Una lettura della costituzione apostolica – di Vincenzo Buonomo

1. Con l’emanazione della Cost. Ap. In ecclesiarum communione (IEC), il 6 gennaio 2023, Papa Francesco ha disposto cambiamenti per la struttura e il funzionamento del Vicariato di Roma che si inseriscono nella più ampia opera di riforma avviata fin dall’inizio del pontificato. Si tratta infatti non di una semplice modifica di norme preesistenti, di una loro integrazione o attualizzazione, quanto piuttosto di una nuova prospettiva che dovrà caratterizzare sia le modalità che l’attività di governo.

La lettura del testo evidenzia come fondamento delle disposizioni due primi elementi che costituiscono un segno di continuità nel magistero del Papa e nella sua preoccupazione di garantire che “il popolo di Dio nella Diocesi a lui affidata sia confermato nella fede e nella carità” (IEC, 1). Il primo è il legame diretto della nuova normativa al ministero che del Vescovo di Roma è proprio, così come esplicitato dal richiamo a Lumen Gentium e quindi all’immagine conciliare dell’unico collegio apostolico in cui la comunione con il Vescovo di Roma diventa vincolo di unità, di carità e di pace (cfr LG, 22). Il secondo è la missionarietà a cui è chiamata anche la Chiesa che è in Roma e domanda un effettivo cambiamento, una “conversione missionaria” (IEC, 2) che fa anche del Vicariato un adeguato strumento di evangelizzazione. Ambedue gli elementi convergono verso la prospettiva data da Evangelii Gaudium che nell’idea di riforma e cambiamento, invita la Chiesa a “porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” (EG, 25).

In particolare, le nuove norme nell’applicare la caratterizzazione evangelizzatrice e missionaria al Vicariato ne danno una nuova immagine, rendendolo non solo sostanziale strumento dell’esercizio del munus petrino, ma anche esempio e testimonianza. Non è difficile ritrovare qui l’essenza del discorso rivolto da Papa Francesco alla Curia Romana, il 21 dicembre del 2019, che sottolineava come oggi la Chiesa nel proclamare la verità di Cristo deve avere consapevolezza di non operare più “in un regime di cristianità”, ma piuttosto di vivere in quella che “non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. […] uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede”. Questo significa che l’azione della Chiesa “non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata opposta alla secolarizzazione”. Ma se il ministero ecclesiale e la missionarietà, come pure “il compito di essere testimone credibile dell’amore di Dio” (IEC, 4) sono chiamati a confrontarsi con forme di indifferenza, la Chiesa non può sottrarsi alla necessità di annunciare il Vangelo, autenticamente e con ogni mezzo.

Nell’indicare che è questo lo specifico compito a cui deve rispondere anche il Vicariato di Roma, Papa Francesco ha inteso collocarne la funzione e le attività sulla scia di quella nuova evangelizzazione delineata già all’inizio del pontificato, in particolare quanto al rapporto tra l’annuncio e la trasmissione della fede. Un rapporto che individua la proclamazione del Vangelo effettivamente legata ad una pastorale che si realizza in tre ambiti fondamentali: la pastorale ordinaria, proiettata verso i fedeli che sono membra vive delle comunità ecclesiali e verso coloro che pur conservando la propria fede la esprimono in modi diversi, senza una diretta partecipazione alla vita comunitaria; la pastorale verso coloro che pur avendo ricevuto il battesimo non ne vivono i doni, né manifestano una volontà di appartenenza alla dimensione ecclesiale; e quella pastorale che è essenzialmente evangelizzazione volta a proclamare la Buona Novella a chi non conosce Cristo o lo rifiuta (cfr EG, 14). Una impostazione che è possibile rilevare nel percorrere i compiti che la nuova Costituzione Apostolica affida alla Chiesa di Roma: non soltanto una pastorale articolata nelle diverse forme, ma una sua strutturazione secondo l’idea di nuova evangelizzazione di Papa Francesco (cfr IEC, 14).

