Linee guida per il Cammino Sinodale – Fase Sapienziale 2023-2024

Foto DiocesiDiRoma/Gennari

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Di seguito l’intervento del cardinale vicario Angelo De Donatis

“Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.” (Lc 24,31)

Carissimi,
sento la necessità di ripercorrere con voi in modo breve alcuni dei passaggi vissuti come Chiesa di Roma negli ultimi anni, per poter meglio collocarci nel presente e per aiutarci a dare l’avvio all’anno pastorale che ci aspetta.

Fare questo esercizio di memoria, far riaffiorare al cuore il ricordo di ciò che si è vissuto, non è dettato da un intento apologetico rispetto alle scelte compiute o dal bisogno di evidenziare una linea coerente e consequenziale. Al contrario, ciò che conta è il cammino effettivamente vissuto, con tutto il suo bagaglio di passaggi imprevisti, di ripensamenti ed arretramenti, di esperienze di crescita comunitaria ma anche di situazioni di disorientamento, di frattura e di conflitto. È comunque il cammino del Popolo di Dio che è in Roma, e questo cammino è un luogo teologico, direi, in cui si rivelano, come nella storia di Israele e della prima Chiesa, la fedeltà di Dio e insieme anche le miserie degli uomini.

In accordo con quello che ci ha sempre detto Papa Francesco, abbiamo superato fin dall’inizio la logica dei piani pastorali annuali e dei convegni. È stata una decisione coraggiosa. Bisognava mettere in evidenza che al centro della missione della Chiesa c’è lo Spirito Santo e non la capacità umana di saper pianificare. È lo Spirito Santo la sorgente e il segreto motore dell’evangelizzazione, non la Chiesa, non noi. Sembra un’affermazione evidente, o addirittura scontata, ma non lo è affatto. Cambia tutto, se la prendiamo sul serio: implica uno sguardo radicalmente diverso sulla nostra vita pastorale e sulla realtà intera, e soprattutto esige e chiede alle nostre comunità uno stile e dei ritmi di cammino molto dlversi da quelli a cui siamo abituati, più centrati sulle tappe di maturazione a cui il Signore ci vuole portare e meno preoccupati delle iniziative da realizzare. Ciò che è fondamentale è sperimentare la sinodalità del Popolo di Dio, che cammina insieme aprendosi a tutte quelle situazioni, volti, voci che contengono un’ispirazione dello Spirito.

Provo a riassumere quanto abbiamo vissuto.

L’obiettivo del primo anno (2017-2018) è stato quello di verificare le malattie spirituali delle nostre comunità parrocchiali (grazie al secondo capitolo di Evangelii Gaudium, nella parte dedicata a “le tentazioni degli operatori pastorali”); la verifica è stata realizzata dal 70% delle parrocchie e si è conclusa con l’assemblea del 14 maggio 2018 nella Basilica di San Giovanni in Laterano. In quell’occasione abbiamo presentato a Papa Francesco la sintesi delle riflessioni emerse (l’autoreferenzialità, il pessimismo sterile e la guerra tra noi, sono state le malattie più segnalate) e il Papa ci invitò ad adottare un paradigma biblico, quello dell’Esodo, per il percorso dei sette anni, spiegandoci il senso e la bellezza di farsi illuminare da un paradigma biblico per il cammino.

L’anno successivo le comunità parrocchiali hanno fatto memoria di come il Signore le ha guidate e fatte maturare nel tempo, attraverso i diversi passaggi della stagione postconciliare e lo hanno raccontato in assemblee parrocchiali e di Prefettura.

Vi ricordate? Sull’esempio del Deuteronomio (Ricordati di tutto il cammino…) abbiamo cercato non di scrivere una “cronaca” storica, ma di sviluppare insieme, comunitariamente, uno sguardo contemplativo sull’opera che Dio ha compiuto nella Chiesa di Roma. Era un obiettivo ambizioso, se volete, ma alla portata delle nostre comunità, che venivano così aiutate non a raccontare fatti ma a discernere l’opera di Dio, a constatare che l’aiuto del Signore non era venuto meno nel tempo e che aveva senso continuare a confidare nella sua guida, a riconoscere nella fede le mille situazioni e anche le persone attraverso le quali Egli aveva parlato. In tantissime comunità, lo ricordo anche personalmente, abbiamo vissuto momenti intensi e ricchi. Inoltre nella Quaresima del 2019 abbiamo vissuto un forte momento di riconciliazione comunitaria, una richiesta reciproca di perdono, non solo tra le persone ma anche tra gruppi e associazioni ecclesiali, in modo tale che il riconoscimento reciproco della comune debolezza aprisse uno spazio maggiore all’azione della Grazia.

