La lettera ai romani per i 50 anni dal convegno ecclesiale “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella Diocesi di Roma”

Carissimi,
il 15 febbraio 1974 si tenne nella Basilica di San Giovanni in Laterano l’assemblea conclusiva del Convegno diocesano “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella Diocesi di Roma”. Un incontro che ebbe l’intento di promuovere l’ascolto e la riflessione comune per “attuare con sempre maggiore fedeltà il messaggio evangelico della carità fraterna che nasce e si alimenta dall’amore di Dio” secondo i voti contenuti nel messaggio che Paolo VI inviò al Cardinale Ugo Poletti allora Vicario Generale.

Trascorsi cinquant’anni, con le stesse motivazioni, si intende tornare a quell’evento per ricordarlo nella prospettiva storica ma anche per raccogliere nuovamente e riproporre, pur nelle mutate condizioni, quel richiamo alla nostra comune responsabilità nei confronti della città di Roma. Ovvero per comprendere insieme, alla luce del Vangelo, quali siano oggi le attese di carità e giustizia che animano la città di Roma e quali le strade per dare risposte a quelle attese. È un invito a riflettere, progettare e agire dentro la città, che si colloca nel percorso sinodale e nella prospettiva imminente del Giubileo. Ci aiutano in questo percorso anche i contributi che potranno scaturire dalla ricerca in corso sulla Chiesa, da parte del Censis, sui Credenti non presenti o da riflessioni come quelle del Prof. Andrea Riccardi nel testo La chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, Laterza (2021).

Lo facciamo per richiamare innanzitutto la responsabilità dei cristiani ma, come in quei giorni del 1974, rivolgendoci anche ai cittadini, alle associazioni e alle istituzioni che formano la comunità urbana di Roma, ponendoci, anzitutto, nuovamente in loro ascolto.
La consapevolezza di fondo è che piuttosto di una commemorazione, ci si presenti oggi l’occasione per guardare al presente e al futuro di Roma con il contributo di tutti. “Roma avrà un futuro, se condivideremo la visione di città fraterna, inclusiva, aperta al mondo” ci ha ricordato Papa Francesco, nel messaggio per le celebrazioni dei 150 anni di Roma Capitale.

Quel Convegno fu un avvenimento memorabile, degno ancora oggi di memoria per i frutti che generò nella Chiesa di Roma, per il segno che lasciò nella vita pubblica della città e per la vasta e persistente eco che diffuse nel Paese. Fu un evento a lungo preparato dal Cardinale Poletti e da Mons. Luigi Di Liegro, allora responsabile dell’Ufficio pastorale del Vicariato, che si sviluppò per quattro giornate articolandosi in cinque assemblee, una per ciascun settore diocesano, coinvolgendo migliaia di persone e raccogliendo più di 300 contributi scritti.

Naturalmente, torniamo a quell’avvenimento con le attese e le speranze del presente nella consapevolezza del tempo trascorso. La Roma degli anni ’70 era una città cresciuta rapidamente in popolazione ed estensione. Da poco più di un milione di abitanti dell’anteguerra, Roma si accingeva a toccare i 2.800.000 di residenti. Una città che attraeva immigrati dall’Italia centro meridionale e vedeva crescere intorno al grande nucleo storico quartieri ad alta intensità insediativa insieme ad una periferia dove aggregati di abitazioni illegali prive di servizi si moltiplicavano in un paesaggio agricolo ormai deteriorato da incuria e abbandono. L’abitazione appariva il problema più scottante: l’edilizia popolare non teneva il passo della domanda di alloggi; quasi 100.000 persone vivevano nelle baracche. La sanità pubblica, ancora di impianto mutualistico, forniva servizi carenti e diseguali. La scuola subiva la pressione dell’onda demografica: evidente era l’inadeguatezza degli edifici, più nascosta l’ampissima area di dispersione scolastica. Cominciavano ad emergere fenomeni nuovi come l’immigrazione di lavoratori provenienti da altri continenti, fenomeno tardivo rispetto alle città europee ma che avrebbe conosciuto una crescita accelerata.
In questa città, dove l’eredità del passato sembrava un peso ulteriore alla difficile trasformazione della sua giovanissima periferia, viveva una Chiesa chiamata all’attuazione del Concilio essendo insieme la Diocesi del Papa – con il suolo ruolo globale e la contiguità con la Santa Sede – e la Diocesi di una grande comunità urbana attraversata da una modernizzazione, in ritardo rispetto ad altri contesti e per questo più rapida e contraddittoria, e da una secolarizzazione ben più intensa di quanto allora apparisse.

