L’accoglienza di oltre 300 persone e l’attivazione di percorsi di autonomia socio-lavorativa e abitativa in favore di 109 titolari di protezione internazionale in fase di uscita o dimessi da pochi mesi dai centri Sprar. Tra loro anche 18 nuclei familiari per un totale di 61 persone. Sono i risultati del progetto «Rafforzare #Integrazione, Costruire #Ospitalità. Piani individuali di inclusione sociale, lavorativa e abitativa per titolari di protezione internazionale nel territorio di Roma», promosso dalla Caritas di Roma in collaborazione con il Centro Astalli e il Comune di Roma. Il rapporto finale del progetto è stato illustrato ieri, giovedì 21 febbraio, nel corso della conferenza “L’accoglienza diffusa come strumento di integrazione: un modello replicabile?” che si è svolta presso l’Oratorio “San Francesco Saverio” di Roma.
Complessivamente sono state seguite persone provenienti da 27 nazionalità, di cui i maggiormente rappresentati sono stati la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica del Congo, il Pakistan e la Nigeria. Le attività sono state portate avanti grazie alla rete territoriale composta da parrocchie e istituti religiosi, che hanno messo a disposizione 31 strutture distribuite in quasi tutti i Municipi della Capitale.
È stato possibile stipulare 25 contratti di affitto regolare in favore di 45 destinatari. Altri destinatari hanno comunque trovato una sistemazione alloggiativa indipendente, benché senza contratto, per cui il numero complessivo di coloro che hanno raggiunto l’autonomia abitativa è di 73 persone su 109, ovvero il 67 % a fronte del 25% previsto in fase progettuale. Un percorso di “buone prassi” per l’inserimento alloggiativo che ha permesso di realizzare la guida “Le Chiavi di casa”, uno strumento per orientare e accompagnare all’autonomia abitativa dei protetti internazionali nella città di Roma.
«L’accoglienza diffusa – ha commentato don Benoni Ambarus, direttore della Caritas di Roma – si è dimostrata una pratica di integrazione “artigianale” e molto efficace. I protetti che sono stati accolti nelle comunità hanno avuto dei tutor di riferimento che li hanno seguiti costantemente. Si è trattato di un’esperienza generativa perché ogni immigrato è stato protagonista del suo progetto di inserimento abitativo e lavorativo».
22 febbraio 2019