Il 9 maggio 2019 Papa Francesco ha lanciato nella Basilica di San Giovanni in Laterano il cammino dei due anni successivi (2019-2021): abitare con il cuore la città, mettendosi in ascolto del grido dei giovani, delle famiglie, delle persone povere e fragili, un ascolto contemplativo che permettesse di cogliere la presenza di Dio nella città e nella vita delle persone. Il riferimento nel paradigma dell’Esodo era al terzo capitolo, quando Dio dice a Mosè nel roveto ardente di aver ascoltato il grido degli Ebrei e di voler inviare lui a liberare il Popolo.

Richiamandoci il discorso di Firenze 2015, Papa Francesco ci raccomandò lo stile di questo ascolto e dialogo con tutti: umiltà, disinteresse e testimonianza della beatitudine dell’incontro con Gesù. In quell’occasione il Papa ci disse che la conversione missionaria non punta a creare una Diocesi più efficiente, ma a renderci più capaci di ascoltare lo Spirito, e questo significa accettare di essere “squilibrati” in vista di una nuova armonia realizzata dallo Spirito. Nella Veglia di Pentecoste 2019 a Piazza San Pietro il Papa affidò a tutti i cristiani di Roma il “mandato dell’ascolto”.

Nel frattempo, sulla scorta delle parole del Papa, invitammo tutte le parrocchie a costituire un’équipe pastorale formata da dodici “squilibrati” per animare questa tappa e per raccogliere le indicazioni pastorali che da questo ascolto sarebbero scaturite: queste équipe hanno ricevuto da lui uno specifico mandato il 9 novembre dello stesso anno nella Basilica di San Giovanni in Laterano. La scelta dell’équipe, lo ricorderete, puntava a coinvolgere nei processi di discernimento persone diverse dalle “solite”, persone più “santamente intraprendenti”, in modo da integrarle in un secondo momento negli abituali organismi di partecipazione, nei consigli pastorali.

Di per sé questa tappa non doveva durare due anni; ma il Covid 19 ci ha costretto tutti ad arrestarci e a riflettere, riscoprendo una prossimità con gli abitanti della nostra città fatta di ascolto, di cura delle relazioni, di solidarietà concreta. Non c’era altro modo di attraversare la dura esperienza della pandemia se non continuando a stare vicini gli uni agli altri, a custodirci, ad aspettarci a vicenda evitando che qualcuno si isolasse o rimanesse indietro.

Il dilagare della malattia, la proibizione di uscire e le relazioni vissute solo attraverso la rete online, la Pasqua celebrata nella case, ci hanno fatto sperimentare una situazione misteriosamente simile a quella vissuta dal Popolo in Egitto: le dieci piaghe, la notte di Pasqua in casa per evitare l’angelo distruttore, e finalmente la partenza verso il passaggio del Mar Rosso, in vista di un nuovo cammino e di una rigenerazione (l’attraversamento del Mar Rosso allude alla rinascita battesimale…). Avevamo la consapevolezza credente di un tempo totalmente affidato al Signore, in cui a noi era chiesto di rimanere nell’unica realtà essenziale, che è l’appartenenza a Lui e alla comunità umana. Privati dei mezzi abituali con cui si esprime e si nutre la nostra fede, privati persino della celebrazione dei sacramenti, ci siamo aggrappati al Signore e da Lui siamo stati guidati a farci vicini e solidali a tutti gli uomini, condividendone la vita, la percezione di incertezza, la fatica di aspettare ogni giorno qualche buona notizia che alimentasse la speranza. Questa situazione così inedita, che ci ha messo “tutti nella stessa barca”, ci ha insegnato anche l’atteggiamento profondo con cui vivere il dialogo con tutti e l’ascolto: l’amore di amicizia. L’abbiamo sottolineato nelle linee pastorali 2020-21: è necessario approcciare gli altri senza la pretesa di essere superiori a nessuno, in uno stato di povertà del cuore che permetta di essere presenti tra gli altri senza arroganza, di annunciare il Vangelo senza esibirlo come un proprio merito, di aiutare i poveri senza umiliarli. L’amore di amicizia disattiva il meccanismo perverso dell’affermazione di sé e del proprio gruppo favorendo un dialogo e un confronto senza “inquinamenti”, condizione necessaria per l’evangelizzazione; è il frutto più bello, a livello delle relazioni con gli altri, di un cammino personale e comunitario di conversione umile al primato dello Spirito, che opera tutto in tutti e attraverso di tutti.

