La chiesa di Santa Maria dell’Orazione e della Morte, nata per seppellire i defunti abbandonati

Alla fine di via Giulia, tra l’arco Farnese e l’adiacente Palazzo Falconieri, si erge maestosa la chiesa di Santa Maria dell’Orazione e della Morte. La chiesa fu costruita nel 1575 e poi riedificata nel 1738 dall’architetto Ferdinando Fuga, che chiese come ricompensa per il suo lavoro il diritto di sepoltura nella chiesa per sé e la sua famiglia.

Nel XVI secolo, la sepoltura dei cadaveri abbandonati era lasciata all’iniziativa di persone caritatevoli, che provvedevano con mezzi propri o chiedendo le elemosine ai passanti. Nel 1538, un gruppo di persone animate da fede e carità cristiana, pensarono di istituire «in Roma una compagnia sotto il titolo della Morte, la quale per particolare instituto facesse quest’opera di misericordia» (dagli Statuti della Ven. Arciconfraternita della Morte ed Oratione). Nel 1552, Papa Giulio III approvò la Confraternita, concedendole numerose indulgenze, e volle che fosse aggiunto il titolo dell’“Orazione”, in aggiunta a quello della “Morte”, i confratelli, infatti, oltre a seppellire i cadaveri, si preoccupavano di offrire in suffragio alle anime preghiere e sante Messe, mentre ogni terza Domenica del mese veniva offerta l’Adorazione Eucaristica sotto forma di Quarant’ore: tutto il popolo di Dio veniva coinvolto dinanzi al Santissimo Sacramento; quest’appuntamento diventava importante per la crescita nella fede del popolo romano. Sotto il pontificato di Papa Paolo IV Carafa, con la bolla Divina providente clementia del 17 novembre 1560, il sodalizio venne eretto ad Arciconfraternita.

I membri dell’Arciconfraternita erano conosciuti come i “fratelli della morte”, essi avevano un grande zelo nel prodigarsi con grande carità nel recupero delle salme abbandonate, anche nei luoghi più lontani e malsani e in qualunque stagione, di giorno, di notte. Ci voleva tanta abnegazione e coraggio per trasportare sulle spalle, anche per diversi chilometri, un cadavere rimasto insepolto per vari giorni, soprattutto durante l’estate. Questa missione durò fino alla fine del XIX secolo, quando, in seguito all’unità d’Italia, furono le istituzioni pubbliche ad assumersi l’incarico della sepoltura dei defunti. Da allora l’Arciconfraternita finì per occuparsi solo del compito di suffragare le anime dei defunti. Ancora oggi, i membri dell’Arciconfraternita continuano in questa opera di misericordia spirituale, nella consapevolezza che la morte è semplicemente l’ingresso alla Vita eterna. Quest’opera risulta oggi tanto necessaria nella nostra società materialista, che vive con disagio la realtà della sofferenza e della morte.

Nella cripta sotto la chiesa, sorge il cimitero dell’Arciconfraternita, nel passato molto grande, oggi ridotto ad un solo ambiente adibito ad esposizione delle ossa. L’interno della chiesa si presenta a pianta ovale longitudinale, con l’asse maggiore perpendicolare alla facciata. Sull’ovale si aprono quattro cappelle laterali. La facciata della chiesa è rettilinea, si compone di due ordini sovrapposti. La porta principale è arricchita da festoni, teschi alati e un timpano curvilineo che racchiude un’edicola con una clessidra alata, è simbolo dell’incessante scorrere del tempo verso la morte, in un continuo cambiamento di stato. Nelle ali laterali sono presenti in basso le cassette per le elemosine, in particolare nella cassetta sulla sinistra, è raffigurato uno scheletro alato recante un cartiglio con il motto: “HODIE MIHI/ CRAS TIBI” (Oggi a me / domani a te). La sommità della facciata è incorniciata da vasi, dai quali escono delle fiamme vive, simbolo dell’olio della preghiera che mantiene viva la speranza della Vita eterna.

L’interno della chiesa è caratterizzato da un continuo alternarsi di campate concave e convesse, che guidano l’occhio dell’osservatore direttamente all’altare maggiore, dove la pala, dipinta da Ciro Ferri (1634 -1689), rappresenta uno splendido Gesù in croce. Il Crocifisso, ritto ed alto, si staglia su di un lontano paesaggio di pianura che, con intersezioni di alberi e basse colline, si perde nell’ombra dello sfondo. Il Corpo di Cristo risulta cinto entro un alone luminoso, che contrasta con le dense nuvole nere, che ben lasciano immaginare le tenebre che avvolsero il mondo, mentre il Redentore moriva in croce. Lo sguardo di Gesù è rivolto verso l’alto nell’attimo prima di reclinare il capo ed emettere l’ultimo respiro. Forte è il richiamo alla preghiera per gli agonizzanti per cui l’unico sostegno è l’abbandono fiducioso nelle mani del Padre.

La seconda cappella a destra è dedicata a san Michele Arcangelo, rappresentato nella pala d’altare mentre fende la sua spada contro il demonio incatenato a cui schiaccia la testa. Si tratta di una copia del 1750, che riproduce il noto quadro di Guido Reni, realizzato per la chiesa di Santa Maria della Concezione. San Michele è il protettore degli agonizzanti dagli assalti del demonio. Sull’altare è posto il tondo con l’effige miracolosa della Vergine e il Bambino, donata dal duca Cesare Glorieri, nel 1577, per ornare l’altare maggiore della primitiva chiesa. Sulla spalla della Madre di Dio, è impressa una stella, simbolo della Sua perpetua Verginità. Il bambino Gesù protende la destra al collo della Mamma, avvolgendola in uno sguardo dolcissimo, mentre nella mano sinistra stringe un cardellino, presagio della Sua futura morte in croce. La Vergine china teneramente la testa verso il Bimbo, ma gli occhi sono rivolti verso di noi per ricordarci che dopo la morte ci accoglierà l’Amore e si aprirà per noi la Vita Eterna.

a cura delle Missionarie della Divina Rivelazione

4 novembre 2020