Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: i quattro verbi dell’accoglienza inseriti nel messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato sono capisaldi dei centri pastorali delle comunità etniche di Roma. «Li decliniamo nel quotidiano con i migranti che seguiamo – afferma monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni (Migrantes) e incaricato della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale del Lazio -. Gli insegnamenti e la testimonianza del Santo Padre stanno dominando il nostro agire e guardiamo al migrante riconoscendo in lui l’incontro con Gesù Cristo».
A Roma sono 130 i centri pastorali che servono 37 comunità di stranieri. Alcuni sono suddivisi in diversi centri collocati in varie zone della città in base al numero degli appartenenti. La comunità filippina, per esempio, la più numerosa nella Capitale, ha ben 55 centri. Le sedi più grandi, molte delle quali allestite in parrocchie, sono aperte tutti i giorni mentre quelle delle comunità più piccole sono attive la domenica, oppure ogni quindici giorni. I centri pastorali a loro volta sono organizzati in parrocchie personali, in missioni con cura d’anime, per esempio quelle delle comunità filippine, rumene, polacche, latino–americane, o sono coordinate da cappellani di origine straniera incaricati di seguire i fedeli della propria nazione o appartenenti al proprio rito religioso. Durante gli incontri si celebra la Messa, si pranza insieme e si partecipa alla catechesi. Ci sono poi associazioni nate spontaneamente come quella mauriziana, senegalese e ivoriana. «I centri pastorali svolgono funzione spirituale, di promozione umana e d’integrazione – spiega Felicolo -. Sono luoghi dove noi rispettiamo la fede dei migranti e li accogliamo cercando di farli sentire a casa».
L’accoglienza viene espressa in modo concreto in varie forme con corsi di italiano offerti gratuitamente, con visite nelle carceri, con l’aiuto per il rinnovo del permesso di soggiorno o il ricongiungimento familiare, o con il sostegno nei confronti di chi ha perso il lavoro. «Queste strutture rappresentano un doppio binario di fede e di accompagnamento reale della persona tanto nella vita civile quanto in quella religiosa – prosegue don Pierpaolo -. Molti ragazzi appartenenti alla seconda generazione di migranti s’inseriscono bene nelle nostre parrocchie e frequentano regolarmente la catechesi sacramentale».
Punto fermo dei centri pastorali è che l’integrazione non ha nulla a che fare con l’assimilazione, perché la persona accolta non deve acquisire la cultura del Paese di accoglienza «ma ha il diritto di mantenere le proprie tradizioni – conclude Felicolo -. Dobbiamo prendere sempre più coscienza che sono realtà vive nella Chiesa e integrarle maggiormente nel contesto diocesano. Devono sentirsi parte della diocesi di Roma e con essa camminare nella fede con le proprie particolarità».