Intervento di S.E. Mons. Angelo De Donatis, al Convegno delle presidenze diocesane di Azione cattolica

Intervento del 28 aprile 2018 di S.E. Mons. Angelo de Donatis, Vicario Generale della Diocesi di Roma, al Convegno delle presidenze diocesane di Azione cattolica

Giovanni 14,7-14
Chi ha visto me ha visto il Padre
“Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. u Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Carissimi,
sono lieto di portare il saluto della Chiesa di Roma all’inizio di queste giornate di Convegno delle Presidenze diocesane dell’Azione Cattolica. Per questo importante appuntamento vi siete riferiti all’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium che il Santo Padre ha rivolto a tutta la Chiesa nella festa di Cristo Re del 2013 e gli avete dato per titolo «Un popolo per tutti», scegliendo di fermare la vostra attenzione sul concetto di «popolo» nella teologia di Papa Francesco.

Prendiamo una luce per questa ricerca dal Vangelo che ci è stato annunciato.

Gesù, dopo avere lavato i piedi ai discepoli, si era rivolto loro esortandoli a ripetere quanto egli aveva fatto e aveva condensato il suo insegnamento nel comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri: come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Il Signore si congedava così dai discepoli per andare incontro alla sua passione, che egli presenta loro come un ritorno al Padre, presso il quale avrebbe preparato un posto per ognuno.
È a questo punto che Filippo si rivolge a Gesù dicendo: «Mostraci il Padre… ».
La domanda esprime il desiderio, anzi il bisogno di conoscere finalmente quel Dio liberatore di cui parlavano i Padri del tempo antico: il Dio che aveva liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto con braccio potente e si era fatto conoscere nel deserto e poi aveva introdotto Israele nella terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza.

Filippo ha nella mente e nel cuore la grande epopea dell’esodo durante la quale Israele conobbe il Signore e divenne un popolo fiero della legge ricevuta da Dio stesso per mezzo di Mosè.
In Filippo si riconosce l’ansia di tutti gli uomini di buona volontà di vedere Dio in mezzo al suo popolo e di sentire la sicurezza che viene dalla sua presenza.

La risposta di Gesù richiama quello che ai discepoli avrebbe dovuto essere evidente, dopo tutto il tempo trascorso con lui: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre».
Gesù è venuto a radunare i figli di Dio dispersi per guidarli in un nuovo esodo verso una terra di libertà che questa volta non è più ristretta entro i confini di una regione, ma ha proporzioni universali, perché è quella libertà piena che si raggiunge quando si entra nella dimensione dell’amore reciproco, che diviene un gareggiare nello stimarsi a vicenda e nel lavare i piedi ai Santi e si spinge fino a dare la vita per gli amici.
Il popolo nuovo è formato da coloro che vanno a Gesù contemplandolo innalzato sulla croce e nella gloria. È un popolo nel quale le distinzioni e le disuguaglianze create dagli uomini sono scomparte perché ognuno si muove guidato dal desiderio di essere salvato. E un popolo che cammina con fiducia, perché segue il Pastore grande. E ancora, un popolo che, camminando, cresce perché nel suo esodo attraverso la storia è impegnato a raccogliere tutti coloro che incontra sul proprio cammino e anzi va a cercare i diseredati che stanno ai crocicchi delle strade e lungo le siepi per arrivare tutti, col passo del più debole, e per giungere insieme alla Casa nella quale ci celebrano le nozze dell’Agnello.

Gesù dice: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi».
Il discepolo del Signore non resterà in attesa si prodigi, ma compirà egli stesso il prodigio che nasce dalla carità, perché il Signore lo ha reso capace mediante il dono dello Spirito santo. Quel segno che il mondo attende è l’amore fedele per l’uomo, anche quando si fa nemico; è l’amore preferenziale per i poveri che attendono la buona notizia del regno; è la capacità di allacciare e coltivare relazioni nelle quali ognuno, sentendosi amato, impara a conoscere veramente se stesso e Dio. Infatti in chi si sente amato il Signore può accendere la fede.
Permettetemi di riprendere il titolo che avete voluto dare al vostro Convegno: “Un popolo per tutti”. Tutti sono chiamati a diventare popolo di Dio. A cominciare dai poveri, dai quali sorge il grido dell’umanità ferita e arriva al cuore di Dio. E Dio risponde inviando il Figlio, che continua la sua opera nella Chiesa.

