte il legame tra la nostra Cattedrale e le diverse realtà pastorali della Diocesi e ringrazio tutti coloro che a vario titolo hanno collaborato per la riuscita degli eventi programmati.

Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano ad entrare nella realtà profonda della Chiesa, nella sua natura e nella sua missione. In particolare vorrei soffermarmi sulla pagina di Vangelo, recuperando qualche elemento dalle altre letture.

Nell’incontro tra Gesù e Zaccheo non è difficile riscontrare il paradigma di ogni cammino di fede; Zaccheo racconta la nostra umanità, la nostra storia, il nostro determinarci secondo la logica del mondo; descrive l’esperienza che facciamo tutti noi, nel momento in cui ci guardiamo allo specchio e ci accorgiamo che nonostante abbiamo tutto ci manca tutto; ci sentiamo incompleti perché la nostra sete di verità e di bellezza, pur in mezzo a sforzi e fatiche non è pienamente soddisfatta da quello che possediamo. Allora, come Zaccheo ci mettiamo alla ricerca di Colui che solo può dare senso alla nostra vita. Cerchiamo di vederlo, di entrare nel suo mistero e di afferrare la sua potenza.

Il tema del vedere e il tema della casa sono nevralgici nel brano di Luca. Zaccheo cerca di vedere Gesù, non ci riesce a motivo della folla, corre più avanti e per riuscire a vederlo sale un albero; passando Gesù alza lo sguardo, lo vede e lo invita a scendere; alcuni vedendo ciò mormorano e nel cuore dell’incontro Zaccheo impara a vedere i poveri e decide di dare a loro ogni cosa.

Tutti questi movimenti convergono all’interno di una casa; anzi, potremmo dire che trovano pienezza nello spazio domestico; immagine di questa casa, luogo di incontro tra Dio e i suoi figli, luogo di comunione tra di noi e spazio di verità in cui, pur essendo in tanti, impariamo a stare con noi stessi per ritrovarci e per ri-centrarci.

Il primo movimento che vorrei sottolineare è quello che porta Zaccheo a vedere Gesù. Tutto parte dal desiderio di quest’uomo; l’evangelista non ne specifica il motivo. Si limita a dire che Zaccheo “cercava di vedere di Gesù”. Il suo è un desiderio che non si ferma di fronte agli ostacoli. Ci sono dei limiti suoi – è basso di statura – e delle difficoltà che derivano dalla grandezza della folla. Ma lui non demorde. Quando pensiamo al nostro essere Chiesa abbiamo bisogno di prendere le mosse da ciò che ci abita, prima ancora che da ciò che esternamente potremmo trovare. E quando arriviamo in Chiesa, ancora una volta, il primo tirante deve essere quello di voler incontrare Dio. La Chiesa è quella realtà che ci permette di fare esperienza di comunione con Dio. La Chiesa è il nostro “sicomoro” che ci consente di salire un po più alto per vedere Gesù che passa, è uno spazio in cui lo spazio perde la sua dimensione fisica e diventa un riflesso di Cielo, in cui ritrovare noi stessi, per dare voce alle domande, ai dubbi, alle insoddisfazioni, ai dolori, a ciò che viviamo nel profondo e che solitamente non abbiamo né il coraggio né la voglia di manifestare.

Se tutti arriviamo in Chiesa in questo modo e viviamo i momenti celebrativi con questa tensione la Chiesa diventa occasione di verità e di libertà per tutti. Zaccheo questa sera ci chiede di esprimere il bisogno di essere Chiesa che desidera vedere Gesù, che c’è per cercarlo, che vince i limiti e i peccati partendo da una profonda sete di Infinito.

Il secondo movimento è quello che si realizza proprio nel momento in cui Zaccheo è sul sicomoro; lui che si era spinto fin lassù per cercare di vedere Gesù si scopre visto da Lui. Immaginiamo per un istante questo intreccio di sguardi. È la vera sorgente della fede. Tutto parte da li; mentre faccio tutti gli sforzi possibili per vedere Gesù scopro che è Lui che ha voglia di vedermi; mi aspetta e non esita un istante ad alzare lo sguardo per intercettare il mio vissuto confuso e pieno di contraddizioni. Pensiamo per un istante a come si è sentito Zaccheo. Desideroso di incontrare il Maestro ha scoperto un Dio che aveva il desiderio di stare con lui. Quello sguardo lo avrà disarmato, avrà fatto crollare tutti i costrutti e tutte le sue paure; avrà certamente scaldato il suo cuore. A partire da quello sguardo ha smesso di sentirsi inadeguato, sbagliato, fallito. Zaccheo scopre la propria estraneità a quanto lo contrassegnava nell’essere visto prima di vedere. Nello sguardo di Gesù si sente a casa e per questo modellerà la sua vecchia casa e la sua vecchia vita a quella di Gesù. La precedenza di Gesù esprime la gratuità di Dio. La Basilica più che essere fatta di mura che ammiriamo è impressa dallo sguardo di gratuità, modellando la Diocesi alla gratuità di Dio, che in Gesù esce per andare a trovare chi ancora non sa cosa e chi potrà incontrare. Non sono le mura che stabiliscono confini di appartenenza per delimitare chi sta dentro e chi fuori. La Chiesa, questo edificio dove ci troviamo è il luogo in cui sperimentiamo ogni volta un Dio che ci aspetta e ci lancia uno sguardo di amore e di tenerezza. Ci scruta e ci conosce, sa le nostre parole prima ancora che le pronunciamo e vede la nostra vita meglio di come possiamo vederla noi. È più intimo a noi di noi stessi. Che bello sapere che ogni volta che mettiamo piede qua dentro Dio ci vede in profondità e ha voglia di dialogare con ognuno di noi. Nel silenzio di nuovo sentiamo la bellezza di quello sguardo e nell’adorazione lo assaporiamo come l’unico in grado di riempire la nostra vita. È vero che la parola “dedicazione” riporta alla memoria il momento in cui la Chiesa è stata consacrata, ma mi piace pensare che questo termine fa riferimento al fatto che Dio ha sempre uno sguardo da dedicare a ciascuno di noi e a tutti noi come suo popolo, stirpe eletta, nazione santa, gente che gli appartiene. Qui, in questa Chiesa, facciamo l’esperienza di Zaccheo; ci sentiamo costantemente guardati con amore da Dio, come fa una mamma con i figli, quando li vede stanchi o scoraggiati, quando raccoglie i loro sguardi spenti e i loro corpi pieni di lividi. Quello sguardo, come certamente è avvenuto a Zaccheo, mette in movimento il cuore perché fa afferrare in un attimo che Dio ha cuore per te e per la tua storia. S.Paolo nella seconda lettura ci ha voluto scuotere: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”

