IL RIPRISTINO DEL DIACONATO

IL  RIPRISTINO  DEL  DIACONATO  PERMANENTE  NELLA  CHIESA  LOCALE  DI  ROMA

 

  1. Introduzione

 

1.1. In comunione con tutte le Chiese che sono in Italia e secondo lo spirito e le indicazioni del documento “Comunione e comunità”, pubblicato recentemente dalla CEI, la nostra Chiesa locale sta portando avanti ormai da alcuni anni il suo piano pastorale. Esso mira a fare di Roma una “autentica Chiesa locale, viva ed operante in comunione con il suo Vescovo e con tutte le sue membra, nelle dimensioni che le sono proprie, inserita nel contesto sociale della città”, per realizzarvi una rinnovata presenza di evangelizzazione e di integrale promozione umana.

 

1.2. In questa prospettiva sono nate e stanno crescendo, sotto l’impulso dello Spirito e con la buona volontà e l’impegno di pastori e fedeli, diverse iniziative che favoriscono nella nostra comunità diocesana una graduale maturazione nella coscienza e nel senso di appartenenza alla Chiesa, come pure una più profonda consapevolezza dei compiti che a ciascuno sono richiesti per vivere la comunione ecclesiale e assumersi più precise responsabilità in ordine alla missione che la Chiesa ha nel mondo per realizzare il progetto divino della salvezza.

 

1.3. Molteplici e consolanti sono i segni di questo cammino, indubbiamente lento e faticoso ma che si rivela già positivo e ricco di promettenti prospettive. Tra questi basterà ricordarne alcuni: la pubblicazione di diversi sussidi teologico-pastorali da parte del Vicariato per orientare e sostenere questo cammino; la partecipazione sempre più ampia e convinta da parte di sacerdoti e fedeli alle iniziative di formazione promosse a vari livelli e un po’ dappertutto dai Centri e Uffici del Vicariato e dai responsabili dell’azione pastorale; la creazione e la diffusione degli organismi di partecipazione nei quali preti, religiosi e laici, crescono insieme nella comunione e si fanno carico della missione della Chiesa e che hanno sfociato recentemente nella costituzione del Consiglio pastorale diocesano; la promozione sempre più ampia dei ministeri affidati ai laici, siano essi “di fatto” come “di diritto” o istituiti, con l’intento di porre in atto una corresponsabilità differenziata nel servizio che la Chiesa è chiamata a compiere sia al suo interno sia nei confronti del mondo, per portare a tutti l’annuncio del vangelo di Cristo.

 

1.4. In questo contesto è venuta emergendo con sempre maggiore chiarezza e insistenza, .anche nella nostra Chiesa locale, l’esigenza di affrontare concretamente il problema del ripristino del diaconato permanente, con la conseguente richiesta al Consiglio episcopale di indicazioni e direttive per la realizzazione di un progetto formativo e operativo a questo riguardo.

In realtà già nel 1972-73 sono nate nella nostra diocesi alcune iniziative, anche se di carattere personale e ristretto nell’ambito di istituzioni e gruppi particolari, con lo scopo di dare una prima risposta alla questione. Nonostante i meriti e lo sforzo messo in atto, esse sono andate inevitabilmente incontro a delle difficoltà e hanno suscitato qualche perplessità soprattutto circa l’“ecclesialità” delle proposte e dei mezzi adottati per la realizzazione. per questi motivi nel maggio 1976 il Consiglio episcopale, con un apposito decreto, avocò a se il problema con l’intento di determinare “i modi più opportuni per giungere a detta attuazione, in rapporto alla situazione e alle esigenze della diocesi di Roma”.

