Accanto agli adolescenti autenticità e rispetto delle ferite

Riflessione legata a un’esperienza di terapia familiare. Rimanere «aperti all’incontro». I ragazzi non tollerano il “genitore amico”

Quando incontri un adolescente, al primo sguardo colpisce il suo modo di stare in relazione: può essere timido; bene educato; desideroso di fare una buona impressione; scocciato; provocatore; desideroso di lasciare un segno, il suo segno. Se dopo il primo sguardo non ci lasciamo “catturare dal pensiero etichettante” che ne consegue, ma rimaniamo aperti all’incontro, abbiamo la possibilità di entrare nella verità di quel ragazzo\ragazza e di poter provare ad osservare come lui osserva il mondo che lo circonda e la realtà familiare di cui fa parte.

Accade che lo sguardo si muta, si espande fino ad includere osservatore ed osservato, in cui l’alternanza tra chi osserva e chi è oggetto di osservazione diventano una danza dove le figure che si compongono possono essere infinite a seconda di come procede la relazione. Non si tratta di osservare l’adolescente con un “occhiale” normativo, che cerca di vedere se quello che si ha davanti è un ragazzo adattato alla realtà o meno, ma di fare un viaggio nel suo mondo e capire cosa osserva di noi: mondo adulto.

Se nella poesia “I vostri figli” di Kahlil Gibran, che propongo a fine riflessione, si sottolinea come “noi siamo l’arco dal quale, come frecce vive, i nostri figli sono lanciati in avanti”, possiamo interrogarci su che tipologia di “arco” siamo e come i nostri figli ci considerano.

Andrea, 15 anni, guarda i suoi genitori separati da diversi anni e dice «A ma’.. a pa’.. famose a capì, siete gli ultimi che possono dire quello che devo fare, voi avete fatto quello che volevate… Avevate promesso che era per sempre… siete un bluff!». Andrea ha problemi scolastici, una diagnosi di disturbi dell’apprendimento, fatica a rispettare le regole ed è stato sospeso più volte, fuma marijuana, ha relazioni con ragazze solo per avere rapporti sessuali, dichiarando che l’amore «è una fregatura».

Lo sguardo di Andrea è quello di un ragazzo ferito, arrabbiato e deluso, è un gran provocatore con tutti, specialmente con chi ha autorità; allo stesso tempo è schietto, sincero e analizza la realtà che vive in modo da far trasparire ciò che i suoi occhi hanno visto, ciò che ha imparato dal mondo adulto e costantemente richiama ad una autenticità nella relazione. Andrea vorrebbe maggiore coerenza da parte dei suoi genitori, maggiore fermezza nelle decisioni, anche nella punizione, se è giusto che ci sia, deve essere sostenuta; non tollera “il genitore amico”, sente di non avere un limite e nonostante dichiari di voler fare «come gli pare» al tempo stesso richiama i genitori ad essere fermi nelle regole e nel farle rispettare.

Incontrare e danzare con Andrea richiede autenticità, rispetto delle sue ferite, ascolto senza pregiudizi su ciò che Andrea dovrebbe fare o come dovrebbe essere. Si tratta di poter osservare se stessi rispetto a ciò che si dice e assumere la coerenza rispetto alle proprie azioni. I ragazzi sono dei buoni osservatori. (Laura Boccanera, psicologa e psicoterapeuta di coppia e di famiglia).

 

 I vostri figli non sono figli vostri…

sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.

 

Kahlil Gibran