Onorevoli Deputati,
desidero, anzitutto, ringraziarvi per questa possibilità di ascolto e di incontro e portare ad ognuno di voi il saluto della nostra Diocesi, del suo Vescovo, il Santo Padre, Papa Francesco, del nostro Consiglio Episcopale e mio personale.
La Commissione parlamentare di inchiesta di cui fate parte, presieduta dall’On. Alessandro Battilocchio che saluto e ringrazio per l’invito, ha assunto su di sé un compito al tempo stesso gravoso per la quantità e la complessità del perimetro di lavoro che si è dato – quello sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie – ma ricco di attese e di speranze di quanti e noi tra questi, scorgono in questa apertura istituzionale all’ascolto approfondito, quello dell’inchiesta e al confronto di tante realtà attive nella società italiana, un presupposto essenziale per discernere le strade migliori da percorrere, tutti insieme, per dare risposte adeguate e direi necessariamente corali agli appelli, alle richieste di intervento e di aiuto, alle proposte e ai suggerimenti che stanno emergendo attraverso il vostro lavoro.
Tutto ciò è un patrimonio di straordinario valore per i lavori parlamentari grazie, soprattutto, a ciò che sta emergendo dal vostro ascolto: indicazioni e ai suggerimenti per le scelte istituzionali da compiere all’altezza delle necessità e delle esigenze del Paese.
Per noi è forte la convinzione che di fronte ai complessi e a volte antichi problemi di Roma, occorra partire dal punto di vista della povera gente, perché quello più vicino a promuovere l’interesse generale e il bene comune e, al tempo stesso, quello più in grado di favorire ponti, alleanze, collaborazioni, sinergie tra le diverse anime, tra le tante sensibilità presenti nella nostra città.
Il più delle volte la voce delle città e delle loro periferie resta confinato nel cono d’ombra dell’emergenza o dei fatti estremi di cronaca, destinato a suscitare clamore per qualche ora per uscire presto dalle luci della ribalta, salvo alimentare un sentimento diffuso di perdita di fiducia nel domani, nella possibilità di risolvere i problemi, nell’azione delle istituzioni pubbliche.
La Chiesa di Roma, proprio in questo tempo ormai prossimo alla Pasqua, sente suo compito quello di farsi interprete di un diffuso grido di dolore che proviene dalla Città, ma, al tempo stesso, quello di annunciare che proprio la Pasqua con il Cristo risorto che ha sconfitto la morte, è l’occasione per affermare il principio che la vita è più forte della morte, l’amore più forte dell’odio, la speranza più forte della rassegnazione o della disperazione. Le molte persone che non si limitano alla lamentela e alla protesta e che operano nei diversi ambienti della Città, per indicare e costruire vie di uscita possibili, necessarie ed urgenti e per rendersi disponibili a fare la loro parte, ad unire piuttosto che a dividere, e a farsi prossimi a chi è nel bisogno, sono i migliori ambasciatori della Pasqua e della speranza.
Il contributo che desidero portare qui oggi è il frutto di un percorso che noi chiamiamo sinodale, in quanto caratterizzato dall’apporto di molti, avviato da tempo e che trae origine da molteplici fonti: il confronto avviato con la visita pastorale a numerose comunità parrocchiali; con diversi sacerdoti, penso in particolare ai parroci impegnati nelle periferie “classiche” della Città; dal contributo di informazioni e di dati ed esperienze proveniente dalla Caritas diocesana, con i suoi Rapporti annuali sulla povertà; dalla testimonianza viva di altre significative esperienze di carità; dal confronto con amministratori pubblici ed operatori economici, del mondo della formazione e della ricerca.
Non a caso, proprio nel 2024, facendo la memoria del convegno “I mali di Roma” del 1974, abbiamo proposto un percorso chiamato “Ricucire lo strappo” che si è snodato attraverso l’ascolto della città, delle sue periferie, interrogandoci su quattro aspetti – Abitare, Lavoro, Salute ed Educazione –, incontrando le comunità cristiane di quattro periferie: Tor Vergata, Castelverde, Bastogi e Castel di Leva. Un itinerario che abbiamo seguito consci che – come ci dice Papa Francesco – «le periferie non sono solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali». L’Istat parla infatti di una “perifericità diffusa”, che non riguarda esclusivamente le aree più esterne, ma investe una parte significativa del territorio. Allo stesso tempo e vorrei sottolinearlo, non tutte le aree di periferia sono necessariamente sinonimo di esclusione, marginalità e disagio socio-economico e molte sono le testimonianze di luce e di speranza che provengono proprio dai quartieri considerati ai margini.