La via scelta per una graduale realizzazione del ripristino del diaconato permanente è stata di avviare e favorire intanto una riflessione teologica che consentisse il formarsi di una nuova mentalità circa la ministerialità della Chiesa nel suo insieme. Un particolare riconoscimento va alla specializzazione ecclesiologica della Facoltà di Teologia e all’istituto di scienze religiose della pontificia Università Lateranense, che dall’anno accademico 1981-82 ha previsto uno speciale indirizzo per la formazione teologico-pastorale dei candidati al Diaconato. Contemporaneamente si è cercato di promuovere i ministeri istituiti (lettorato, accolitato e ministero straordinario dell’Eucaristia). Da tutto ciò, come pure dalla messa in atto di una partecipazione più qualificata dei laici alla missione ecclesiale, sarebbe stato più facile giungere ad un chiarimento circa il significato e i compiti del ministero diaconale nella nostra situazione socio-pastorale e sarebbero emerse con più chiarezza le “vocazioni” a questo servizio. Di fatto così sta avvenendo, perciò sembra venuto il momento per dare alcuni orientamenti e norme più precisi per l’attuazione di un piano organico relativo alla promozione del diaconato permanente nella nostra Diocesi.

Siamo sollecitati a ciò anche dal fatto che, dopo un periodo di sperimentazione si è giunti recentemente alla prima ordinazione di un diacono permanente, mentre altre se ne possono già prevedere nel prossimo futuro.

 

  1. Alcuni principi e orientamenti di carattere generale

 

2.1. Non è nostro intento richiamare i dati storici, biblico-teologici, con le conseguenti implicazioni ed esigenze pastorali, riguardanti il diaconato nella Chiesa e il suo ripristino, come grado permanente della gerarchia, sancito dal Concilio Vaticano II. Essi sono stati approfonditi e precisati da importanti documenti del magistero pontificio e della CEI.

Sarà sufficiente, in questa sede, mettere a fuoco alcune questioni e determinare alcuni punti concreti che hanno più diretto riferimento alla situazione della nostra Chiesa locale.

 

2.2. Sono note la splendida fioritura e lo sviluppo che il diaconato ha avuto a Roma, nei primi secoli, connessi con quelli delle “diaconie”, la cui attività liturgica e soprattutto caritativa è dato conoscere da molti documenti antichi e recenti.

Due sembrano, a giudizio degli studiosi, le circostanze di carattere squisitamente pastorale che, sulla scia dei dati del N.T. e soprattutto degli Atti (cfr. 6, 1-11), determinarono nella nostra città l’istituzione del diaconato e delle diaconie, da mettere in relazione ambedue con l’accrescimento numerico dei credenti e l’estensione territoriale della comunità cristiana.

Innanzitutto l’esigenza di un decentramento dell’attività pastorale, in modo che l’evangelizzazione e il servizio liturgico potessero raggiungere tutti i credenti e quanti man mano giungevano alla fede. il Liber pontificalis, infatti, attesta che già nel sec. III, sotto il pontificato di papa Fabiano, si sentì il bisogno di dividere la città in sette regioni, alle quali fu preposto un diacono; articolazione questa che, qualche tempo dopo, divenne più complessa ed estesa, con la costituzione di diversi “tituli”, affidati alla cura pastorale di un presbitero. Tale suddivisione, tuttavia, non ostacolò l’unità e la comunione con il vescovo di Roma; tanto è vero che fedeli e rappresentanti qualificati delle diverse comunità prendevano parte alla liturgia stazionale che il papa celebrava nelle basiliche e in altre chiese, in particolari occasioni.

A suggerire poi l’istituzione delle diaconie e a valorizzare il ministero del diacono contribuì non poco l’urgenza di dare strutturazione concreta all’assistenza e al servizio di carità nei confronti dei molti poveri e bisognosi della città. Le diaconie, sotto la guida e l’impulso dei diaconi, vennero così a rispondere ad una esigenza e ad un bisogno di primaria importanza della comunità cristiana, divenendo luoghi di incontro e di irradiazione di carità, anche per le generose elargizioni di papi, di chierici e di laici facoltosi particolarmente sensibili al problema. Come i primi sette di cui attestano gli Atti, anche i diaconi romani non esaurirono però la loro attività nel settore caritativo e assistenziale; anch’essi furono preziosi collaboratori dei vescovi, successori degli apostoli. Come afferma la Didascalia apostolorum, essi erano l’occhio del vescovo: vigilavano sulla disciplina; erano il suo orecchio, per fargli giungere le domande e le attese dei fedeli; la sua mano, per fare l’elemosina ai poveri; il suo cuore, per prendersi cura dei malati e dei poveri.