Nel giugno 2021, lo ricorderete, avevamo immaginato, durante una “due giorni” con il Consiglio dei Prefetti e i Direttori degli Uffici Pastorali del Vicariato, di puntare per l’anno pastorale 2021-22 sull’esperienza del kerigma (in generale, il terzo capitolo di Evangelii Gaudium) per ripartire tutti insieme dal cuore dell’esperienza di fede, l’incontro con il Risorto, incontro da cui inizia ogni rinascita battesimale personale e comunitaria. Il cammino formativo delle équipe pastorali sul libro del Papa “Senza di me non potete far nulla”, dedicato al tema della missione della Chiesa, aveva posto le premesse per un linguaggio comune sull’evangelizzazione, individuandone gli elementi fondamentali, le dimensioni costitutive.

Ma ad un certo punto, durante l’estate, in Papa Francesco matura la convinzione che fosse preferibile, per la Chiesa di Roma, allinearsi sul cammino sinodale della Chiesa Universale e della Chiesa italiana, anche se questo significava concretamente ritornare sull’esperienza dell’ascolto reciproco e dell’ascolto di tutti per riconoscere la voce dello Spirito. A molti sembrò di ritornare indietro. Eppure, alla luce dei due anni trascorsi, dobbiamo riconoscere che abbiamo vissuto altri passaggi importanti e decisivi per il nostro cammino ecclesiale.

Prima di tutto il Papa ci ha regalato il discorso più bello sul senso del cammino sinodale, quello del 18 settembre 2021, rivolto proprio a noi, fedeli di Roma. L’inseparabilità dell’ascolto della Scrittura e dell’ascolto di tutti, in vista di un’apertura del cuore capace di intercettare le ispirazioni dello Spirito, sono dimensioni da coltivare permanentemente. Ci ha fatto molto bene vivere l’esperienza dei gruppi di ascolto tra di noi attraverso il metodo della conversazione spirituale, a partire dai brani delle Beatitudini: ci ha spinto a vivere incontri comunitari non centrati sul dibattito tra posizioni diverse, ma sull’ascolto reciproco e sul discernimento comunitario della voce dello Spirito. Così il cammino sinodale non è stato né un processo contro qualcuno né tantomeno la semplice sagra delle lamentele, bensì un cammino in cui la ferita dell’altro è la mia ferita, un aspetto critico e debole della comunità è il mio punto debole, etc. Abbiamo vissuto un ascolto di Popolo di Dio, effettuato dal Popolo di Dio, battezzati e pastori insieme. È stato un bel modo di “celebrare” i sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano Il (1962-2022), di vivere nella concretezza l’ecclesiologia conciliare di comunione.

Il frutto di questo ascolto è stato fissato poi nella sintesi diocesana che abbiamo restituito a tutti a fine giugno dell’anno scorso, alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo. Una sintesi in cui sono confluite le voci, le vite, le parole di tante persone, di tante situazioni.

Nell’economia del cammino sinodale, per come è stata poi declinata dalla CEI, la fase narrativa della durata di due anni prevedeva la partenza di “cantieri pastorali”, emersi dal confronto delle sintesi di tutte le diocesi italiane. Ispirati dal brano biblico della visita di Gesù nella casa di Marta e Maria a Betania, i quattro cantieri rappresentano i “luoghi” in cui le comunità cristiane continuano il loro ascolto reciproco, la loro riflessione sui nodi fondamentali della vita ecclesiale (la corresponsabilità dei laici, la formazione spirituale, i sacerdoti…), ma anche il dialogo e l’ascolto di tutti. Vero è il fatto che per noi è stato un anno atipico, o meglio, il nostro cantiere principale ad un certo punto è diventata la Costituzione In Ecclesiarum Communione, con la conseguente riforma del Vicariato, e gli organi sinodali di partecipazione che siamo stati invitati a creare a tutti i livelli della Chiesa Diocesana.