Evitare “una sempre maggiore differenza e separazione tra il centro di Roma e le periferie” e facilitare a queste ultime “l’attenzione alla bellezza e all’identità che caratterizza Roma”, sono solo alcuni cenni della Lettera Apostolica “La vera bellezza”, in forma di “Motu Proprio”, con cui lo scorso 4 ottobre, il nostro Vescovo Papa Francesco ha dato “una rilettura del senso pastorale da attribuire alla presenza sul territorio da parte della Diocesi di Roma……….riducendo l’organizzazione territoriale della Diocesi di Roma solo in riferimento ai quattro punti cardinali” ed evitando così di isolare il precedente settore centro da tutto il resto della vita ecclesiale e pastorale della Diocesi e dunque della città. Possiamo intendere questo come un segno che va proprio nella direzione di quella preziosa opera di “ricucitura” che invochiamo da tempo.
Cosa ha da dire, in maniera più specifica, la nostra Chiesa locale a questa Commissione Parlamentare? E cosa possiamo mettere a disposizione per concorrere ad alleviare le ferite della città di Roma?
Mi preme allora richiamare l’attenzione su alcuni punti che sono le «grida di dolore» che abbiamo ascoltato e richiedono il massimo impegno da parte dei diversi soggetti coinvolti: le istituzioni pubbliche; il mondo delle imprese, della ricerca, della formazione e dell’informazione, oltre naturalmente il più ampio tessuto sociale, del volontariato, del terzo settore della città e della nostra presenza.
Si vanno delineando, con tratti sempre più marcati, molte esperienze di città all’interno di un unico grande territorio che si chiama Roma.
Il Comune di Roma si estende su una superficie di 1288,19 km² con una popolazione di 2,8 milioni di residenti. Altrettante, si stima, sono le persone che ogni giorno arrivano nella Capitale per lavorare o studiare, per turismo o per usufruire dei servizi amministrativi e sanitari della Capitale.
Nel recente Rapporto sulla povertà della Caritas diocesana di Roma[1] al quale rinvio per accedere ai molti dati disponibili, si confermano due tendenze che fanno i Roma lo specchio di quanto avviene nel Paese. Da una parte vi è una proliferazione delle disuguaglianze, che porta inevitabilmente al rafforzamento della polarizzazione tra coloro che possono molto e quanti possono poco o nulla; dall’altra la presenza di più città nella città che tra loro non si conoscono, non parlano e camminano su strade parallele che appunto non si incontrano.
–La città reale e quella da copertina. La prima è quella che per certi aspetti – si pensi alla mancanza di case dignitose e alle migliaia di persone senza dimora e in precarie condizioni abitative – più si avvicina, purtroppo, a quella di 50 anni fa quando la comunità cristiana venne chiamata a riflettere sulle sue responsabilità dal convegno passato alla storia come “I mali di Roma”.
Vi è poi una seconda città, quella che in termini di benessere economico, in base agli indicatori dell’Istat, vede Roma insieme a Bologna, seconde solo a Milano, tra i capoluoghi delle città metropolitane. Le statistiche ufficiali parlano di un trend positivo per la crescita economica post-pandemia accompagnato da una crescita dell’occupazione, con una dinamica salariale che vede una perdita di potere d’acquisto molto importante. Per questo la povertà, sia in termini assoluti che relativi, continua ad aumentare. Complessivamente, la quota di persone che si trova in almeno una delle tre condizioni di disagio economico e sociale (famiglie a bassa intensità di lavoro, famiglie a rischio di povertà, famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale) è a Roma del 17,7%[2].
–La città dei redditi così profondamente diseguali, in cui si assiste a profonde differenze tra generazioni, generi, nazionalità e area di residenza; dove i giovani restano i più penalizzati, nonostante i figli da crescere, insieme alle donne e agli stranieri, mentre sugli anziani, sugli uomini e sui cittadini italiani si concentrano gli stipendi e le pensioni più alte.