2. La riorganizzazione del Vicariato non esprime, dunque, scelte orientate verso le strutture, ma risponde alla dimensione del mistero della Chiesa come comunione e di una Chiesa locale chiamata a manifestare il volto della sinodalità nel suo operare e il senso della collegialità episcopale nel suo governo (cfr IEC, 2). Infatti, se la sinodalità è dimensione propria di tutti i battezzati e del popolo di Dio del quale garantisce le forme di partecipazione e il contributo alla vita delle realtà ecclesiali, la collegialità è forma dell’esercizio del ministero episcopale ed appartiene quindi direttamente ai Vescovi. Del loro aiuto il Vescovo di Roma si avvale nell’esercizio del “ministero episcopale di governo, santificazione e governo pastorale della Diocesi” (IEC, Art. 10).

La sinodalità mostra capacità di distinguere il servizio dall’incarico, ma anche il coraggio di passare dalla presenza alla partecipazione del popolo dei battezzati, dal semplice ascolto ad una reciprocità di ascolto, dal confronto alla condivisione, dall’astrattezza alla capacità di manifestare la natura missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa di oggi. La sinodalità, infatti, non è un modo di governare, quanto piuttosto uno stile di governo che richiede continuo esercizio attraverso il quale il mutare delle persone e delle strutture scaturisce da un cambiamento di metodo. Lo esprimono molto bene i Principi Orientativi quando nel delineare i presupposti della struttura del Vicariato domandano un effettivo impegno e una piena collaborazione dei battezzati nei loro differenti status, un’integrazione vicendevole tra le diverse strutture e uno spirito di servizio che si manifesta nell’avvicendamento dei compiti e delle responsabilità (cfr IEC, Art. 5); o quando gli stessi Principi dispongono che ascolto e corresponsabilità sono il fine di ogni attività diretta a sostenere l’annuncio del Vangelo, il servizio a tutti i soggetti e a tutte le realtà ecclesiali, la partecipazione, le responsabilità, la comunione e l’unità pastorale come unica strada per garantire l’impegno missionario verso Roma e verso il mondo a cui la Diocesi è chiamata (cfr IEC, Artt. 2-4).

Integrazione vicendevole, avvicendamento, diaconia, partecipazione, comunione, unità nella pastorale sono i primi segni di un’effettiva sinodalità che trova completamento nell’atteggiamento a cui sono chiamati quanti partecipano, nei differenti ruoli e responsabilità, al governo della Diocesi: così va letta la richiesta di una “personale assiduità nello svolgimento dei propri compiti e di un progressivo aggiornamento, nonché un concreto inserimento nella vita e nell’azione pastorale diocesana; e da parte dei presbiteri anche un’attiva partecipazione alla cura d’anima” (IEC, Art. 6).

In questo senso la partecipazione di quanti “lavorano a qualsiasi titolo negli Uffici del Vicariato dell’Urbe” alle decisioni, all’organizzazione e alle funzioni che sono parte dell’esercizio sia della potestà amministrativa che di quella giudiziaria, trova sbocco negli incontri periodici, nella sinergia di azione attraverso punti di convergenza che sono il risultato di una convinzione: l’unità di missione verso l’unico fine che è “quello di sostenere l’annuncio del Vangelo, seguendo gli indirizzi del programma pastorale diocesano” (IEC, Art. 2).

3. Tutta l’impostazione data al nuovo assetto del governo della Diocesi di Roma è sintetizzata da Papa Francesco con alcuni termini che costituiscono altrettante chiavi di lettura non solo del testo della Costituzione Apostolica, ma del modo di procedere, operare e agire da Lui prefigurato per il Vicariato.

Missione, credibilità, annuncio, testimonianza, ascolto sono i presupposti di un’effettiva capacità della Chiesa di porsi con disponibilità e condivisione di fronte alle realtà dell’oggi, ma allo stesso tempo sono anche il modo per evitare e fronteggiare le tentazioni che non permettono di ascoltare la voce dello Spirito, che bloccano lo slancio evangelizzatore e sinodale, che si chiudono nella rigidità delle formule e delle strutture (cfr IEC, 5). A farsi strada è invece la necessità di scrutare i segni dei tempi, di operare un effettivo discernimento per riconoscere le esigenze nuove e poter rispondere anche attraverso istituzioni strutture e organismi rinnovati (cfr IEC, 6).
Si tratta di un approccio che contestualizza la riorganizzazione del Vicariato nella duplice dimensione di Chiesa come mistero di comunione e come realtà missionaria. Ciò significa dare spazio alle esigenze che sono proprie delle realtà ecclesiali (prospettiva ad intra), ma ponendosi in ascolto e pronta a contribuire a quanto manifestano la situazione sociale e le particolari necessità di chi dimora a Roma (prospettiva ad extra). Infatti, se è vero che la Diocesi si ritrova in un contesto nel quale sono presenti ed operano realtà istituzionali molteplici, assetti territoriali diversi, proposte culturali e di formazione, esperienze pastorali di natura interreligiosa e dialogo ecumenico, parimenti essa è chiamata ad individuare quali sono gli spazi e le esigenze in cui dover operare “in uscita”