La splendida testimonianza data dal diacono romano Lorenzo ne è una prova eloquente.

 

2.3. La situazione socio-pastorale della nostra città, oggi, pone problemi analoghi a quelli che s’imposero alla comunità cristiana dei primi secoli, e per di più in dimensioni e forme assai più gravi e complesse. Anche per questi motivi – come diremo appresso – il ripristino del diaconato permanente, sanzionato dal Vaticano ii, costituisce una risposta alle attese di carità e di evangelizzazione che salgono, più o meno consapevolmente, dai credenti e dagli uomini di buona volontà di questa nostra città.

Perché questo fatto non appaia suggerito da preoccupazioni di tipo efficientistico e organizzativo e non risulti una semplice attuazione del dettato conciliare, vorremmo richiamare brevemente le motivazioni profonde che sono alla base della decisione di ripristinare il diaconato permanente nella nostra Chiesa locale. Ciò servirà anche a dissipare le incertezze e le perplessità di alcuni – pastori e fedeli – che non riescono a rendersi conto dell’importanza di questo ministero e ad individuare gli “spazi” concreti del loro servizio.

Due serie di motivi di ordine generale ci hanno sollecitato a prendere seriamente in considerazione il problema della restaurazione del diaconato anche nella nostra comunità ecclesiale. Sono gli stessi che i Vescovi d’Italia hanno espresso nel documento Evangelizzazione e ministeri, pubblicato nel 1977: “il diaconato permanente concorre – affermano i Vescovi italiani -a costituire la Chiesa e a darne un’immagine più completa e rispondente al disegno di Cristo e più in grado, per interna e spirituale potenza, di adeguarsi a una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa. Si tratta dunque di una ragione di ordine teologico e una di carattere pastorale.

 

2.4. Anzitutto la motivazione ecclesiologica. Con la restaurazione del diaconato permanente lo Spirito Santo offre il dono del ripristino di una struttura sacramentale della Chiesa, la quale – secondo S. Ignazio -”non può essere senza vescovi, presbiteri e diaconi“ e quindi di una abbondante ricchezza di grazie sacramentali per una maggior efficacia nella sua missione di salvezza.

Il diacono, in particolare, ”è segno sacramentale e quindi rappresentante e animatore della vocazione al servizio proprio di Cristo e della Chiesa, sua sposa, chiamata anch’essa a servire e a dare la sua vita in redenzione di molti. La sua presenza nella Chiesa è destinata a promuovere una più intima comunione dei cristiani tra loro e un loro maggior impegno missionario a sacrificarsi per la salvezza di ogni essere umano.

Il Concilio Vaticano II è venuto incontro ai voti e alle preghiere di voler restaurato il diaconato permanente come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia ecclesiastica e il resto del popolo di Dio, perché fosse in qualche modo cerniera tra pastori e fedeli, interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatori del servizio, ossia della diaconia della Chiesa, segno e sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito ma per servire (Mt. 20, 28).

Il ministero diaconale è, come quello presbiterale, una partecipazione al ministero del Vescovo al quale appartiene in pienezza quella diaconia che è finalizzata alla glorificazione del padre e alla salvezza di tutti gli uomini. Come tale ha un posto e un compito specifici, come pure una propria garanzia sacra- mentale al di là dell’eventuale funzione di supplenza alla scarsità del clero.