Le marcate differenze dei redditi si riscontrano allora nei Municipi, nell’età e nel genere dei percettori, nella cittadinanza o nazionalità di nascita.
Il Municipio II è quello con il più alto reddito medio individuale, superiore ai 43 mila euro, seguito dal Municipio I nel quale i cittadini, in media, percepiscono un reddito di 39.233 euro. Il Municipio VI è quello nel quale la media dei redditi risulta più bassa (17.751 euro) ampiamente al di sotto (-33,1%) del reddito medio registrato nei 15 Municipi, pari a 26.568 euro.
–La città storica in cui vivono gli anziani e quella delle periferie per i giovani. La prima, il centro, che sprigiona tanta potenza attrattiva con uno straordinario e costante afflusso turistico da tutto il mondo. Una preziosa risorsa per la crescita economica della città che, però, non sembra un’opportunità per le famiglie: sempre più si sta trasformando in una città museo a beneficio dei turisti e dell’indotto da loro generato.
La seconda, quella delle periferie, in cui maggiormente vivono i giovani, che continua a crescere ma con problemi sempre maggiori, potendo disporre di minori beni e servizi; situazioni che ci interrogano quanto a capacità di rispondere alle attese di senso, di appartenenza e di giustizia che provengono da persone alla ricerca di un pieno riconoscimento del loro essere risorsa.
Una quota significativa della popolazione romana (il 25%) si concentra in sole 14 zone urbanistiche (su 155 esistenti). Tra queste, Torre Angela è particolarmente popolosa, con circa 85.000 residenti, e si trova al di fuori del GRA, insieme a Ostia Nord e Borghesiana. Altre zone urbanistiche densamente popolate includono Primavalle, Centocelle, Don Bosco, Tuscolano sud, Torpignattara, Ostia Nord, Gordiani e Torrino. Tutte aree della prima periferia, quella “storica”, e quelle degli insediamenti oltre il Grande Raccordo Anulare.
Allo stesso tempo è forte la diversificazione per età: con un indice di vecchiaia[3] pari a 187 nel 2021 (era 148 nel 2011) in più della metà delle zone urbanistiche (82 su 155), situate prevalentemente all’interno del GRA, ha un indice di vecchiaia superiore alla media comunale. In 13 zone urbanistiche, prevalentemente fuori il GRA, l’indice di vecchiaia è, invece, inferiore a 100. I giovani fino a 24 anni rappresentano il 21,9% della popolazione totale di Roma. La percentuale di giovani è più elevata in alcune periferie, come Magliana (oltre il 30%), Borghesiana (26,4%) e Torre Angela (25,1%).
–La città multietnica e la città eterna. La prima, caratterizzata dall’incontro tra culture, spesso problematico per la convivenza civile; la seconda in grado di dimostrare il grande animo di accoglienza civile e religiosa della città.
–La città con i servizi e quella in attesa. Quella dove scuole, centri sportivi, servizi di assistenza e cura della salute, luoghi di incontro e di vita culturale, religiosa e sportiva, sono presenti in modo “concentrato” e quella che, invece, è in attesa di servizi, come quelli assicurati dai medici di medicina generale che però sono ormai sempre di meno; di accesso a prestazioni e cure sanitarie fondamentali, sempre più frustata da liste di attesa interminabili, a fronte delle quali o hai la possibilità di accedere al privato, oppure devi semplicemente attendere se non rinunciare alle cure.
–La città visibile e quella che non viene percepita. La prima che presenta una straordinaria offerta di carattere culturale e turistico, unica al mondo. La seconda è quella dei senza dimora, degli accampati, di chi vive in insediamenti occupati; è quella dei precari del lavoro giornaliero e comunque a termine, dove la forza contrattuale sta tutta sul lato della offerta che determina livelli retributivi, orari e luoghi di lavoro. È quella che noi in fondo conosciamo più direttamente e frequentiamo quotidianamente in ogni settore della città.
