19 Aprile 2024

Blasone

Interzato in pergola rovesciata: nel 1° di rosso, al leone di San Marco “in moleca”, d’oro, tenente il libro aperto dello stesso, scritto delle parole in lettere maiuscole romane di nero, PAX TIBI MARCE nella prima facciata, in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe; nel 2° d’azzurro, alla basilica crocettata e gheronata di 7 pezzi, con l’asta attraversata dalle chiavi pontificie addossate, decussate e legate, il tutto d’argento; nel 3° dell’ultimo, alla mela granata al naturale, posta in sbarra, aperta di rosso, gambuta e fogliata di 6 pezzi di verde.

Lo scudo accollato alla croce astile doppia, trifogliata, d’oro, gemmata di 7 pezzi di rosso, e timbrato da un cappello prelatizio di rosso con 15 fiocchi per lato dello stesso.

Motto: NIHIL CARITATE DULCIUS.

Spiegazione simbolico – teologica

Lo stemma del Cardinale Vicario di Roma innalza nel 1° quarto, su campo di rosso, colore che richiama il martirio, la figura dell’Evangelista Marco, come chiaro richiamo alla Parrocchia romana che egli ha servito prima della sua nomina vescovile. Notiamo che nello stemma che Mons. De Donatis aveva adottato come Vescovo Ausiliare di Roma il leone marciano era già presente, insieme alla figura della mela granata. Attualmente la figura teriomorfa si applica perfettamente come riferimento al Titolo cardinalizio del titolare. Il leone, identificato con la tradizione iconografica cristiana con l’Evangelista Marco a partire dalla descrizione che ci offre il libro dell’Apocalisse circa i quattro esseri viventi che stanno accanto al trono celeste di Dio e all’Agnello[1], è qui rappresentato con gli elementi raffigurativi caratteristici: le ali, l’aureola e, tra le branche, il libro aperto recante la scritta PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. La frase non è evangelica ma è tratta dalla presunta profezia sul luogo di sepoltura finale di san Marco, quella che legittimava la traslazione delle sue reliquie da Alessandria a Venezia. Infatti, secondo un’antica tradizione veneziana, un angelo in forma di leone alato avrebbe rivolto al Santo, naufrago nelle lagune, la frase: «Pax tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum» (Pace a te, Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo), preannunciandogli che in quelle terre avrebbe trovato un giorno riposo e venerazione il suo corpo.  Il leone è rappresentato nella tipica posizione in “moleca”, che in dialetto veneziano (moeca) significa “granchio”: le penne delle ali del tipo di leone detto “in moleca” sembrano infatti aprirsi come chele. Era l’iconografia più diffusa nella città lagunare, proprio per il carattere “anfibio” del leone così rappresentato. Esso infatti sembra emergere dalle acque, e così veicolava un ulteriore messaggio ideologico, rinviando alla purezza di Venezia, nata dal mare, libera dalle ingerenze politiche delle vicine potenze territoriali[2]. Notiamo che negli stemmi dei Patriarchi di Venezia che, divenuti cardinali, fino a tempi recenti hanno ricevuto il Titolo romano di San Marco, il leone alato era rappresentato nella sua figura intera e passante, sul caratteristico “capo” (detto capo di Venezia) che tradizionalmente completa la loro arma personale. La figura dell’Evangelista, oltre a richiamare il Titolo di San Marco, non può non costituire un riferimento al Vangelo – iniziatore del cui genere letterario fu proprio Marco – di cui un Vescovo deve essere sempre fedele annunciatore con la vita oltre che con le parole.

Nel 2° quarto, su campo d’azzurro – colore che richiama altezza di ideali e virtù in quanto rimanda all’incorruttibilità della volta celeste e quindi alla santità, ed è spesso usato negli stemmi ecclesiastici contemporanei anche per il suo riferimento alla Beata Vergine Maria – troviamo il gonfalone pontificio o basilica, insieme alle chiavi petrine, emblema che era stato aggiunto in una nuova versione dello stemma di Mons. De Donatis, quando questi fu innalzato alla dignità di Arcivescovo e nominato Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma. La composizione è emblema pontificio[3], ma anche emblema della Arcibasilica Lateranense, di cui il Vicario Generale di Roma è Arciprete. Infine è anche emblema del Pontificio Seminario Romano Maggiore al quale il Cardinale De Donatis resta particolarmente legato in quanto vi ha vissuto gli anni della sua formazione al sacerdozio e vi ha esercitato il servizio di Direttore spirituale.

