Burkina Faso: «Continuate a pregare per questa porzione di umanità!»

Paola Garbini Siani

«Di fronte all’efferatezza di questa mattanza che si perpetua ancora in questa porzione di umanità già fortemente provata da secoli di dittature, restiamo senza parole e sgomenti. Il mese scorso 500 persone. L’altra notte 600 persone. Sono avvenimenti così forti e così crudeli che non ci sappiamo calmare, non sappiamo trovare una spiegazione possibile. Ci arriva il conforto del Santo Padre per le vittime di questo Paese e di quest’Africa così bistrattata. Continuate a sostenerci, Chiesa di Roma, e a pregare per questa porzione di umanità!». È l’accorato appello di Paola Garbini Siani, missionaria laica della diocesi di Roma, che opera da anni in Burkina Faso prendendosi cura degli orfani e dei bisognosi, dopo le stragi dei giorni scorsi, ricordate anche da Papa Francesco all’Angelus di domenica primo settembre.

Padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma e giornalista missionario, riflette: «Purtroppo vi è un’algida classificazione per quanto riguarda le aree di conflitto a livello planetario: guerre di serie A e guerre di serie B. Un inganno istigato dal sistema massmediale mainstream per cui alcune aree del pianeta sono coperte dalla stampa internazionale, altre finiscono nel dimenticatoio». Emblematico è il caso del Burkina Faso, prosegue, «dove una nostra missionaria laica, Paola Garbini Siani, opera da diversi anni in questo tormentato paese dell’Africa Saheliana. Questa donna, fondatrice del Centre Wend Daabo – Ziniaré, ci ha inviato delle immagini strazianti dell’ennesimo massacro perpetrato in quella terra dimenticata da tutto e da tutti. D’altronde basta leggere i report di Human Rights Watch – una organizzazione statunitense che monitora le violazioni di diritti umani – per rendersi conto della gravità della situazione».

«Il Burkina Faso – riprende padre Albanese – si è imposto da anni come l’epicentro delle insorgenze delle milizie jihadiste nella regione africana del Sahel, innescando tentativi di repressione culminati nel doppio golpe militare del 2022 e l’insediamento della giunta militare guidata da Ibrahim Traoré. Purtroppo lo stesso ragionamento va esteso al Sudan dove la guerra civile contrappone, dall’aprile dello scorso anno, l’esercito, sotto il comando del generale Abdel Fattah al-Burhane, ai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Fsr) del suo ex vice, il generale Mohamed Hamdane Daglo. Il Sudan è sull’orlo della carestia e a pagare il prezzo più alto è la popolazione civile. Stime, citate dall’inviato statunitense per il Sudan, Tom Perriello, parlano di 150mila persone uccise. E cosa dire del settore nordorientale della Repubblica Democratica del Congo dove i massacri avvengono quasi quotidianamente? È bene ricordare che l’Africa è il continente con il maggior numero di conflitti a livello statale, ben 28, seguita dall’Asia con 17, dal Medio Oriente con 10, dall’Europa con 3 e dalle Americhe con 1 (la Colombia). Si tratta di un livello di belligeranza in crescita esponenziale se consideriamo che il numero dei conflitti in Africa è quasi raddoppiato rispetto a dieci anni fa e nell’ultimo triennio si sono avuti più di 330mila morti legati alla guerra. Tra questi conflitti, oltre alle aree di crisi già menzionate, è importante ricordare quello legato alle violenze di Boko Haram in Nigeria o quello che imperversa nel Nord del Mozambico».

«È evidente – è la conclusione – che molte di queste guerre sono legate allo sfruttamento delle commodity (materie prime) da parte di potentati stranieri più o meno occulti. Sarebbe pertanto auspicabile che nel Piano Mattei promosso dal nostro governo per aiutare l’Africa, l’informazione sulle reti pubbliche e private fosse posta come conditio si ne qua non per dare voce a chi non ha voce. Perché l’informazione è la prima forma di solidarietà».