Onorevoli Parlamentari, desidero ora portare alla vostra attenzione su alcune grandi aree di sofferenza della Città che ci sembrano prioritarie anche se collegabili ad altre non meno rilevanti, come quelle dell’ aggravarsi della difficoltà di accesso al SSN (con le “famose” liste di attesa) e dell’emergenza salute mentale, oppure dell’ancora aperta questione lavorativa, con una Capitale che presenta si un tasso di occupazione del 70,6%, un dato di oltre 5 punti superiore alla media nazionale e a quella regionale ma con una forte prevalenza di lavori instabili, il 18,8% di lavoratori atipici (17% del totale nazionale); in cui i lavoratori dipendenti regolari, con “bassa paga”, rappresentano il 13,5% (10,4% in Italia) del totale. Mi riferisco alla povertà abitativa, alla povertà culturale ed educativa e alla questione della sicurezza e della integrazione sociale.
Sono tre grandi aree di intervento urgente molto interconnesse tra loro e che vanno dunque affrontate con un approccio non più settoriale ma integrato, direi sinergico.
- La povertà abitativa
Secondo la recente ricerca (marzo 2025), realizzata dalla Università Sapienza di Roma e promossa dal Sindaco di Roma, il prof. Roberto Gualtieri e dall’Assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative della Città, il dr. Andrea Tobia Zevi, “Un totale approssimativo di circa 114.000 nuclei familiari può quindi essere stimato come in condizione di fragilità abitativa a Roma e, pertanto, sovraesposto al rischio di grave disagio abitativo.” In questo totale, si trovano “i nuclei in conclamate situazioni di grave emergenza, identificati come popolazioni speciali: circa 22.000 famiglie”. Tutto ciò in presenza di circa 160-200.000 appartamenti privati vuoti e non utilizzati! Il problema è complesso ed ha radici lontane. Certo non aiuta minimamente rilevare come proprio in certe grandi aree periferiche, venga segnalato la presenza di abitazioni di proprietà pubblica che risultano non abitate e in attesa di assegnazione, facilmente esposte a possibili occupazioni abusive spesso colluse con le attività criminali presenti nel territorio, quali spaccio e prostituzione, a volte in pessime condizioni di manutenzione, di idonea riqualificazione strutturale degli edifici o con molte barriere architettoniche o con impianti degli ascensori non funzionanti che isolano soprattutto le molte persone anziane che vi vivono da sole e tante persone disabili.
Nel frattempo, dilagano gli affitti “brevi” che rendono molto di più ai proprietari, rispetto agli affitti “lunghi”, cioè ai regolari contratti di affitto e che stanno stravolgendo il tessuto sociale di molti quartieri, non solo quelli centrali. A luglio 2024 il dossier dell’Istat segnala che in dieci anni, la popolazione residente nel I Municipio è scesa del 38%, cioè di oltre 20.000 persone trasferitesi altrove. Nel mentre sul web l’offerta di affitti brevi arriva a 35.000 tra case vacanza e miniappartamenti, senza considerare il mercato irregolare.
È “superfluo” aggiungere i molti altri dati disponibili per rappresentare la drammaticità della questione abitativa a Roma, per affrontare la quale l’auspicio è che si possa assistere ad una decisa e urgente iniziativa politica e amministrativa che metta insieme, superando le comprensibili e legittime differenze, i diversi poli di responsabilità a livello locale, regionale e nazionale.
La Chiesa di Roma, da parte sua, ha posto questa stessa molteplice forma di povertà tra le proprie priorità di animazione pastorale, con l’impegno a rafforzare, proprio nell’anno del Giubileo della Speranza, la testimonianza della carità operante delle nostre comunità ecclesiali e religiose ad ogni livello.
Le proposte
- Introdurre nell’anno giubilare una moratoria per gli sfratti per morosità incolpevole, prevedendo forme di indennizzo per i piccoli proprietari, oppure accordi pattizi su base volontaria tra le parti, con forme di mediazione delle Istituzioni o del Terzo Settore.
- Rifinanziare adeguatamente a livello nazionale il Fondo per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli
- Introdurre idonee misure per regolamentare prima e scoraggiare poi gli affitti brevi e per incentivare, viceversa, gli affitti di durata regolare, rafforzando pure le garanzie per i proprietari di rapido recupero degli immobili alla scadenza dei contratti di locazione ed istituendo un apposito fondo di garanzia per i piccoli proprietari di immobili.
