6 Maggio 2025

Alla Chiesa degli Artisti “La Parousia 2017”

Una pioggia di stelle luminose per celebrare la nascita di Gesù Bambino. È “La Parousia 2017” realizzata dall’artista romana Maria Camilla Pallavicini e inaugurata ieri sera, giovedì 21 dicembre, nella chiesa di Santa Maria in Montesanto a piazza del Popolo che da oltre settant’anni è la Chiesa degli Artisti. Fede, amore e bellezza sono le tre parole che hanno caratterizzato il settimo appuntamento del ciclo “Arte e Liturgia” voluto da don Walter Insero, rettore della Chiesa degli Artisti, in occasione delle festività natalizie e pasquali. L’installazione, in mostra fino al 21 gennaio, è stata allestita nella cappella a destra dell’altare, che ospita un quadro raffigurante la Natività, ed è stata presentata da Lea Mattarella, docente di Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti.

Nella chiesa, lasciata completamente al buio, accompagnate da un sottofondo musicale, sono state lentamente illuminate quindici stelle in legno di diverse dimensioni  vivacemente dipinte e pendenti dal soffitto della cappella. Le tre più grandi rappresentano la Santissima Trinità, sette di medie dimensioni simboleggiano gli arcangeli e le ultime cinque, piccoline, gli uomini di Dio.

Attraverso l’opera, realizzata appositamente per l’occasione su invito di don Walter, l’artista ha voluto raccontare la sua storia ed esprimere il suo percorso interiore, la sua fede. «È solo un minuscolo tentativo per esprimere al Signore tutta la mia fiducia e la mia gratitudine – ha affermato Maria Camilla Pallavicini -. Nella mia vita ho potuto sperimentare più volte la Sua presenza e la Sua protezione. Ogni stella rappresenta la storia della genealogia e ogni arcangelo ha un suo colore ma sarà il visitatore a dare la sua interpretazione e a scegliere la stella da seguire».

“Parousia” è un termine di origine greca utilizzato nel Nuovo Testamento e indica la “presenza”, come ha spiegato don Walter, «la venuta di Cristo, il suo ritorno alla fine dei tempi. Contemplando l’opera si può vedere che la parousia è il completamento della venuta a Betlemme. Come i magi e i pastori anche noi questa stasera siamo invitati a seguire le stelle». Obiettivo dell’installazione è quello di accompagnare il visitatore a penetrare nel mistero della nascita di Cristo che si celebra a Natale aiutato dal linguaggio dell’arte contemporanea. Citando Papa Benedetto XVI, don Walter ha ricordato che «l’arte è una porta verso l’infinito che ci permette di elevarci al di sopra di ciò che vediamo e tocchiamo e ci fa contemplare il mistero».

Maria Camilla Pallavicini ha esposto in Italia e all’estero e da oltre 20 anni è molto impegnata nel mondo culturale come presidente dell’associazione Athenaeum N.A.E che organizza studi e ricerche sui principi universali dell’etica applicati ai diversi ambiti della vita umana.

22 dicembre 2017

A Porta Asinaria rivive la Betlemme di 2mila anni fa

Un tuffo nel passato di duemila anni. Una Betlemme che ha come sfondo Porta Asinaria. La nascita di Gesù viene riproposta dalla comunità parrocchiale di San Giulio, che ha allestito un presepe vivente a due passi da piazza di Porta San Giovanni. “Venite adoremus” è il titolo della rappresentazione, inaugurata questa mattina, lunedì 18 dicembre, dal vescovo Giuseppe Marciante, ausiliare per il settore Est, e dall’assessore alla Persona e alla Scuola di Roma Capitale Laura Baldassarre. Sono stati loro, dopo il taglio del nastro, a firmare per primi, all’ingresso, il registro dei visitatori. L’iniziativa punta a raccogliere offerte per ricostruire il tetto della chiesa parrocchiale, in via Francesco Maidalchini, a Monteverde. I lavori sono in corso da due anni e le Messe attualmente si svolgono nella tensostruttura montata in oratorio.