Il Cardinale Poletti nelle conclusioni giudicò l’esito del Convegno come “superiore a ogni aspettativa per interesse e partecipazione”. I lavori avevano mostrato “una sensibilità collettiva e comunitaria a gravissimi problemi umani, sociali, cristiani”. Indicò l’evento come il “principio di un nuovo e più coraggioso cammino che la comunità cristiana di Roma intende intraprendere, sotto la guida del Papa suo Pastore, in novità di vita, in libertà di spirito, in esercizio di carità evangelica in tutti i suoi componenti.”
E in effetti, quel Convegno diede un contributo di consapevolezza di quello che stava accadendo nella Chiesa di Roma e che negli anni successivi conobbe esperienze importanti come la riorganizzazione pastorale e amministrativa della Diocesi con la costituzione apostolica Vicariae Potestatis in Urbe emanata da Paolo VI nel 1977.
Ma quelle giornate del febbraio 1974 furono importanti per l’intera città di Roma andando oltre le attese e le stesse intenzioni degli organizzatori. Fu rinominato il “Convegno sui mali di Roma” – e in questo modo è ancora ricordato dai più – con una lettura che, da un lato, lo ridusse al solo carattere di critica e di denuncia ma, d’altro canto, evidenziò l’impatto sulla dimensione pubblica e civile che effettivamente andò al di là della sua originaria matrice ecclesiale.

La Roma di oggi è molto cambiata. Le attese di carità e giustizia sono in parte le medesime e in parte nuove, ma tutte in attesa di risposta. È oggi una città che conta circa la stessa popolazione di cinquant’anni fa ma diversa è la sua composizione: l’età media supera i 46 anni diminuendo man mano che ci si allontana dal centro. Le famiglie monocomponente sono il 46%; nel centro storico sfiorano il 60%. L’incidenza della popolazione straniera, che arriva al 14%, è quasi il doppio della media nazionale.
Roma partecipa, seppur in forma relativamente attenuata, dell’inverno demografico italiano: popolazione stabile, invecchiamento, diradamento dei legami familiari. Vive invece in modo più accentuato i fenomeni migratori.

L’ultimo rapporto povertà della Caritas romana Le Città Parallele (2023), permette di dare uno sguardo aggiornato che va oltre i valori medi per cogliere le differenze e pesare le diseguaglianze sul piano dell’accessibilità ai servizi; della distribuzione della ricchezza; delle opportunità di cura e di assistenza. Disuguaglianze che finiscono per assumere tre dimensioni caratteristiche: territoriale, con i Municipi del centro che si differenziano dalle periferie; generazionale, con le classi più anziane che percepiscono quote di reddito maggiori; di nazionalità, con i cittadini stranieri che presentano redditi di molto inferiori.
Dentro questo quadro squilibrato sono presenti attese che diventano a volte vere e proprie “grida di dolore”. Prendiamo quattro ambiti centrali che rappresentano ora come nel 1974 essenziali “beni” della vita sui quali si fonda la dignità delle persone e l’effettività dei loro diritti di cittadinanza: lavoro, casa, salute, scuola.

Il lavoro. Roma si caratterizza per un’economia terziaria, privata e pubblica, più dinamica nei valori di quella nazionale. Come in altre grandi città, maggiore risulta il tasso di occupazione e i redditi medi sono più alti ma più alta anche è la percentuale dei lavori instabili e sottopagati. I redditi medi più alti sono appannaggio dei residenti tra i 60 e i 74 anni con un peso significativo, quindi, dei redditi da pensioni. All’opposto quelli più bassi sono destinati ai cittadini sotto i 30 anni con una più alta incidenza del lavoro precario e a bassa paga.

La casa. Nonostante la stabilità del numero degli abitanti e la sottoutilizzazione del patrimonio residenziale, permane un grave problema abitativo. Sono quasi 30.000 i nuclei familiari che hanno richiesto al Comune un contributo per pagare l’affitto; i provvedimenti di sfratto sono triplicati arrivando ad essere oltre 6 mila all’anno; 14 mila famiglie attendono un alloggio popolare e l’attenderanno mediamente per 10 anni, mentre 1.000 famiglie, in emergenza abitativa, sono ospitate a spese del Comune. Sono 4.000 le famiglie in alloggi occupati senza titolo. E ci sono quelli senza alcuna abitazione: sono 23.420 “senza tetto e senza fissa dimora” censiti da Istat nell’area metropolitana di Roma, la maggior parte nella Capitale. E sono circa 70.000 gli studenti universitari fuori sede della Capitale, costretti a pagare dai 500 euro al mese in su, per una camera, oltre ai costi delle bollette e a quelli, inevitabili, per mangiare e muoversi.