- Assicurare, vincolando regioni ed enti locali ad idonee misure di cooperazione, il pieno utilizzo degli alloggi di edilizia popolare pubblica, rendendo molto più rapido il processo di loro assegnazione o riassegnazione e controllando periodicamente l’effettivo loro utilizzo da parte degli aventi diritto.
- Stanziare idonee risorse a destinazione vincolata per le necessarie opere di manutenzione o di riqualificazione strutturale degli edifici o di rimozione delle barriere architettoniche nei complessi di edilizia residenziale pubblica.
- Salvaguardare la legalità prevenendo e contrastando le occupazioni abusive di immobili promosse con finalità chiaramente illegali e prevedendo contestuali forme di assistenza alloggiativa per quei nuclei familiari “costretti” a reperire un alloggio e privi di reali alternative.
- Disincentivare le speculazioni per ottenere i risarcimenti nel caso di grandi immobili occupati, attraverso una norma che vieti di lasciare vuoti delle intere strutture esponendole a prevedibili occupazioni illegali
- Stabilire modalità di sgombero con ricoveri alternativi per famiglie indigenti, prive di alternative che si troverebbero altrimenti prive di una dignitosa sistemazione abitativa.
- Sostenere adeguatamente la diffusione e l’integrazione delle forme di housing pubblico (edilizia residenziale pubblica); sociale e privato (con normali abitazioni sul mercato degli affitti)
- Rafforzare la rete di strutture destinate alla prima accoglienza per persone senza fissa dimora o in gravi condizioni di precarietà abitativa, attraverso la collaborazione con enti del terzo settore e del volontariato.
- La povertà culturale ed educativa
È un triste fenomeno molto cresciuto negli anni e che coinvolge sia gli adulti, sia i giovani, con tutte le gravissime conseguenze che derivano per gli uni e per gli altri ancora di più. E’ urgente intervenire sui modelli culturali di riferimento dominati dall’individualismo; dalla ricerca del successo e della visibilità ad ogni costo; dal consumismo senza ormai limiti. Tale povertà è strettamente collegata al diffondersi delle dipendenze, su tutte quella dalle droghe, in particolare tra i giovani e di alcune gravi patologie sociali ed economiche, come quelle del sovraindebitamento, in costante crescita; il ricorso all’azzardo – a Roma, secondo l’Agenzia delle Entrate, nel solo I semestre del 2024, sono state fatte scommesse, tra canali fisici e on line legali, per oltre 4 miliardi di euro; risorse enormi sottratte all’economia reale e almeno concausa di tanti tracolli familiari – la ripresa dell’usura di prossimità. Sulla povertà educativa c’è da alzare il velo sulla impossibilità per molti, a partire da tanti giovani di seconda generazione, di capire, di potersi muovere e di fare scelte consapevoli, rispetto al contesto sociale e culturale nel quale sono immersi. I volti di questa povertà che creano le precondizioni dell’esclusione sociale, sono davvero numerosi.
Comprendono l’accesso limitato a risorse educative; la ridotta qualità dell’insegnamento, soprattutto nelle aree svantaggiate della città; la mancanza della possibilità di fare sport, arte, musica o corsi di approfondimento; il basso contesto socioeconomico e culturale delle famiglie che influiscono negativamente sul tempo e sulle risorse da dedicare allo studio; la mancanza di un adeguato sostegno psicologico ed emotivo con la presenza di situazioni di stress o instabilità familiare; le condizioni di salute inadeguate; la povertà linguistica e di stimoli, soprattutto per i minori e i giovani; le limitate prospettive future e le aspirazioni che possono ridurre le motivazioni. Il fenomeno più preoccupante è quello della dispersione scolastica, nelle sue molteplici varianti – abbandono, uscita precoce dal sistema formativo, assenteismo, frequenza passiva o accumulo di lacune, con tutte le conseguenze in termini di esclusione sociale che ne possono derivare.
A Roma, la percentuale di popolazione senza licenza media è del 2,3%, con il valore massimo registrato nella zona di Santa Palomba.
La quota di giovani che non studia e non lavora (NEET) è un altro indicatore della difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e nella società. La percentuale di giovani di 18-24 anni con la sola licenza media e non inseriti in percorsi di studio o formazione sia inferiore alla media nazionale (4,7% a Roma e 10,5% in Italia) e a quella dei grandi comuni metropolitani (14,4%). Nella Capitale i giovani che non lavorano e non studiano nella fascia di età 15-29 anni (NEET) rappresentano il 10,7% del totale, mentre raggiungono il 16,1% in Italia. Questo dato viene superato in alcune zone come Grottarossa Ovest, Santa Palomba e Magliana, dove supera il 30%.
