«Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi? Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile, e che l’uomo ha la vocazione di trasformarlo e di ordinare l’orientamento del suo divenire personale e collettivo».
Così si espresse il 25 ottobre 1973 il Vicario di Roma dell’epoca, il Cardinal Ugo Poletti, nella conferenza stampa che aprì il percorso che condusse alla celebrazione del Convegno “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia nella città di Roma” che si svolse dal 12 al 15 febbraio 1974.
Di quel Convegno, che ha rappresentato una pagina fondamentale nella crescita della nostra Diocesi, sentiamo necessario fare memoria in occasione del 50° della sua celebrazione, con un evento che si terrà il 19 febbraio p.v. nella Sala della Conciliazione in Vicariato.
Ma quella domanda – nonostante i decenni trascorsi – la Chiesa di Roma continua ad avvertirla come propria ed essenziale per tutte le persone che vivono nella nostra città e che amiamo considerare come sorelle e fratelli. Al loro fianco sentiamo di essere chiamati a trasformare la realtà che ci circonda e che ci continua ad apparire inaccettabile.
Tra il Cammino Sinodale e la preparazione dell’Anno Santo 2025 quella domanda può essere l’opportuno interrogativo che accompagni un confronto capace di coinvolgere tutta la Città nel ripensare il ruolo, la vocazione e le prospettive di Roma.
È un richiamo alla responsabilità dei cristiani ma, come quei giorni del 1974, vogliamo rivolgerci anche ai cittadini, alle associazioni e alle istituzioni che formano la comunità urbana di Roma, ponendoci, anzitutto, nuovamente in loro ascolto.
La consapevolezza di fondo è che piuttosto di una commemorazione, ci si presenti oggi l’occasione per guardare al presente e al futuro di Roma con il contributo di tutti. «Roma avrà un futuro, se condivideremo la visione di città fraterna, inclusiva, aperta al mondo» ci ha ricordato papa Francesco, nel messaggio per le celebrazioni dei 150 anni di Roma Capitale.
La Roma di oggi è molto cambiata. Le attese di carità e giustizia sono in parte le medesime e in parte nuove, ma tutte in attesa di risposta. È oggi una città con, all’incirca, la stessa popolazione di cinquant’anni fa ma diversa è la sua composizione: l’età media supera i 46 anni diminuendo man mano che ci si allontana dal centro. Le famiglie monocomponente sono il 46%; nel centro storico sfiorano il 60%. L’incidenza della popolazione straniera, che arriva al 14%, è quasi il doppio della media nazionale.
Roma partecipa, seppur in forma relativamente attenuata, dell’inverno demografico italiano: popolazione stabile, invecchiamento, diradamento dei legami famigliari. Vive invece in modo più accentuato i fenomeni migratori.
L’ultimo Rapporto povertà della Caritas romana – “Le Città Parallele” (2023), permette di dare uno sguardo aggiornato che va oltre i valori medi per cogliere le differenze e pesare le diseguaglianze sul piano dell’accessibilità ai servizi; della distribuzione della ricchezza; delle opportunità di cura e di assistenza. Disuguaglianze che finiscono per assumere tre dimensioni caratteristiche: territoriale, con i Municipi del centro che si differenziano dalle periferie; generazionale, con le classi più anziane che percepiscono quote di reddito maggiori; di nazionalità, con i cittadini stranieri che presentano redditi di molto inferiori.
Dentro questo quadro squilibrato sono presenti attese che diventano a volte vere e proprie “grida di dolore”. Prendiamo quattro ambiti centrali che rappresentano ora come nel 1974 essenziali “beni” della vita sui quali si fonda la dignità delle persone e l’effettività dei loro diritti di cittadinanza: lavoro, casa, salute, scuola. E tutti questi ambiti sono attraversati dal un grido silenzioso della solitudine.
“I poveri hanno bisogno più di persone che di cose”. È una frase di Mons. Luigi Di Liegro un protagonista del Convegno del 1974.
La Roma odierna vede l’allentarsi e sovente lo spezzarsi del tessuto delle relazioni famigliari e sociali. La solitudine diventa così un perfido moltiplicatore del dolore per chi si trova in condizioni di fragilità economica, di debolezza educativa, di disagio mentale.
Ricordare il Convegno e riproporne l’approccio è un’occasione per la comunità cristiana di riconsiderare e rinnovare la propria vocazione alla carità. Ma è anche un’offerta di collaborazione e un richiamo alla corresponsabilità rivolto all’insieme della comunità urbana. Roma condivide con tutte le grandi città un ruolo ambivalente. Esse sono i luoghi dove si concentrano le risorse finanziarie, le competenze, le imprese, il lavoro. Ma sono anche gli spazi dove sono più forti diseguaglianze e marginalità, tensioni e conflitti. Accanto ad essi ci sono però nella Città – ed ecco i motivi di speranza – tanti segni di energia positiva, di solidarietà, di ben operare nelle dimensioni pubbliche, private e sociali, dalle quali poter partire per riconciliare, per ricostruire e per riparare, laddove vi sono ferite aperte e contraddizioni e disuguaglianze non più accettabili.
Andare oltre il ricordo significa oggi coltivare la speranza, impegnarsi tutti per far diventare Roma “città della speranza”, come Papa Francesco ci invitava a prepararla a diventare, il 31 dicembre scorso nella preghiera del Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso. La Chiesa di Roma chiama i suoi figli, tutti, vicini e lontani, perché possano ritrovarsi e dialogare, per il bene di tutti e particolarmente dei più poveri, per ritrovare insieme quella speranza e lavorare per quella città che non c’è ancora ma che possiamo e dobbiamo costruire insieme.
Angelo card. De Donatis
vicario generale di Sua Santità
per la diocesi di Roma