Sono molti gli aspetti sui quali ci si potrebbe trattenere. Qui voglio richiamarne uno soltanto che mi sembra particolarmente indicativo del nostro tempo. Il Santo Padre parla spesso della cultura dello scarto e
dell’emarginazione. Ne sono vittima tutti coloro che a vario titolo possono essere compresi nella categoria dei poveri.

Scrive il Santo Padre al n. 193 della EG: «L’imperativo di ascoltare i poveri si fa carne quando ci
commuoviamo nel più intimo di fronte ali ‘altrui dolore». I poveri e la loro condizione di debolezza che si spinge spesso fino all’impotenza, specialmente in quei contesti in cui sono assenti le forme più elementari di tutela sociale, hanno sempre costituito un richiamo per la Chiesa impegnata ad annunciare il Vangelo. Il Papa ricorda che il criterio di autenticità dell’annuncio della buona Notizia è ricordarsi dei poveri, e richiama ciò che scrive Paolo nella lettera ai Galati (cf Gal 2,10), dove riferisce l’appello della Chiesa di Gerusalemme alle comunità dell’Asia Minore.
Il povero, per la sua condizione, è il portatore di una domanda che da ultimo trova e troverà nel Signore un ascoltatore attento. E il Signore come già con il suo popolo oppresso risponde investendo la Chiesa della missione di liberare l’uomo da ciò che ne schiaccia la dignità.
In un tempo nel quale le diversità di culture e di condizione inducono molti a separare e ad escludere, in forza del suo mandato la Chiesa è impegnata a integrare e a unire.
Dice il Papa: «Diventare un popolo richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia» EG 220.

Nella domanda di Filippo troviamo l’anelito che in diverse forme è presente nel cuore di ognuno: vedere Dio all’opera per cambiare il volto della storia.
Dio opera sempre, ma senza la fede lo sguardo si perde nel vuoto, perché non ne sa vedere i segni.

La Chiesa, che animata dallo Spirito santo continua nel tempo la missione del suo Maestro e Signore. è inviata a ripetere all’orecchio di ognuno: chi ha visto Gesù ha visto Dio. E intanto deve costruire i “segni” che confermano l’annuncio. Il più grade di tutti, il segno decisivo è il convenire di tutti nella comunione. Questo avverrà quando ognuno volgerà lo sguardo a Colui che è stato trafitto. Allora gli uomini scopriranno di essere un popolo. E i poveri per primi scopriranno che la condizione che li ha resi più simili a colui che da ricco che era si è fatto povero ( cf 2Cor 8,9) porta in sé un annuncio di salvezza e una benedizione per tutti.

Ci sentiamo confrontati con una sfida che richiede il meglio da ognuno. Abbiamo una chiara coscienza della nostra comune missione, quella cioè di annunciare ai poveri la Buona notizia unendo tanti dispersi in un solo popolo in cammino verso una terra nuova.

Nella Lettera apostolica Gaudete et exultate il Santo Padre rimette al centro la preghiera.
In un mondo dal ritmo vorticoso dove la complessità dei problemi crea ogni giorno nuove emergenze, il Papa richiama l’urgenza di maturare una visione spirituale della vita. Perché è a partire da un modo nuovo di sentire e di gustare intimamente la realtà che nasce la visione e si sviluppa la profezia che riaccende la speranza.

Sono certo che il lavoro al quale vi dedicherete aprirà per l’Associazione e, attraverso di essa, per le Comunità nelle quali l’Azione Cattolica svolge il suo prezioso apostolato, nuovi ed entusiasmanti orizzonti e anzi mi auguro vivamente che il lavoro di questi giorni si traduca in fermento e profezia per le Chiese particolari del nostro Paese.