Il prete in una Chiesa in uscita:
le relazioni del convegno alla Lateranense

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Chiesa in uscita Palmieri

Accogliendo l’invito di Papa Francesco a essere “Chiesa in uscita”, il Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis insieme al Servizio diocesano per la formazione permanente del clero hanno organizzato lo scorso 9 aprile, alla Pontificia Università Lateranense, un convegno di studi sulla figura del prete.

Con l’intento di offrire un’analisi e una valutazione di tipo teologico-pastorale sul ministero del prete nel contesto urbano di una grande metropoli, quale è la città di Roma, due le domande attorno a cui ha ruotato la giornata di approfondimento dal titolo “Il prete in una Chiesa in uscita”:

1.“Che cosa lasciare , che cosa tenere di quello che si è ereditato dalla tradizione?”

2.“Che cosa lasciare, che cosa tenere di quello che oggi il mondo offre?”

chiesa in uscita

Ad aprire l’incontro il cardinale vicario Angelo De Donatis. A seguire i saluti del rettore della Lateranense Vincenzo Buonomo e l’intervento del preside dell’Istituto Redemptor Hominis don Paolo Asolan su “Per una teologia del ministero presbiterale in azione”.

Presenti anche il vescovo ausiliare monsignor Gianpiero Palmieri con una relazione su “Gestire le strutture o rilanciare la missione?” e don Nicola Reali, professore al Redemptor Hominis che ha discusso su “Il prete oggi di fronte ai fenomeni culturali”.

A presiedere la seconda parte dell’incontro il rettore del Pontificio Seminario Maggiore, don Gabriele Faraghini. A intervenire i professori Giovanni Cucci, Salvatore Abruzzese e Denis Biju-Duval.

Di seguito alcuni degli interventi in programma durante la sessione mattutina del convegno.

Chiesa in uscita, De Donatis: “Adoperarsi perché a Roma nessuno sia solo o ai margini”

“Qual è il disegno di Dio su una realtà umana complessa, plurale, differenziata come è la vita di una metropoli, che consiste nel suo nucleo essenziale nella compresenza su un medesimo territorio di gente diversa, con culture diverse, con stili di vita che non sempre sembrano fatti per intendersi? E quale compito spetta ai discepoli del Signore e ai suoi apostoli — a coloro cioè che ha direttamente associato alla sua missione? Come va interpretato oggi questo compito?”. Sono questi gli interrogativi posti dal cardinale vicario, Angelo De Donatis, in apertura dei lavori.

Secondo De Donatis, “il ministero pastorale deve tenere conto e rispondere a destinatari e a situazioni di vita che offrono elementi non trascurabili, se vogliamo incidere davvero sulla cultura, sugli stili e le condizioni di vita, nell’assecondare l’opera dello Spirito che sta portando a compimento il Regno di Dio”. Da qui, la necessità di “adoperarci affinché nessuno, qui a Roma in particolare, si senta solo o lasciato ai margini, si senta estraneo alla manifestazione di Dio, alla comunicazione di Dio.

Verso i pastori, ha ancora sottolineato il cardinale “non è mai diminuito il desiderio che anch’essi siano sempre dei paràcliti; parola che significa colui che è chiamato accanto colui che prende le difese, colui che consola, colui che dice una parola buona, colui sul quale si può contare”. Senza perdere di vista, ha precisato il vicario di Roma, che “‘essere vicino’ per i cristiani non significa massificare”, ma “cercare di capire l’altro per dare a lui quello di cui ha bisogno, preoccupandosi di fare una diagnosi accurata, non ripetitiva, non standardizzata”.

“L’intera realtà di una Chiesa diocesana, tutta la realtà della cura pastorale in questo nostro tempo e in questo nostro contesto urbano, o è fuoco dell’amore di Dio oppure brucia in un fuoco che l’annienta”. È fondamentale che “nella nostra azione pastorale appaiano lingue di fuoco, capaci di accendere l’amore di Dio”. Perché “la verità non si conosce solo per mezzo dell’intelligenza, ma la si conosce solo se si ama”.

Ascolta l’intervento integrale:

Chiesa in uscita, Asolan: “Il pastore non sia più manager ma diventi leader”

Oggi è fondamentale che “il pastore non sia più, o non più soltanto, un manager ma diventi leader”. È quanto, ancora, ha sottolineato don Paolo Asolan, preside del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis.

Questo tipo di figura, ha osservato don Asolan, “non si limita ad organizzare le persone ma le orienta”, sviluppa “le strategie generative dei cambiamenti necessari”, punta “a soddisfare il bisogno di appartenenza delle persone, di riconoscimento, di autostima e quello per il quale possono esercitare essi stessi un controllo responsabile sulla loro vita, senza sentirsi eccessivamente dipendenti da un superiore che li esautora”.

Il tutto, “valorizzando il contributo dei suoi interlocutori, coinvolgendoli nelle decisioni, curando cioè l’empowerment”. Infine “vigila ed eventualmente corregge il rischio di ridurre la sinodalità ad una semplice tecnica di governo o ad un modello puramente organizzativo della vita ecclesiale, nutrendola piuttosto dell’intreccio inscindibile tra cultura di comunione e strutture di partecipazione, che tra loro interagiscono in un processo che parte e ritorna alla prassi concreta delle comunità”.

Ascolta l’intervento integrale:

Chiesa in uscita, Palmieri: “Il presbitero è un’identità in movimento”

L’identità poliedrica del presbitero, che non si costruisce a tavolino, è quanto poi ha sottolineato monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo ausiliare della diocesi di Roma

La riforma non deve essere finalizzata “a rendersi accattivanti, ma a comunicare il Vangelo”. In quest’ottica, anche “l’identità del presbitero va tratteggiata in vista di questo compito missionario”. Il sacerdote, ha spiegato, “è preso dal popolo, è a servizio del popolo nelle cose che riguardano Dio ed è in mezzo al popolo”.

Deve “considerarsi un ‘misericordiato’, in quanto vive tra l’assoluta dignità del ruolo e la consapevolezza della propria miseria”. Il presbitero, ha aggiunto monsignor Palmieri, “è colui che sa riconoscere la presenza di Dio, coglie i segni dei tempi e sostiene la speranza del popolo di Dio”, ma è anche “colui che sa relativizzare le difficoltà e non è preso dalle ansie di dover gestire tutto”.

Ascolta l’intervento integrale: 

Chiesa in uscita, Reali: “Leggere teologicamente i fenomeni culturali”

“È necessaria e inevitabile saper leggere i fenomeni culturali del mondo in cui vive ed è chiamato a svolgere il suo ministero”. È questo il messaggio lanciato da Don Nicola Reali. “Nessun prete può sottrarsi a questo compito”.

“La sua lettura del mondo deve essere da credente, teologica, nel senso che si interpreta a partire da Dio. Il punto di riferimento è Dio, la sua Parola, la sua azione“.

“Dio non è un aspetto del mondo accanto agli altri, ma la presenza di quella realtà senza la quale il mondo non soltanto sarebbe diverso ma non esisterebbe affatto. La religione è qualcosa di cui si può fare a meno, Dio no. Con Dio si a che a fare anche quando lo si ignora o lo si contesta”.

Ascolta l’intervento integrale: 

Valeria De Simone