Quando abbiamo iniziato il cammino, nel 2017, l’intenzione che ci ha esplicitamente guidato era “far funzionare” Evangelii Gaudium come testo di riferimento per l’attivazione di tutto il processo ecclesiale, come richiesto da Papa Francesco nell’Esortazione stessa (EG 25). Di fatto abbiamo utilizzato i primi due capitoli dell’Esortazione, insieme all’ultimo, dedicato alla spiritualità degli evangelizzatori. A dieci anni dall’uscita di Evangelii Gaudium, nel novembre 2023, ci piacerebbe fare una verifica della nostra “receptio”, non soltanto per confermare la bontà e la fecondità dell’itinerario compiuto, ma soprattutto per rilanciarla come bussola per la prosecuzione del nostro cammino ecclesiale.

 

FASE SAPIENZIALE

Dopo la fase narrativa, con il nuovo anno pastorale il Cammino Sinodale entra nella sua fase sapienziale. Che significa?

Abbiamo vissuto quattro anni molto intensi, dedicati all’ascolto della Parola di Dio unito all’ascolto tra di noi e all’ascolto di tutti. Il desiderio di allinearci al Cammino Sinodale della Chiesa universale e della Chiesa italiana ci ha spinto a rimanere per un tempo prolungato nella dinamica spirituale dell’ascolto contemplativo, quasi un tempo di ricerca e di attesa, in modo da creare quello spazio aperto, quell’allargamento della mente e del cuore, necessario perché lo Spirito Santo possa parlare. Le narrazioni di vita, ascoltate soprattutto dalle labbra di chi si sente lontano dalla Chiesa e dalle labbra dei poveri, sono state fondamentali per realizzare in noi questo “allargamento”. Ci siamo resi conto che non aveva senso continuare a girare intorno alle solite dinamiche e ai soliti problemi ecclesiali, mentre insieme con i nostri contemporanei stiamo vivendo un cambiamento d’epoca. Vi invito a meditare la memoria del cammino fin qui compiuto perché aiuta a ricollocarci nel pellegrinaggio che ci porta fino al Giubileo 2025.

Inaugurare quest’anno la fase sapienziale significa decidere con coraggio di affrontare la sfida del discernimento comunitario della voce dello Spirito.

È un passaggio importante. Potremmo infatti pensare che, alla luce degli ascolti fatti, non ci rimanga che tirare le fila e prendere conseguentemente delle decisioni, magari a “maggioranza qualificata”. Sarebbe un errore! Dobbiamo evitare una certa fretta decisionistica, e rimanere nel solco della vita spirituale, altrimenti rischiamo di fare un semplice “maquillage” ecclesiale, sulla base soltanto delle informazioni ed impressioni raccolte. In questa fase, come e forse più della precedente, è indispensabile rafforzare la vita nello Spirito, la preghiera individuale e comunitaria, e solo lentamente riusciremo a capire dove ci sta portando il Signore.

Se poi pensate alla sintesi diocesana che abbiamo inviato alla CEI, buona parte dei contenuti sono sottolineature di criticità, difficoltà, aspetti problematici, cioè un insieme di elementi che spingono ad un certo rinnovamento ecclesiale. Attenzione però, perché non basta questo per creare le condizioni per un buon discernimento spirituale! Dibattere sul “negativo”, discutere tra di noi a partire dai nodi irrisolti e dai passi falsi compiuti, prendere di conseguenza le decisioni che sembrano più necessarie per evitare il fallimento e recuperare “terreno” con le persone… mi sembra una modalità di discernimento troppo “umano” o, per dirla con San Paolo, molto “carnale”.

Per spiegare cosa sia il discernimento a cui siamo chiamati, vi invito a contemplare un’icona evangelica che tutti conosciamo e che abbiamo già incontrato nel nostro cammino pastorale di questi anni: i discepoli di Emmaus.

Sottolineerò tre passaggi:

1) Cleopa e il suo compagno (o si tratta di una donna? Che i due discepoli siano in realtà una coppia di sposi è un’ipotesi esegetica realistica e… interessante!) stanno andando via da Gerusalemme e discutono animatamente tra di loro di tutto ciò che era accaduto. Sono in grado di raccontare ciò che è successo, per filo e per segno, anche allo straniero che sta camminando con loro e che sembra non sappia nulla degli eventi recenti. Sanno mettere tutto in fila, ma solo per sottolineare la loro delusione, la loro sofferenza: “noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele!”, e invece è finito sulla croce. Raccontano del fallimento del Maestro, della sua morte, del sepolcro vuoto e delle donne visionarie che dicono di aver ricevuto un annuncio da parte degli angeli.