Su questo versante è indispensabile avviare un intervento di lungo periodo, per promuovere i valori della legalità, della sobrietà, del senso civico, creando e/o rafforzando i luoghi sani di incontro, di socializzazione, di apprendimento culturale e di studio (l’importanza dei doposcuola!).
Le proposte
- Lasciare le scuole aperte il pomeriggio ed eventualmente anche nelle ore serali, facendole diventare centri culturali a disposizione del territorio
- Coinvolgere le associazioni del territorio per realizzare dei doposcuola e attività sportive per i ragazzi e corsi di formazione per gli adulti, come quelli per l’apprendimento dell’italiano da parte di stranieri adulti.
- Promuovere progetti finalizzati con la collaborazione istituzioni pubbliche e realtà del volontariato per l’integrazione dei giovani neet.
- Favorire il più possibile il tempo pieno nelle scuole, venendo così incontro anche ai bisogni alimentari delle famiglie e alle esigenze lavorative dei genitori in condizioni di particolare disagio (nb. nell’ultimo anno il 7% degli ospiti delle mense della Caritas di Roma, era costituito da minori stranieri accompagnati dai genitori!)
- Investire sulla sicurezza e la manutenzione degli edifici scolastici ed in particolare rafforzare gli impianti sporti per consentire l’accesso alle attività sportive a bambini e ragazzi.
- Promuovere una più stretta collaborazione tra la rete dei doposcuola e dei centri sportivi delle parrocchie e delle associazioni locali e le istituzioni pubbliche.
- Rafforzare gli aiuti economici per il diritto allo studio per le famiglie e le persone in difficoltà.
- Rafforzare il collegamento dei percorsi scolastici e l’accesso al mondo del lavoro.
- Rilanciare e potenziare il servizio civile universale quale opportunità di formazione e di socializzazione attorno ad alcuni grandi principi di solidarietà e della convivenza civile.
- Stanziare idonee risorse per il sostegno alle famiglie con figli minorenni che vivono situazioni di vulnerabilità.
- Rafforzare l’offerta di percorsi educativi per giovani e adulti rivolti alla diffusione dei principi della legalità, della solidarietà e della integrazione sociale.
- La questione della sicurezza e della integrazione sociale
Sale forte dalla città, soprattutto nelle periferie geografiche e non, la richiesta di fare qualcosa per superare il senso di paura, di ansia, di preoccupazione di abitanti limitati nelle relazioni e nella possibilità di vivere la semplice quotidianità del quartiere, dal fare esperienza di una progressiva e quotidiana appropriazione del territorio da parte delle organizzazioni criminali. In alcuni casi le stesse caratteristiche urbanistiche e infrastrutturali dei grandi complessi di insediamento dell’edilizia popolare, sembrano rendere le piazze dello spaccio dei veri e propri fortini inespugnabili. Il passaggio dal giorno alle prime ore del buio non di rado suscita un clima quasi da “coprifuoco” e i più fragili – in primis anziani, donne, bambini e ragazzi – diventano ancora più fragili.
Cresce purtroppo la tentazione di prendersela con i più poveri della città, con i migranti. È una contrapposizione senza senso, del tutto ideologica, quella tra la giusta domanda di maggiore sicurezza e di maggiore presenza attiva delle forze dell’ordine, alle quali rinnoviamo la nostra gratitudine per il servizio che assicurano anche in condizioni di grandi difficoltà, al dovere della solidarietà nei confronti dei più poveri e dell’accoglienza dei migranti, dei “diversi” da noi.
Sicurezza, accoglienza e integrazione sociale sono in realtà tutte parti di un unico progetto integrato di vivibilità della città che richiede, per essere realizzato, l’apporto dei singoli e delle comunità, delle istituzioni pubbliche di quelle sociali economiche e religiose.
La risposta, in molti contesti, è stata una crescente richiesta di misure repressive che da sole, nel tempo, per quanto in alcuni casi necessarie, offrono solo una risposta immediata alla paura diffusa, ma che rischiano di amplificare il problema invece di risolverlo.