 

2.5. Ragioni di ordine pastorale sollecitano inoltre il servizio diaconale in una Chiesa locale come la nostra che è chiamata ad una evangelizzazione più incisiva e capillare “in una comunità sociale complessa in rapida evoluzione e in costante tensione psicologica” e dove si fanno sempre più evidenti i segni della scristianizzazione, della disgregazione e della povertà soprattutto di valori cristiani.

Durante il cammino che la diocesi ha fatto in questi anni si è sempre più chiaramente avvertita l’esigenza di una promozione comunitaria del popolo di Dio e di una più diffusa evangelizzazione mediante una più penetrante presenza pastorale (sul piano familiare, scolastico, di ambienti di lavoro e di categoria, di quartiere e di caseggiato, ecc.). Ebbene il ripristino del diaconato dovrebbe poter contribuire a risolvere problemi tanto delicati e complessi.

Spesso si dice che le parrocchie territoriali di una megalopoli come Roma, per l’eccessivo numero di abitanti che le compongono come pure per la scarsità e l’affaticamento del clero, non sono più in grado di farsi carico della globalità della missione ecclesiale e di dar vita ad una comunità e ad una comunione autentiche ai fini di una presenza evangelizzante e caritativa. Ciò è vero; ma questo fatto non dovrebbe spingerci ad articolare la vita e l’impegno apostolico della comunità più ampia in comunità minori, in cui l’annuncio evangelico, il dialogo della fede, la preghiera comune e il servizio ai fratelli possano assumere una dimensione che sia più a misura d’uomo? Questa conversione di mentalità e di stile esige però animatori e responsabili qualificati che, in comunione con il Vescovo e i presbiteri, si facciano carico di un servizio tanto indispensabile e delicato. Tali dovrebbero essere appunto i diaconi.

D’altra parte si va sempre più affermando nella nostra Chiesa locale il bisogno di una “pastorale degli ambienti” che raggiunga le persone là dove vivono e lavorano, per portare ad esse l’annuncio del vangelo e consentire loro più viva esperienza di Chiesa. Anche in questi luoghi la presenza e l’azione di un diacono scelto e inviato dal Vescovo potrebbe essere un prezioso anello di congiunzione tra chi ha la piena e ultima responsabilità della Chiesa e i gruppi- movimenti di ambiente.

 

2.6. Da quanto è stato detto fin qui risultano con evidenza la necessità del ministero diaconale e i compiti che possono essere affidati ai diaconi nella nostra situazione.

Essi – com’è noto – esercitano il loro servizio nella triplice direzione dell’evangelizzazione, della liturgia e della carità. Ciò emerge non solo dalla tradizione ecclesiale, che ha il suo riflesso anche nei riti dell’ordinazione diaconale, ma altresì dai documenti più recenti del magistero.

Da una riflessione sulla nostra situazione si evidenziano le ampie e suggestive prospettive d’impegno che si aprono per coloro che, con l’imposizione delle mani e il dono dello Spirito accompagnati dalla preghiera, saranno investiti di questo ministero: Vogliamo delinearne almeno qualcuna tra le più importanti.

Dai futuri diaconi ci attendiamo innanzitutto un servizio qualificato e autorevole della e alla parola di Dio, per una Evangelizzazione più capillare e per la costituzione di piccole comunità di fede, soprattutto tra gli adulti, sia all’interno della parrocchia, come pure nei caseggiati, nelle famiglie, negli ambienti di lavoro e di studio, con particolare attenzione ai lontani e ai più poveri.

Anche il progresso del rinnovamento liturgico, che è dato di constatare nella nostra diocesi, potrà avere un maggior incremento se la preparazione e l’animazione delle celebrazioni, soprattutto dell’Eucaristia domenicale e dei sacramenti, saranno assunte con competenza e in fedele collaborazione con i pastori, da diaconi permanenti, in modo che i credenti, nella liturgia, possano celebrare autenticamente la loro fede in Cristo risorto, manifestarsi come comunità, crescere nella comunione e attingere qui l’energia necessaria per i loro compiti di testimonianza e di servizio.