I due hanno fatto discernimento e la loro conclusione è molto chiara: il fallimento di Gesù è il nostro fallimento; non c’è niente da fare, non c’è futuro, e per quanto doloroso, questa è la realtà da accettare. Invece le donne, che pure lo hanno visto morire sulla croce, non si sono rassegnate e quindi è iniziata la follia, il delirio di chi ritiene di averlo visto vivo. Ormai la comunità dei discepoli è impazzita e divisa: meglio allora allontanarsi da questo gruppo di discepoli resi ciechi e pazzi dal loro dolore, meglio ritornare a casa e alla vita di prima.

Ecco, questo è il frutto del discernimento dei due discepoli. Un discernimento senza Gesù, senza lo Spirito, all’apparenza pieno di realismo, di intelligenza e di umano buon senso. Un discernimento nato dall’ascolto reciproco di due discepoli che hanno conosciuto il Signore ma che non ricordano più il cammino fatto insieme al Maestro verso Gerusalemme. In quel viaggio, raccontato dall’evangelista Luca a partire dal capitolo 9, Gesù annuncia per tre volte che a Gerusalemme lo attende la passione, l’ingresso nel regno promesso dal Padre attraverso la croce. Egli non si rivolge quasi più alle folle per dedicarsi all’insegnamento impartito ai discepoli (quelli rimasti) e che, convinti che Gesù non parli “sul serio”, lo seguono nonostante tutto, nonostante gli annunci profetici della sua morte. I due discepoli di Emmaus non hanno custodito nella memoria nulla di questa istruzione prepasquale sul Messia sofferente. Eppure sono stati con il Signore, hanno camminato con Lui e lo hanno ascoltato, ma senza capire il senso profondo della rivelazione contenuta nelle parole pronunciate durante il viaggio verso Gerusalemme.

Ma i loro occhi erano impediti di vederlo…”  Non lo riconoscono, non distinguono nel forestiero la presenza del Risorto. Per poter vedere hanno bisogno di occhi nuovi (solo chi rinasce dall’alto può vedere il regno di Dio, dice Gesù a Nicodemo) ma questi occhi nuovi, capaci di cogliere la presenza di Dio nella storia umana, ce li consegna solo la Pasqua di Gesù, lo Spirito del Risorto.

Comprendiamo allora che c’è una grande differenza tra il ragionamento umano, dove al massimo regna la logica e il “buon senso”, e la rivelazione della volontà di Dio che lo Spirito ci vuole donare. Forse non ci prestiamo molta attenzione, ma questa è davvero la domanda da farsi: cosa ci guida, quando nelle nostre comunità ci ritroviamo insieme per riflettere e decidere? Perché talvolta la volontà di Dio va in una direzione opposta al realismo troppo umano! Lo Spirito ribalta i tavoli, ci ha detto Papa Francesco, e crea scompiglio per creare una nuova armonia. Lo Spirito dona quella fede soprannaturale che ci fa credere che Gesù è risorto, che è presente in mezzo a noi e che è il Signore della storia umana, al di là di ogni evento che fa piombare nell’avvilimento o nella disperazione.

Per questo il discernimento comunitario non è una discussione di gruppo, ma si realizza in un contesto di preghiera, dove ci mettiamo ai piedi del Signore, in ascolto della Parola di Dio, nella ricerca della sua volontà e non della nostra. Ognuno di noi deve accettare la possibilità che anche i suoi occhi siano incapaci di vedere e che la strada indicata dal Signore sia un’altra rispetto a quella che ha ipotizzato. Ho bisogno di ascoltare gli altri e di scrutare la Scrittura per permettere al Signore di comunicarsi il suo punto di vista. È la rinuncia alla volontà propria perché possa convertirmi alla volontà di Dio e non sentirmi dire dal Signore “Stolto e lento di cuore a credere alla Parola…”.

2) Un secondo aspetto: se leggiamo il racconto evangelico “dalla parte” di Gesù Risorto, comprendiamo meglio quali siano le intenzioni del Signore. Egli non blocca la fuga dei discepoli, ma va loro incontro nelle vesti di un viandante sconosciuto, cammina con loro, si mette in ascolto delle loro delusioni, prova ad interagire nella discussione riaprendo il loro discernimento e proponendo una prospettiva “altra”, diversa