L’invito del cardinale Zuppi ai giovani: «Essere discepoli di Gesù e operatori di pace»

Foto Gennari

«Al centro non c’è il nostro io. Al centro c’è sempre e solo Cristo, nostra speranza e pace». Si è propagata in tutta la piazza e ha raggiunto i cuori dei 40mila pellegrini italiani la voce del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna. «Cristo che rende l’altro, qualunque esso sia, il mio e nostro prossimo e non un estraneo o un nemico». È questo lo snodo imprescindibile da cui partono le strade della pace. Il porporato lo ha indicato senza mezzi termini. E la risposta dei giovani, che si sono riuniti, la sera del 31 luglio, per la Confessio fidei “Tu sei Pietro”, si è percepita nei loro sguardi e nello scambio di pace che si sono dati alla fine, su invito dello stesso cardinale. Gli stessi sguardi che hanno accompagnato le parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, che parlando della situazione in Terra Santa ha sottolineato in un videomessaggio che «anche in mezzo alla sofferenza, non mancano mai segni di vita e di speranza. Lo vedo ogni giorno. Dio non ci lascia mai soli». In questo mare incredibile di sfiducia e di odio- ha aggiunto – sono tante le persone che sono ancora capaci di mettersi in gioco per fare qualcosa per l’altro, perché non si arrendono a questa situazione di “io e nessun altro”, ma puntano sul “noi insieme”».

Sulla stessa scia l’omelia di Zuppi. «Siamo qui e questa nostra Madre – ha detto riferendosi alla Chiesa -, la mia e nostra casa dove tutti, tutti, tutti, siamo accolti come le braccia del colonnato ci stringono e ci definiscono, la vediamo addolorata sotto una croce ingiusta e terribile sulla quale è inchiodato suo figlio e i suoi figli. Sono croci costruite follemente dagli uomini che fabbricano armi per uccidere e distruggono quello che fa vivere». Oggi «si combattono tante inutili stragi, tante guerre. – ha aggiunto il cardinale -. Chi uccide un uomo, uccide il mondo intero! Come uccidere un bambino? Non possiamo mai abituarci a una sofferenza infinita. È un mondo che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro, che in modo dissennato non ha paura della forza inimmaginabile degli ordigni nucleari». Nel nostro mondo, secondo Zuppi, «diventa normale l’uno sopra l’altro, gli uni contro gli altri, gli uni senza gli altri, e non crediamo più che siamo sulla stessa barca e che l’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità».

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