I nuovi italiani nella diocesi di Roma

Foto Diocesi di Roma / Gennari

«La crescita costante del numero di immigrati nel nostro Paese – con una incidenza sul totale della popolazione residente passata da meno dell’1% nel 1990 a più dell’8,7% nel 2023 (pari a 5.141.341 stranieri regolarmente residenti) – pone il tema dell’integrazione al centro del dibattito pubblico e del confronto politico. Dell’intero numero di stranieri residenti, circa il 29% appartiene alla classe demografica “giovane” (14-34 anni), producendo una categoria di cittadini che in Italia, tradizionalmente Paese di emigrazione anziché di immigrazione, era sostanzialmente inedita sino a una generazione fa: i “nuovi italiani”, su cui maggiormente si gioca la partita dell’integrazione».

Lo spiegano Fabrizio Battistelli e Francesca Farruggia, entrambi docenti alla Sapienza, rispettivamente presidente e segretaria generale dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (Iriad), con il quale hanno curato, su commissione della diocesi di Roma, la ricerca su “I nuovi italiani nella diocesi di Roma”. Lo studio verrà presentato il 5 novembre alle ore 16 nella parrocchia di San Giuseppe Cafasso, a Torpignattara, uno dei quartieri più multietnici della Capitale. A presentarlo, oltre ai due studiosi, ci saranno – moderati da padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi – il vicario monsignor Baldo Reina, il vescovo Benoni Ambarus, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e l’assessora alle Politiche Sociali di Roma Capitale Barbara Funari. Porterà la sua testimonianza Veronica Kallarakkal.

L’analisi è basata su 119 rilevazioni faccia a faccia, tra interviste focalizzate a testimoni privilegiati e focus group aventi come protagonisti giovani residenti a Roma con background migratorio (sia nati e cresciuti in Italia, sia nati in un altro Paese) e originari di 21 Paesi diversi.

«Le traiettorie di vita dei nuovi italiani sono molto eterogenee e necessitano di percorsi di inclusione modulati sui differenti vissuti e sui codici culturali di provenienza – spiegano Battistelli e Farruggia –. Comune a tutti i giovani intervistati è tuttavia quella particolare condizione di “sospensione” che, a livello sia sociale sia culturale, rende questi giovani né totalmente parte del Paese di insediamento né totalmente parte della società di provenienza dei loro genitori. Tale condizione è il fil rouge della loro esistenza, che ne permea i diversi ambiti di vita, a cominciare dal rapporto con se stessi». Complesso il quadro educativo, per questi giovani, dove talvolta, grazie alla migliore conoscenza della lingua italiana e della tecnologia, si verifica «un paradossale rovesciamento dei ruoli – sottolineano gli autori della ricerca – per cui appaiono, per certi aspetti, come “genitori dei propri genitori”. Inoltre rischiano di apparire “troppo italiani” agli occhi della propria famiglia e “troppi stranieri” agli occhi degli autoctoni».

Osserva il vescovo Ambarus: «Finalmente come Chiesa iniziamo a vedere questi ragazzi, a capire che sono nostri futuri cittadini. La speranza è che questa ricerca, che faremo girare in diversi ambienti, possa innescare ulteriori spazi di dibattito, di riflessione e di confronto».

28 ottobre 2025