Sempre più spesso all’attenzione dei servizi di psicologia e di neuropsichiatria infantile giungono ragazzi e ragazze che sono stati oggetto di vessazioni, in genere da parte di coetanei, nelle forme più svariate, il più delle volte nell’ambiente scolastico, o comunque in esso originate, talvolta al di là della stessa immaginazione, come si fosse protagonisti di un videogioco.
È un prodotto del tempo che viviamo, che si nutre ormai abitualmente della realtà virtuale (ossimoro per eccellenza!) che tende a far credere che ogni cosa sia possibile… e ciò forse è vero nella misura in cui ogni cosa si muova all’interno della propria dimensione. Purtroppo nel nostro tempo accade con sempre maggior frequenza che il mondo bidimensionale salti fuori dal monitor per invadere gli spazi reali, fino a prenderne il sopravvento e a determinare uno stravolgimento dell’esame di realtà da parte di chi non ha ancora sufficienti strumenti per distinguere il falso dal vero, parafrasando Guccini.
Sotto il termine “bullismo” si possono raggruppare comportamenti che ormai vengono considerati parte della cosiddetta normalità, perché nel mondo virtuale il bullo assume le stesse caratteristiche del furbo, si muove cioè sotto false credenziali, diventando così un modello cui aspirare, un esempio di pragmatismo cibernetico. E si sa che nel web non c’è spazio né per sentimentalismi né per moralismi.
Qui risiede la differenza fra il bullismo moderno e quello di una volta… un sempre maggiore assottigliamento dell’area affettiva, fino alla trasparenza, per usare una metafora radiologica. Il ritrovarsi cioè di fronte a una generazione con un progressivo indebolimento della capacità di criticare il proprio operato, perché viene sempre più a mancare la palestra del moralismo, sia esso pratico o puro.
Il bullo tradizionale, invece, era raggiungibile, aveva ben efficiente la capacità di confrontarsi con le proprie azioni, ed era proprio sul terreno del pragmatismo che poteva mostrare le proprie qualità sottostanti, alle quali agganciarsi per costruire un’alternativa, un percorso direzionato verso l’integrazione sociale.
Oggi il fenomeno bullismo viaggia attraverso i neo-social e fa proselitismo grazie all’arroganza del sistema, concepito in termini algoritmicamente verticistici, per cui uno solo può amministrare l’espressione del gruppo nascondendosi dietro l’omertà informatica, più bieca e cinica di quella conosciuta dalla mia generazione. Chi viene attaccato, infatti, non possiede appigli, non può far leva sulla dialettica e sulla razionalità, se viene circondato non trova nessuno su cui appoggiarsi… e se oggi questo accerchiamento avviene fisicamente, per la strada, gli altri, quelli onesti, non sono più abituati a frapporsi, a fare da scudo contro l’ingiustizia e la stupidità, come se si stesse perdendo sul piano epigenetico la capacità spontanea di proteggere gli individui della specie esposti a un rischio contingente nel contesto sociale.
Il fatto preoccupante è che attualmente gli insegnanti, ultimo baluardo da frapporre fra i bulli e le loro vittime, sono in seria difficoltà, non avendo la piena autorevolezza che veniva riconosciuta come insita nel loro ruolo, venendo addirittura non infrequentemente sconfessati dagli stessi genitori. In questo stravolgimento dei tradizionali ruoli sociali, un intervento dell’insegnante rischia di attivare meccanismi di rinforzo da parte dei genitori stessi, fino a poter precludere l’efficacia educativa di un deciso richiamo alle regole di convivenza e di reciproco rispetto.
Ciononostante, proprio gli insegnanti possono configurarsi come l’anello di congiunzione tra le parti in gioco, potendo agire sia sui precursori del bullismo, cioè sul vuoto antecedente che favorisce l’attecchimento del gioco sadico che seleziona la vittima e la offre in pasto al carnefice, sia sugli eventi successivi all’episodio di bullismo, laddove solo l’intervento di un arbitro adulto consente di stroncare l’aggressione prima che incida sull’equilibrio di chi subisce, fino a determinare effetti in alcuni casi devastanti.
Di fronte alla prepotenza del “disimpegno morale”, occorre riaffermare il primato delle regole basate sul rispetto e sulla responsabilità individuale, presupposto imprescindibile per la costruzione di una società giusta e solidale. Albert Einstein, in modo acuto, osserva: «Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di chi compie azioni malvagie, ma di quelli che osservano senza dire nulla». (Roberto Rossi, neuropsichiatra dell’età evolutiva)
10 novembre 2017