Infine nell’ultimo quarto troviamo la figura certamente più caratteristica dello stemma del Cardinale Vicario: la mela granata. Si tratta di una figura non frequente nell’uso araldico ecclesiastico contemporaneo[4]. Tuttavia è una figura dal ricchissimo valore simbolico. Secondo la tradizione ebraica la melagrana contiene al suo interno 613 semi che rappresentano le 613 prescrizioni scritte nella Torah osservando le quali si ha la certezza di tenere un comportamento saggio ed equo. Nel cristianesimo la melagrana, a causa del colore rosso vermiglio dei suoi semi e soprattutto del suo succo, è simbolo del sangue versato da Cristo e dai Martiri e rappresenta l’unione di tutti i figli della Chiesa: ad esempio, appare nelle opere di Sant’Ambrogio con multiforme significato simbolico, ma sempre riconducibile all’immagine della Chiesa; nell’Esamerone, Ambrogio offre la spiegazione più chiara e completa di questo simbolo: la Chiesa, a somiglianza della melagrana, è speciosa per il sangue dei martiri e soprattutto è Christi cruore dotata. La si trova, infatti, in molti dipinti a tema religioso e spesso i pittori del XV e del XVI secolo raffiguravano il Bambino Gesù con in mano una melagrana per raffigurare la passione che il Cristo dovrà subire.

Nello stemma del Cardinale Vicario di Roma la mela granata ben si associa alle parole scelte come motto in riferimento al primato della Carità che tutti unisce (in modo simile alla compattezza con cui sono disposti i chicchi all’interno del succoso frutto) nella Chiesa santificata dal sangue di Cristo. Infatti, le parole scelte dal Cardinale De Donatis fin dall’inizio del suo ministero episcopale per il proprio motto episcopale sono tratte dal De officiis ministrorum di Sant’Ambrogio laddove il Santo Dottore afferma: “Sit inter vos pax, quae superat omnem sensum. Amate vos invicem. Nihil caritate dulcius, nihil pace gratius…” (“Sia tra di voi la pace che supera ogni sentimento. Amatevi gli uni gli altri. Nulla è più dolce dell’amore, nulla più gradevole della pace”)[5].

Roma, 3 Novembre 2018

Don Antonio Pompili
Vicepresidente dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano
Membro dell’Accademia Internazionale di Genealogia
Membro associato dell’Accademia Internazionale di Araldica

[1] Cf Ap 4,6-8.

[2] Per una trattazione completa del simbolo marciano del leone e del suo uso araldico cf. G. Aldrighetti,   L’araldica e il leone di San Marco. Le insegne della Provincia di Venezia, Venezia 2002.

[3] Cf. D.L. Galbreath, Papal Heraldry, second edition by J. Briggs, London 1972, pp. 27-37; B.B. Heim, L’Araldica nella Chiesa Cattolica. Origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, pp. 54-55; A. Cordero Lanza di Montezemolo – A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, nella Chiesa Cattolica, 2° edizione aggiornata, Città del Vaticano 2016, pp. 45-47.

[4] Nel momento in cui scriviamo questo testo esplicativo sono a noi noti solo tre altri stemmi di Vescovi italiani che innalzano questa figura: lo stemma di Mons. Luigi Renna Vescovo di Cerignola – Ascoli Satriano, quello di Mons. Gianmarco Busca Vescovo di Mantova, e quello di Mons. Paolo Bizzeti Vescovo Titolare di Tabe e Vicario Apostolico dell’Anatolia.

[5] Ambrosius, De Officiis ministrorum, Liber 2, Caput XXX, 155.

 

Il motto Nihil Caritate Dulcius

Le parole scelte dal Vicario per il proprio motto episcopale sono tratte dal “De officiis ministrorum” di Sant’Ambrogio laddove dice

Sit inter vos pax, quae superat omnem sensum. Amate vos invicem. Nihil caritate dulcius, nihil pace gratius…

“Sia tra di voi la pace che supera ogni sentimento. Amatevi gli uni gli altri. Nulla è più dolce dell’amore, nulla più gradevole della pace”

Ambrosius “De Officiis ministrorum” Liber 2, Caput XXX, 155

 

Il titolo di San Marco

Il Cardinale Vicario Angelo De Donatis è stato Parroco di San Marco al Campidoglio dal 2003 al 2015.

Il Papa gli ha assegnato come “titolo” proprio quello legato alla Basilica di Piazza Venezia, la chiesa nazionale dei veneti residenti a Roma.

Secondo alcune fonti del medievale “Liber Pontificalis”, in origine i titoli da assegnare ai cardinali erano 25 mentre 7 erano le diaconie.

San Marco fa parte della lista dei 25 titoli originari, non a caso si tratta di una delle più antiche chiese di Roma. Le sue origini risalgono a Papa Marco (… – 7 ottobre 336) che la fece costruire nel 336. Gregorio IV la ricostruì nell’883, mentre l’attuale decorazione barocca risale ai restauri del XVII e XVIII secolo. Secondo il catalogo del cronista e storico Pietro Mallio, il titolo era collegato alla Basilica di San Pietro e i suoi sacerdoti avevano il diritto di celebrarvi Messa a turno.

Quello di San Marco, infine, era il titolo assegnato di consueto al patriarca di Venezia una volta creato cardinale, come accadde con Albino Luciani (futuro Giovanni Paolo I) dopo il Concistoro del 1973.