La salute. Anche questo ambito assume i caratteri di una diseguaglianza che produce una vera e propria “povertà sanitaria”: lo stato di salute risulta dipendere dal livello di istruzione e di reddito e nonché dall’area di residenza. È una disparità che parte dalla prevenzione e dalla diagnosi tempestiva e trova nelle lunghe liste di attesa per l’accesso alle cure sanitarie pubbliche una palese evidenza. Una situazione che senza interventi strutturali rischia di aggravarsi a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle malattie croniche così come della crescita impressionante del disagio mentale anche nella popolazione più giovane.

La scuola. La demografia consegna a Roma un numero ridotto di bambini e di giovani rispetto al passato. Dovrebbe essere più facile averne cura. E invece emerge una povertà educativa che in ambito scolastico si traduce in enormi differenze nei livelli di apprendimento in ragione della tipologia di istituto, delle condizioni famiglia, dei quartieri di residenza. Sono condizioni di disordine educativo che vanno oltre la dimensione scolastica e si traducono da un lato in forme di isolamento individuale e di disagio psichico e dall’altro in comportamenti giovanili orientati al vandalismo collettivo se non addirittura alla violenza di gruppo.

Scriveva Mons. Luigi Di Liegro “I poveri non sono solo soprattutto un problema da risolvere. Essi bussano alla nostra porta affinché ci convertiamo. Anzi, i poveri ci convocano per offrirci l’occasione di scoprire ciò che la civiltà tecnologica non potrà mai darci, per ricordarci cioè che noi siamo persone non riducibili ad un progetto economico, che abbiamo bisogno degli altri”.

Ricordare il Convegno e riproporne l’approccio è un’occasione per la comunità cristiana di riconsiderare e rinnovare la propria vocazione alla carità. Ma è anche un’offerta di collaborazione e un richiamo alla corresponsabilità rivolto all’insieme della comunità urbana.
Andare oltre il ricordo significa oggi coltivare la speranza, impegnarsi tutti per far diventare Roma “città della speranza”, come Papa Francesco ci invitava a prepararla a diventare, il 31 dicembre scorso nella preghiera del Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso.

Roma condivide con tutte le grandi città un ruolo ambivalente. Esse sono i luoghi dove si concentrano le risorse finanziarie, le competenze, le imprese, il lavoro. Ma sono anche gli spazi dove sono più forti diseguaglianze e marginalità, tensioni e conflitti. Accanto ad essi ci sono però nella città – ed ecco i motivi di speranza – tanti segni di energia positiva, di solidarietà, di ben operare nelle dimensioni pubbliche, private e sociali, dalle quali poter partire per riconciliare, per ricostruire e per riparare, laddove vi sono ferite aperte e contraddizioni e disuguaglianze non più accettabili.

Non è un problema per poveri. È un problema per tutti. Tutta la città perde il suo carattere di comunità, di spazio civilizzato e condiviso, di trama di relazioni tra le persone e le generazioni.
Il Convegno del 1974 partendo dalle attese dei poveri cercò di intravedere il traguardo di una città ordinata dalla giustizia; capace di accogliere chi corre e chi cade, gli spiriti forti e le persone fragili; i nativi e gli stranieri, i giovani e i loro desideri insieme ai vecchi e ai loro ricordi. La città di tutti.

Partendo da questi ricordi e da queste intenzioni, il 19 febbraio il Vicariato promuove un incontro di lancio che sarà l’occasione per proporre una lettura storica degli eventi di cinquant’anni fa ma anche per avviare una riflessione sulla realtà romana odierna. Sarà innanzitutto un invito al discernimento comune che si svilupperà per tutto il 2024 attraverso quattro incontri tematici: le problematiche scolastiche saranno al centro dell’incontro di marzo all’Istituto Amaldi; di sanità si parlerà ad aprile al policlinico Tor Vergata; a maggio, in una parrocchia di Primavalle, si discuterà delle problematiche abitative; mentre le tematiche relative al lavoro saranno al centro dell’incontro di giugno a “La nuova arca” in via Castel di Leva. Il percorso si concluderà con un appuntamento che intende raccogliere contributi di analisi e di idee e per definire nuovi progetti ed iniziative, e si terrà nella Basilica di San Giovanni in Laterano a settembre.

Angelo De Donatis
Vicario Generale di Sua Santità
per la Diocesi di Roma

La lettera del cardinale vicario