Esiste allora una strada che possa coniugare queste tre esigenze? La risposta sta nella capacità di affrontare il problema con una visione di lungo periodo, evitando risposte emergenziali e polarizzazioni ideologiche. Il primo passo è riconoscere che sicurezza, solidarietà e integrazione sociale non sono in contrapposizione, ma tre aspetti della stessa questione: il modo in cui costruiamo la nostra città e il modello di convivenza che vogliamo adottare.
Per garantire sicurezza ai cittadini e, al tempo stesso, proteggere i diritti dei più vulnerabili, è necessario investire in politiche abitative adeguate, in servizi di supporto sociale e in percorsi di inclusione lavorativa.
Occorre anche ripensare la sicurezza non solo in termini di controllo, ma come capacità di prevenire le cause del disagio. Quartieri illuminati, spazi pubblici vissuti, presidi sociali diffusi, seri investimenti di contrasto alla povertà culturale ed educativa, sono strumenti che rendono le città più sicure più di qualsiasi misura repressiva estrapolata da tutto il resto. La prevenzione passa attraverso la costruzione di comunità coese, dove il cittadino non si sente abbandonato dallo Stato e il povero e/o il migrante che non di rado coincidono, non si sente un intruso nella città.
È fondamentale un nuovo approccio culturale che superi la retorica dell’emergenza. La Chiesa, attraverso la sua opera di evangelizzazione e di annuncio quindi di Cristo risorto; le sue opere di carità e la sua presenza nei territori più difficili, desidera continuare ad essere un ponte, un terreno di incontro e di facilitazione di relazioni per costruire fratellanza, attraverso la promozione dell’ascolto e della cooperazione reciproca. tra questi due mondi. Il messaggio evangelico non è un’utopia ingenua, ma una visione profonda della realtà umana, che tiene insieme giustizia e misericordia. Una città che accoglie i poveri e si prende cura di loro è, in definitiva, una città più sicura per tutti.
Le proposte
- Rafforzare la presenza stabile delle forze dell’ordine nei quartieri maggiormente esposti alla criminalità, promuovendone un rapporto più stretto di collaborazione con le associazioni e le realtà del territorio, in funzione di una maggiore proattività da parte dei diversi soggetti.
- Promuovere percorsi di educazione alla legalità, all’uso consapevole del denaro (educazione finanziaria) e di prevenzione delle dipendenze da alcool, droghe e azzardo (scommesse on line e su rete fisica), puntando sulla collaborazione tra istituzioni pubbliche (con particolare riferimento a scuole, aziende sanitarie locali e municipi), enti del volontariato e del terzo settore.
- Sostenere appositi programmi di coinvolgimento degli abitanti nella valorizzazione e nella protezione del territorio promuovendo l’associazionismo e la sua messa in rete con le istituzioni pubbliche.
- Prevedere un adeguato potenziamento della rete pubblica di illuminazione, di trasporto, di raccolta e smaltimento dei rifiuti e degli impianti sportivi, in particolare nelle periferie.
- Creare idonei luoghi di aggregazione e di socializzazione, con idonea offerta di carattere culturale e ricreativa soprattutto per i giovani e per gli anziani.
- Coinvolgere il volontariato nella custodia e manutenzione degli spazi pubblici, a partire dalle aree verdi.
- Stanziare idonee risorse a destinazione vincolata per le necessarie opere di manutenzione o di riqualificazione strutturale degli edifici o di rimozione delle barriere architettoniche nei complessi di edilizia residenziale pubblica.
- Rafforzare i programmi di riabilitazione e di reinserimento sociale di persone, in particolare giovani, che hanno avuto problemi con la giustizia, puntando anche in questo caso alla collaborazione tra istituzioni pubbliche, organizzazioni non profit e del volontariato.
- Evitare la concentrazione della presenza di persone coinvolte in programmi alternativi di sconto pena in una medesima area.
- Potenziare la rete dei servizi socio assistenziali e di carattere sanitario sul territorio, con una scelta privilegiata per i servizi di assistenza domiciliare soprattutto per persone anziane o sole non autosufficienti.
Concludo facendo cenno al nostro impegno per il futuro.