Finalmente, l’esercizio delle opere di misericordia e lo sviluppo che vanno assumendo, nella nostra diocesi, le iniziative di carità e promozione umana offrono ai diaconi un ulteriore campo di impegno che è proprio della loro vocazione e del loro ministero. Ne dovrà risultare una presenza cristiana più incisiva nelle realtà e nelle istituzioni sociali, in modo che siano evangelicamente fermentate con sapiente competenza e con la libertà di movimento che può più facilmente trovarsi in diaconi appositamente scelti.

 

2.7. Perché tutto ciò si compia “decorosamente e con ordine” (1 Cor. 14.40) è necessario, tuttavia, che si tenga presente, specialmente in una situazione come la nostra, un dato teologico-pastorale di fondamentale importanza, e precisamente il legame necessario e strettissimo di comunione e di dipendenza che deve sempre esistere tra i diaconi e il Vescovo “supremo responsabile della vita cristiana e della pastorale nella comunità diocesana”.

Nell’esercizio del loro ministero i diaconi dipendono direttamente dal Vescovo, non solo in forza dell’ordinazione sacramentale loro conferita ma anche per l’incardinazione nella Chiesa particolare. Questo legame che è – come dicevamo – di carattere teologico-sacramentale ma anche pastorale-giuridico, comporta una serie di conseguenze che bisogna tenere ben presenti.

Al Vescovo competono la responsabilità e l’autorità circa il riconoscimento della vocazione dei candidati al ministero, la loro formazione, l’ammissione all’Ordine e l’esercizio della diaconia. È dovere dei diaconi, da parte loro, agire sempre in perfetta comunione con il Vescovo e il suo presbiterio; essi dovranno testimoniare perciò una sincera disponibilità alla collaborazione apostolica, ad un servizio organicamente inserito in una pastorale d’insieme e agire quindi alle dipendenze e secondo le indicazioni e direttive di coloro che lo Spirito santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio (cfr. Atti 20, 28).

Per tutti questi motivi anche se le vocazioni al diaconato nasceranno -come è naturale – all’interno di una comunità parrocchiale o di un determinato gruppo o movimento ecclesiale, bisogna ricordare che il discernimento di esse, la cura per la loro formazione l’ammissione all’Ordine e soprattutto l’esercizio del ministero (sia per ciò che concerne il campo concreto di lavoro come pure i luoghi) restano legati al giudizio e alla decisione del Vescovo. Egli disporrà dei diaconi della Chiesa locale secondo le esigenze e i bisogni della comunità diocesana tenendo conto, per quanto è possibile, anche delle aspirazioni e inclinazioni personali, della loro preparazione e delle loro possibilità. Si eviterà così il rischio sempre ricorrente di fare delle “chiesuole” anziché la Chiesa una santa cattolica e apostolica, convocata dall’amore del padre, scaturita dal mistero pasquale di Cristo, animata dallo Spirito e da esso unificata nella comunione e nel ministero.

 

2.8. La decisione del Vescovo di ripristinare il diaconato nella sua Chiesa locale non è però sufficiente ai fini di una effettiva ed efficace valorizzazione del ministero affidato ai diaconi.

È assolutamente indispensabile anzitutto che maturi nella comunità ecclesiale una vera coscienza “diaconale” o ministeriale, sulla base delle suggestioni e degli stimoli contenuti nel noto e già ricordato documento della C.E.i. Evangelizzazione e ministeri. E, con essa, un nuovo stile pastorale, ispirato al discernimento e alla valorizzazione dei carismi dei singoli, alla comunione, partecipazione e corresponsabilità, al decentramento dell’attività pastorale, alle esigenze della missionarietà.

Se le nostre comunità non compiono questo cammino è impossibile che maturino vere vocazioni alla diaconia; queste tutt’al più si manifesteranno come fatto puramente individuale, staccate dal loro naturale contesto comunitario e perciò non pienamente autentiche. La diaconia infatti nasce dalla comunione ed è fina