La dimensione ad extra, infatti, richiede ai cristiani di Roma la consapevolezza di dover svolgere la loro missione in contesti difficili, problematici, in cui fattori come la mobilità umana o piuttosto le diverse crisi e le incertezze del tempo sono realtà stratificate che esprimono non solo esigenze, ma anche richieste che non possono fermarsi a declinare solo emergenze. E allora, se Roma è meta di pellegrinaggi o luogo propizio per realizzare il dialogo interreligioso, l’incontro ecumenico, l’attenzione verso le diverse tradizioni e culture presenti, Roma è anche lo spazio in cui la missio ad gentes diventa un modo per rendere testimonianza della carità universale che il Vescovo di Roma incarna (cfr IEC, 13). Ed a questo il Vicariato è chiamato a unirsi, nella sua strutturazione e nelle sue attività.

4. Analizzandone i dispositivi, dalla Costituzione Apostolica è possibile cogliere due distinte, seppur non diverse, definizioni di Vicariato, ambedue convergenti sul carattere ministeriale di questa struttura e sull’azione missionaria che è chiamata a svolgere, in spirito di diaconia e nel porsi come esempio. Il Vicariato infatti è descritto quale: “luogo esemplare di comunione, dialogo e prossimità, accogliente e trasparente a servizio del rinnovamento e della crescita pastorale della Diocesi di Roma, comunità evangelizzatrice, Chiesa sinodale, popolo testimone credibile della misericordia di Dio” (IEC,15); allo stesso tempo è anche “Organo della Santa Sede dotato di personalità giuridica ed amministrazione propria [che] svolge la funzione di Curia diocesana caratterizzata dalla peculiare natura della Diocesi di Roma” (IEC, Art. 8). Ed è proprio l’unità tra ministerialità e missionarietà a fare della struttura uno strumento per rispondere al cambiamento epocale per la Chiesa e il Mondo.

Questo comporta un diverso modo di agire nel porre attenzione sia alle vocazioni, ai ministeri ordinati e non, alle parrocchie, ai sacramenti, ai diversi ambiti della pastorale, alla mobilità umana, all’integrazione, alla formazione, all’incontro e al dialogo, come pure ai profili operativi collegati ai luoghi di culto, alla loro collocazione e strutturazione o alla gestione economica rispetto alla quale la vigilanza deve operare perché ogni azione sia prudente e responsabile ponendo sempre l’uso dei beni a sostegno della pastorale e della carità (cfr IEC,14). Non si tratta solo di una limitazione temporale di incarichi e di uffici – eccetto quelli afferenti l’attività giudiziaria (cfr IEC, Art. 39) – quanto piuttosto di un diverso modo di interpretarne la funzione, riassunta nella capacità di favorire “una più efficace mediazione con le comunità ecclesiali” (IEC, Art. 5). Qui si intravede una maggiore sinergia nel rapporto tra il Vicariato come centro, e la periferia costituita dalle parrocchie e dalle multiformi istituzioni ecclesiali presenti nel territorio della Diocesi.