La situazione delle periferie romane continua ad essere un terreno al tempo stesso di sofferenza e di speranza; di contraddizioni e di opportunità. Il Popolo di Dio che abita la Città Eterna è chiamata ad esercitare una responsabilità piena per promuovere e sostenere il bene che vi è presente nelle sue molteplici vesti, assicurando vicinanza, presenza e sostegno verso coloro che vivono ai suoi margini.
Al centro dell’impegno della Chiesa vi è la fedeltà al suo principale mandato, quello missionario, di annuncio quindi del messaggio di salvezza annunciato e testimoniato a tutti dal Figlio di Dio, attraverso la proposta di percorsi di ascolto della Parola di Dio e la promozione della preghiera e della testimonianza della carità, aperti a quanti sono interessati a percorsi di carattere spirituale e alla ricerca di senso per la propria esistenza.
Crediamo molto nel ruolo decisivo per la coesione sociale che può essere svolto da un percorso di ascolto, di incontro e di riconoscimento reciproco, con una forte attitudine a stabilire relazioni collaborative, con le tante risorse buone e generose che ci sono a Roma e che hanno a cuore il bene comune.
La Chiesa di Roma si offre in tal senso come “spazio” di incontro e di confronto tra quanti sono desiderosi del bene delle città, delle sue comunità locali.
Le Comunità parrocchiali, a partire da quelle presenti nelle periferie romane, confermano la loro disponibilità, anzi il desiderio, di dare il loro contributo, promuovendo e rendendosi disponibili all’incontro con le realtà del territorio disponibili a promuovere e nutrire le relazioni di bene tra le persone e a contribuire per quanto possibile a costruire risposte percorribili a problemi tralasciati a volte per decenni e che interpretano l’esigenza di andare oltre la denuncia e le contrapposizioni ideologiche e di superare ogni forma di rassegnazione.
Desideriamo mettere a disposizione anche ambienti, locali per consentire ad associazioni e realtà del territorio circostante che ne sono sprovvisti, di potersi incontrare, di realizzare qualche iniziativa.
Contribuire alla grande questione della povertà culturale ed educativa, accogliendo gli insegnanti, disponibili a realizzare dei doposcuola, come l’insegnamento (es. l’italiano) e per fare i compiti nel dopo scuola.
Si desidera continuare nell’offerta di occasioni di impegno volontario nei diversi ambiti di servizio della comunità.
Oltre all’offerta di servizi di solidarietà e di prossimità immediata, attraverso le nostre opere segno, per venire incontro alle necessità di base delle persone e delle famiglie in difficoltà, desideriamo Continuare a promuovere, attraverso la rete territoriale della Caritas diocesana e di altre realtà di carità disponibili a collaborare, un servizio gratuito di informazione, assistenza e consulenza per facilitare l’accesso di persone e di famiglie in difficoltà ai servizi della pubblica amministrazione e di pubblica utilità (es. sanità), sulla scorta delle informazioni pubblicate on line dal Manuale operativo dei diritti della Caritas diocesana di Roma.
Continueremo inoltre a svolgere quella funzione di stimolo nei confronti delle Istituzioni pubbliche, di raccolta di dati e di informazioni e di analisi della realtà, per essere maggiormente efficaci nel sollecitare e nel monitorare gli interventi pubblici necessari ed urgenti sulle principali aree di povertà delle periferie romane, per sollecitare l’esercizio di quelle indeclinabili responsabilità d’intervento e di gestione dei problemi che appartengono alle istituzioni pubbliche.
Saremo infine attenti, sul piano della comunicazione a promuovere una narrazione delle periferie romane che accanto agli indubbi e gravi problemi, sappia far emergere anche il buono che c’è e i semi di speranza esistenti, dai quali è imprescindibile partire se si vuole costruire ed uscire dalla logica della sola denuncia e protesta.
Baldassare Card. Reina
Vicario Generale di Sua Santità
per la Diocesi di Roma
[1] Povertà a Roma, un punto di vista “Tra indifferenze e speranze”, Caritas diocesana di Roma, Palumbi editore, novembre 2024
[2] Il benessere equo e sostenibile a Roma, Rapporto 2024, Roma Capitale – Ufficio di Statistica
[3] Indicatore che esprime il rapporto tra la popolazione anziana (oltre 64 anni) e la popolazione giovane (0-14 anni)