Il cammino di conversione pastorale avviato nella nostra diocesi è un cammino di Chiesa: ciò comporta che non esiste ambito o soggetto ecclesiale che non ne venga coinvolto. La Chiesa, infatti, è una comunione: ciò che interessa o tocca qualcuno, implica una modificazione delle relazioni con tutti gli altri. La questione è avvertita da tutti, soprattutto dai presbiteri che svolgono un ministero pastorale direttamente a contatto con la vita quotidiana del popolo di Dio. Le trasformazioni che hanno investito le parrocchie romane (e di cui abbiamo fatto memoria in questo primo tempo dell’anno pastorale) hanno avuto come conseguenza anche una corrispondente modificazione del modo di intendere e di esercitare il ministero del parroco e dei preti di parrocchia.
In una società dove tutta la vita era interpretata attraverso il prisma ermeneutico sacrale, la concentrazione delle attività pastorali sui sacramenti (da celebrare e ai quali preparare) appariva senz’altro culturalmente adeguata, cioè capace di senso, compresa dalla gente anche più semplice e integrata nel tessuto sociale. Il cambiamento rapido ed epocale dell’ultima modernità sta sfaldando tale concezione, fino nei suoi presupposti culturali. La questione ha prodotto molti studi e riflessioni, benché non sempre equilibrati e soddisfacenti. Molte delle trattazioni teologiche risentono delle dinamiche socio-culturali quasi senza avvedersene e si illudono di tracciare il profilo della identità presbiterale ponendosi semplicemente di fronte a tali dinamiche: finendo così, con la pretesa di esserne immuni, a subirne goffamente il trascinamento.
Il Pontificio istituto pastorale Redemptor Hominis e il Servizio diocesano per la formazione permanente del clero vorrebbero iniziare una riflessione su questi temi a servizio del rinnovamento pastorale in diocesi. Per questo propongono due appuntamenti. Il primo sarà un incontro, lunedì 21 gennaio alle 10.30 nel teatro del Seminario Maggiore, con Thomas Frings, tedesco, autore del fortunato libro “Così non posso più fare il parroco. Vi racconto perché”, in Italia edito da Ancora. Il libro ha avuto una grande diffusione in tutta Europa e sembra aver dato voce e parole al disagio diffuso tra i preti, quel disagio che si raccoglie facilmente alle riunioni di prefettura o di settore, o nei Consigli dei prefetti o dei presbiteri. L’autore lo sintetizza così: «Come prete ho avuto una vita gratificante e vorrei continuare a essere prete. Ma come parroco la vivo sempre più come un servizio reso a tradizioni e a disposizioni di una Chiesa che a tutti i livelli lavora più per il suo passato che per il suo avvenire».
Nel febbraio di due anni fa don Frings aveva scelto di lasciare il ministero attivo per prendersi un anno di pausa e di ripensamento, che lo liberasse dalla gabbia di una «pastorale dell’inutile» (così l’aveva definita) e gli aprisse vie nuove su come interpretare il suo servizio pastorale. Questo primo incontro servirà da status quaestionis per il secondo, sul quale avremo occasione di ritornare: un convegno – il 9 aprile – sull’identità e la missione del prete a Roma. L’invito e la partecipazione sono rivolte a tutti. La domanda alla quale vorremmo iniziare a rispondere è semplice quanto decisiva: cosa tenere, cosa lasciare di quello che si è ereditato? Cosa deve rimanere costitutivo e cosa va invece ricompreso e rinnovato del nostro ministero?
don Paolo Asolan, incaricato diocesano per la Formazione permanente del clero
16 gennaio 2019