In questa linea può leggersi anche la decisione del Vescovo di Roma di conferire ad ognuno dei Vescovi ausiliari la potestà ordinaria vicaria (IEC, Art.10), sostenuta da una sostanziale collegialità nella forma di governo e da una sinodalità nelle modalità del governare. Su questi due pilastri infatti, è chiamato ad operare il Consiglio Episcopale, “organo primo della Sinodalità” che nella sua forma collegiale pone in risalto la ministerialità quale “luogo apicale del discernimento e delle decisioni pastorali e amministrative”, e la comunione quando “esprime pareri o dà il consenso nei casi stabiliti dalla […] Costituzione Apostolica” e vede operare il Cardinale Vicario “nella sua funzione di coordinamento della pastorale diocesana in comunione con il Consiglio Episcopale” (IEC, Art. 21).
Collegialità e sinodalità caratterizzano, dunque, l’agire del Consiglio Episcopale nella pastorale diocesana, nelle nomine e in tutte le sue decisioni (cfr IEC, Art. 21, §§ 3 e 4), nel coordinare la potestà ordinaria vicaria dei singoli Vescovi ausiliari anche quando questa può essere concomitante e concorrente (cfr IEC, Art. 17), e quindi nel favorire le modalità con le quali gli Ausiliari, “dopo aver sentito gli altri membri del Consiglio Episcopale e in accordo con il Cardinale Vicario”, possono compiere gli atti amministrativi di competenza – nella forma ordinaria (cfr IEC, Art. 11) – nella propria porzione di territorio o nelle funzioni ad essi attribuite (cfr IEC, Art. 19).

Questo metodo, applicato ad ogni ambito della vita diocesana, evidenzia non una eccessiva presenza dell’Autorità, quanto piuttosto un suo esercizio di responsabilità nei confronti del popolo di Dio presente nella Diocesi. Una responsabilità assegnata e ripartita nei diversi livelli di governo e di funzioni, nelle quali la potestà esercitata non è legata al livello gerarchico o allo status del battezzato, ma alla potestà vicaria conferita a ciascuno.

Al coordinamento dell’intera struttura del Vicariato nelle sue ripartizioni e uffici è chiamato il Vicegerente che, nel coadiuvare il Cardinale Vicario, modera il lavoro e opera attraverso il principio dell’interlocuzione unica quale risultato di quella integrazione vicendevole tra le diverse autorità personali, gli organi e le strutture, sia nelle attività ad intra, sia nel rapporto con autorità esterne, ecclesiali e non (cfr IEC, Art. 14).

Sinodalità e missionarietà danno poi la loro impronta alla realtà degli “organi sinodali”, evidente non soltanto nel Consiglio Pastorale Diocesano, nel Collegio dei Consultori, nel Consiglio dei Prefetti e nel Consiglio Presbiterale (cfr IEC, Art. 22), ma anche nella diversa composizione di organi quali il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici che oltre a coadiuvare il Vescovo di Roma “nell’ambito dell’amministrazione economica della Diocesi” è chiamato anche a svolgere funzioni di supporto alle attività di amministrazione che la nuova normativa pone in capo direttamente ai Vescovi ausiliari per la loro porzione di territorio o funzione (cfr IEC, Art. 23 § 1); come pure nella distinzione tra la figura dell’Economo diocesano e quella del Direttore dell’Ufficio amministrativo (cfr IEC, Art. 29) dalla quale si evince la diversificazione tra il controllo e la vigilanza rispetto all’azione e all’attività di un ufficio. Una linea ben precisa, che consente di inquadrare la presenza e le finalità del nuovo organo di controllo interno, istituito quale Commissione Indipendente di Vigilanza (cfr IEC, Art. 31), che collegialmente assume il controllo e la vigilanza in ogni ambito dell’operatività del Vicariato e più ampiamente della Diocesi.

Infine, l’ordinamento giudiziario del Vicariato conferma la riforma di fatto già operante che vede la presenza del Tribunale Ordinario diocesano e del Tribunale Interdiocesano di Prima Istanza (cfr IEC, Artt. 36 ess) alla cui costituzione sovrintende il Consiglio Episcopale (cfr IEC, Artt. 40 e 41).
***

Di solito si afferma che il funzionamento delle strutture e la loro regolazione se dipendono dalla disponibilità e dalla capacità delle persone che le animano, hanno anche bisogno della verifica sul terreno e della quotidiana capacità di applicarsi alle situazioni concrete. Solo coniugando questi diversi aspetti le strutture sono in grado di dare risposte, fornire indirizzi necessari e raggiungere il fine a cui sono chiamate.

Nel caso specifico del Vicariato, tutto questo significa garantire il ministero del Vescovo di Roma nel desiderio che la Chiesa a Lui affidata “possa risplendere come esempio della comunione di fede e di carità, pienamente coinvolta nella missione dell’annuncio del Regno di Dio, custode della speranza divina di accogliere tutti nella sua salvezza” (IEC, 2).

Scarica il contributo del professor Buonomo

27 gennaio 2023