«La santità implica un cammino autentico di conversione, una trasformazione di vita sempre più profonda e radicale… quindi in un certo senso è un cammino scomodo, quello della santità. Questo non ci deve spaventare: chi ci vuole tirare fuori dalle nostre comodità sterili e spesso pericolose è sempre la forza dell’amore di Dio». Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha iniziato così la sua catechesi dedicata sulla Gaudete et exsultate di Papa Francesco, ieri (lunedì 12 novembre 2018) sera nella basilica di San Giovanni in Laterano. Era il secondo appuntamento del ciclo che la diocesi di Roma dedica in questo anno pastorale all’esortazione apostolica sulla “chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”, come recita il sottotitolo del documento pontificio.
Il porporato ha richiamato l’attenzione su due «nemici» della santità, diffusi «dentro di noi e nelle comunità in cui siamo inseriti»: lo gnosticismo e il pelagianesimo, che consistono «nel puntare tutto sull’intelligenza propria e sulla volontà propria – ha sottolineato il cardinale De Donatis –, senza cercare l’apertura umile alla grazia di Dio, l’arrendersi fiducioso alle mani del Signore».
Come di consueto, al centro della serata c’è stata anche la figura di un santo o di un beato. In questo caso, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, su cui si è soffermato monsignor Marco Frisina, rettore della basilica di Santa Cecilia a Trastevere. Sant’Alfonso è il santo dell’umiltà, «non è un atteggiamento, né un atto di volontà, né un bellissimo concetto. È la gioia di essere quello che si è e di farsi tutto a tutti, come dice San Paolo, con semplicità».
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