Non si allontani mai da noi – nonostante tanti limiti nostri e del nostro essere Chiesa – la consapevolezza non solo di abitare il tempio di Dio ma di essere sua stabile dimora.
L’ultimo movimento è quello che porta Zaccheo a cambiare vita, a convertirsi: “Ecco Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Il movimento del vedere non è a due; non è fra Zaccheo e Gesù e viceversa ma coinvolge tanti altri. Zaccheo capisce che ciò che ha vissuto non può essere soltanto per lui; non serve a mettergli l’animo in pace. Nella visione di Ezechiele l’acqua che lambisce il tempio si fa sempre più vasta fino a diventare un fiume grandissimo, espressione di quello Spirito che riempie il tempio. Ma quella visione fa anche riferimento a una umanità che si dilata, che si fa più grande, perché quando si scopre amata da Dio fa di tutto perché tanti altri sperimentino quanto ha vissuto. La Chiesa è per natura contagiosa di bene e di bellezza. Altrimenti non è. Quel fiume che esce dal Tempio esprime l’attesa di Dio di riempire il mondo del suo amore. Nasce da qui la dimensione missionaria della Chiesa, prolungamento vivo del mistero di Cristo morto e risorto, affinchè a tutti gli uomini sia annunciata la salvezza e l’ingresso nel Regno.

Fra qualche settimana entreremo nel tempo di grazia del Giubileo. Come Diocesi di Roma abbiamo la vocazione e la responsabilità non solo di accogliere i pellegrini ma di testimoniare a tante persone che arriveranno da tutto il mondo che la comunione ecclesiale cambia la vita, riscalda il cuore, ti aiuta a deporre l’uomo vecchio per essere creatura nuova; chi vive pienamente il mistero della Chiesa ama i poveri, soccorre lo straniero, aiuta gli anziani, incoraggia i giovani, da speranza a chi è deluso; chi vive autenticamente la Chiesa è sempre disposto a dare quattro volte tanto; si fa testimone della moltiplicazione della gioia e della misericordia. Se non è così siamo o rischiamo di essere una Chiesa sterile, svuotata di senso prima ancora che di persone. La Chiesa è come uno specchio: raccoglie la luce e la riflette su altri. Nella bolla di indizione dell’anno santo il Santo Padre ci chiede di saper esprimere segni di speranza. Ce lo siamo detti durante l’Assemblea dello scorso 25 ottobre e, ancor prima, lo abbiamo scritto nel piano pastorale diocesano di quest’anno. Insieme ai temi della corresponsabilità e della missione ci siamo presi l’impegno di realizzare segni concreti di attenzione agli ultimi, a partire dalla povertà educativa, dal bisogno di giustizia per i lavoratori, l’accoglienza diffusa di chi non ha casa. Insomma, una Chiesa che sa guardare oltre i propri confini e sa essere mistero di comunione con tutti. Da oltre un anno, avendo recuperato l’eredità del Convegno del ’74 stiamo cercando di riflettere sulle tante disuguaglianze che segnano la nostra città. È un cammino che siamo chiamati a declinare nelle singole comunità per porre in essere gesti concreti di giustizia e di fraternità. Come Zaccheo anche noi vogliamo essere Chiesa che vive una costante conversione e che esprime l’impegno a essere dono per tutti.

Desiderosi di vedere Gesù, sorpresi perché è sempre Lui a precedere il nostro sguardo, capaci di guardare con il cuore i fratelli. Nel giorno in cui ricordiamo la Dedicazione di questa Basilica chiediamo che il Signore ci conceda di essere Chiesa che vive così il proprio mistero e la propria missione. Ci aiuti San Giovanni Battista, ci sostenga la Vergine Santissima nostra Madre perché pieni di gioia, possiamo rinnovare la certezza che “oggi la salvezza è entrata in questa casa”.
Amen