«Non esitare a visitare un malato, perché per questo sarai amato». Parte da questo versetto del Libro del Siracide la lettera che il vescovo Paolo Ricciardi, delegato per la Pastorale sanitaria nella diocesi di Roma, ha scritto ai sacerdoti sulla cura pastorale delle persone malate. Un testo che, ammette il presule, «era già pronto da tempo, almeno da Natale scorso», ma che poi ha ripreso in mano e aggiornato a seguito della pandemia.
«Come sappiamo è accaduto l’imprevedibile – ricorda –. Il coronavirus che, da febbraio 2020, ha deciso di farsi un viaggio per il mondo, scegliendo come seconda tappa dopo la Cina, il nostro Paese, ha messo tutti in grande difficoltà, compresi noi sacerdoti. Improvvisamente abbiamo fatto tutti quanti i conti con la malattia o con la paura di essere contagiati. Abbiamo ascoltato storie, visto immagini, sentito persone che ci hanno fatto riflettere, commuovere, piangere. Abbiamo appreso con tristezza della morte di tanti confratelli, alcuni dei quali hanno veramente dato la vita per gli altri».
Ma gli ammalati e i sofferenti ci sono sempre stati. «Questo periodo “straordinario” della storia – si legge infatti nella lettera – ci ha ricordato che, nell’ “ordinario” della vita, la malattia è sempre dietro l’angolo e che non c’è comunità in cui non ci siano persone malate o isolate, che meritano tutta la nostra attenzione sempre, non solo nei momenti di difficoltà per tutti». Ecco, allora, il consiglio ai sacerdoti di «conoscere bene il gregge» che viene loro affidato, avendo cura in particolare delle pecore più deboli. «Nell’arco del mio sacerdozio – racconta il vescovo nella missiva – ho fatto tesoro della testimonianza di tanti confratelli che si sono dedicati ai malati con fedeltà e tenerezza, ricordandomi che chi è padre ha un’attenzione privilegiata per i figli che sono nella debolezza fisica e spirituale».
«Andarli a trovare, in casa e, se possibile, in ospedale – elenca monsignor Ricciardi –, informarti sul loro stato di salute, telefonare per far sentire la tua vicinanza, è un aspetto primario della vita pastorale di un sacerdote, in particolare di un parroco. Oltre ad essere un’opera di misericordia, è un “restituire” un dono a chi, mentre soffre, si offre. Si sa, la vita parrocchiale ci prende in tanti aspetti quotidiani ed il tempo è sempre poco, e a volte si rischia, in particolare con i malati, di delegare questo servizio ad altri, dimenticando poi le nostre responsabilità…».
Quindi qualche consiglio pratico. «È bene riservarsi almeno una mattina a settimana per la visita dei malati. D’accordo con i ministri straordinari della comunione, si passerà nelle case con loro, o al posto loro. Nelle parrocchie dove i malati sono molti, è bene dividersi le zone a seconda del numero dei sacerdoti, fermo restando che il parroco cercherà di passare periodicamente da tutti. La visita non è importante solo per i malati, ma anche (a volte soprattutto) per i familiari, per chi si prende cura di un marito, di una moglie, dei genitori, di un figlio». Importante poi che il pensiero per i malati sia vivo nella comunità parrocchiale, ricordandoli sempre durante le celebrazioni e riservando un giorno al mese in cui celebrare, a livello parrocchiale, una giornata mensile del malato.
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24 luglio 2020