Il cardinale Reina: «Roma è ferita dalle disuguaglianze ma il Giubileo risveglia umanità, la speranza non sia uno slogan»

Foto Gennari

«Roma è una città ferita dalle disuguaglianze, ma ricca di umanità e desiderosa di speranza». Il cardinale vicario Baldo Reina racconta il volto di una Chiesa che, in questo Giubileo, si fa prossima alle persone, alle famiglie, ai giovani, ai poveri. Un percorso che interpella la comunità ecclesiale a uscire, ascoltare, accompagnare. Dalle disuguaglianze urbane alla riscoperta della fede, passando per l’impegno concreto delle parrocchie, illuminando il presente e rilanciando la sfida di essere davvero testimoni credibili del Vangelo.

Eminenza, come sta attraversando la diocesi di Roma questo tempo giubilare? Quali segni sta leggendo nelle comunità che incontra?
Già nel 2023 abbiamo iniziato un cammino in preparazione al Giubileo, riflettendo sul convegno del 1974 e realizzando cinque incontri su altrettante povertà: abitativa, educativa, sanitaria, lavorativa e relazionale. Da lì è emerso un dato chiaro: Roma è attraversata da forti disuguaglianze. Una città che accoglie, ma che ospita “più città” al suo interno. Le periferie nascono già ferite, il centro è diventato un luogo di passaggio. Non è più abitato ma attraversato da turisti, pendolari, lavoratori. Abbiamo voluto arrivare al Giubileo con questa consapevolezza, cercando di essere una Chiesa che lancia segnali di speranza. Penso, ad esempio, al fondo per l’emergenza abitativa dedicato a don Roberto Sardelli, o ai doposcuola gratuiti per i figli degli immigrati: oggi presenti in circa ottanta parrocchie.

Il suo sguardo viene da un’altra terra. Che cosa l’ha colpita di Roma nei primi mesi del suo ministero?
Vengo da una realtà molto più piccola, Agrigento. L’impatto con Roma non è stato semplice, ma mi sono messo subito in gioco con la visita pastorale. Ogni sera, tornando a casa, porto nel cuore i volti di tanti volontari, famiglie, religiosi, sacerdoti che si spendono ogni giorno nei quartieri più difficili. È questo che mi incoraggia.

A livello pastorale e culturale, quali risposte sta generando il cammino giubilare?
Le comunità si stanno interrogando. I dati del Censis, con cui abbiamo collaborato, mostrano che il 95% dei battezzati non frequenta più le parrocchie. C’è stato un forte scollamento, soprattutto dopo la pandemia. Ma sento riemergere una domanda di fede più sostanziale, meno formale. Le periferie nascono già ferite, il centro è diventato un luogo di passaggio. Non è più abitato ma attraversato da turisti, pendolari, lavoratori.

C’è davvero spazio per un annuncio credibile tra le nuove generazioni?
Assolutamente. I ragazzi oggi soffrono, spesso in silenzio. Chiedono di essere ascoltati, non giudicati. Quando abbiamo accolto il corpo di Pier Giorgio Frassati a Santa Maria sopra Minerva, la basilica si è riempita in pochi minuti. I giovani si sono avvicinati in preghiera, con rispetto. Cercano testimoni credibili. Lo vedo anche nei percorsi esigenti guidati da sacerdoti come don Fabio Rosini o don Alessandro Di Medio. Più si alza l’asticella, più i giovani rispondono. Chiedono senso, profondità, autenticità.

Frassati e Acutis sono modelli ancora validi per i ragazzi?
Sì, lo sono. Acutis è vicino al mondo digitale, Frassati rappresenta un modello di vita concreta, sportiva, impegnata. Sono esempi capaci di parlare al cuore dei ragazzi. L’importante è proporli in modo non retorico, ma come compagni di strada. E le nostre comunità giovanili, nonostante le difficoltà, stanno offrendo esperienze significative.

Dalla carità quotidiana ai problemi strutturali, come sta rispondendo la Chiesa di Roma ai bisogni della città?
La generosità delle nostre comunità è straordinaria. La quasi totalità delle parrocchie ha un centro d’ascolto e una Caritas. L’Emporio della Carità, che promuoviamo da alcuni anni, restituisce dignità: chi ha bisogno entra e sceglie ciò che serve, senza ricevere pacchi preconfezionati. Stessa cosa per i doposcuola: quando li abbiamo proposti, la risposta è stata immediata. Ma ci sono problemi strutturali enormi, soprattutto sul fronte dell’abitare. Gli affitti sono insostenibili. Ci sono studenti costretti a rinunciare all’università perché non trovano una stanza. Continuo a fare appello alla politica, alle istituzioni: servono scelte coraggiose.

Il Giubileo dei giovani ha portato entusiasmo in città. Cosa si aspetta da questo incontro?
Abbiamo accolto circa 150mila giovani nelle parrocchie e negli istituti religiosi. È stato bellissimo vedere la città animata da gruppi, canti, volti pieni di entusiasmo. Il mio desiderio è che questo non resti un evento, ma diventi l’inizio di un accompagnamento stabile. Vorrei che i ragazzi scoprissero che la Chiesa è una casa accogliente, dove sperimentare la pienezza della vita.

Famiglia e giovani sono spesso i due volti della fragilità. Come li state sostenendo?
Nei consigli pastorali emergono sempre due categorie: i giovani e le famiglie. Come diocesi stiamo lavorando molto sulla pastorale familiare, con una rete di referenti nelle prefetture per essere presenti là dove le famiglie vivono. Sappiamo che non esiste la famiglia perfetta: accompagnare è la parola chiave. Papa Francesco, e ora anche Papa Leone, ci chiedono di camminare con le famiglie, in tutte le loro forme.

Cosa desidera che resti, davvero, da questo Giubileo della Speranza?
Mi auguro che il tema scelto da Papa Francesco – la speranza – non sia uno slogan. Se sarà vissuto come responsabilità, può diventare un’eredità preziosa. Testimoni di speranza significa esserlo nei gesti quotidiani, nelle relazioni, nel modo in cui trattiamo le persone. Se ci riusciamo, sarà davvero un’eredità viva. E condivisibile.

di Riccardo Benotti – Agenzia Sir

31 luglio 2025