«Grazie alla comunità di San Giulio – ha affermato Baldassarre – riapriamo uno spazio poco conosciuto e possiamo ricordare che ogni nascita è sacra». Una nascita, quella di Gesù, che per ciascuno può essere «una rinascita dopo un’esperienza dolorosa», secondo monsignor Marciante. «È possibile ricostruire di nuovo dopo una catastrofe o la pace dopo una guerra. Questo è il messaggio del Natale: da un’esperienza di dolore può rinascere la vita. In questo caso – ha aggiunto -, anche la parrocchia di San Giulio, dopo una situazione di disagio, che la comunità ha dovuto vivere, si sta dando da fare per ricostruire il tetto della propria chiesa. E questo ci fa pensare a quanti non hanno un tetto».

Numerosi i ragazzi delle scuole che in mattinata hanno visitato la rappresentazione, guidati dagli insegnanti. Fino a Natale il presepe vivente è aperto, di mattina, per loro. Sono stati i primi di tremila che si recheranno nella Betlemme ricreata nel sito archeologico del 270 d.C. Una città divisa in una parte più ricca e in una più povera. Tanti i dettagli del presepe vivente curati nei particolari, come i costumi d’epoca dei figuranti, realizzati da tre sarte della parrocchia, e gli arnesi per la rappresentazione dei vari mestieri. Nelle stalle o nei recinti, un cavallo e diverse pecore addomesticate. Immancabili, accanto alla culla del Bambino, un bue e un asinello. È la zona più affollata dai bambini. Qualcuno ne approfitta per scattare un selfie, che riporta al tempo presente.

Nel percorso che si snoda per la via del sito diverse capanne riproducono invece le attività dell’epoca, dalla locanda al laboratorio del falegname. I giovani della parrocchia indossano le armature dei centurioni, mentre gli anziani i panni del fabbro o delle filatrici di lana. Così il calzolaio lavora le suole consumate dei sandali, lo speziale prepara gli intrugli, le tessitrici ricamano. Le attività sono presentate da un passo della Sacra Scrittura scritto su un cartello, all’ingesso della capanna. Un palco ospiterà ogni giorno un gruppo corale differente che intratterrà all’ingresso i visitatori con canti natalizi, mentre su uno dei due lati della porta, grazie alla tecnologia multimediale di video mapping, saranno proiettati giochi di luci e video a tema.

Il presepe vivente, patrocinato dal Vicariato di Roma, dall’Opera Romana Pellegrinaggi e dall’assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, potrà essere visitato ogni pomeriggio, dalle 16 alle 20, dal 25 dicembre al 6 gennaio, escluso il 31 dicembre.

18 dicembre 2017

Francesco alla Curia romana: «Complotti sono un cancro». Monito ai «traditori di fiducia»

«Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti»: la frase di De Merode, l’arcivescovo belga vissuto nell’800, con cui Papa Francesco ha aperto nella mattina di giovedì 21 dicembre il discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, dice già tutto sulla concretezza con cui ha affrontato il tema del servizio della Curia Romana. Il punto di partenza del suo intervento dedicato alla Curia “ad extra” («al servizio della Parola e dell’annuncio della Buona Novella») sono stati i «principi basilari e canonici della Curia», la sua stessa storia ma anche la «visione personale che ho cercato di condividere con voi nei discorsi degli ultimi anni, nel contesto dell’attuale riforma in corso».

È ancora nella mente il discorso del 2014, quando elencò 15 “malattie curiali”, e quello dell’anno successivo quando definì alcuni “antibiotici curiali” attraverso un’analisi. Anche quest’anno le immagini non mancano: dai “sensi” (tanto da definire i dicasteri della Curia come “sensi istituzionali”), con un riferimento di matrice ignaziana, alle “antenne”, chiamate ad essere sia “emittenti” che “riceventi”. Il filo conduttore del discorso è un richiamo al servizio – parla di «atteggiamento diaconale», Francesco -, alla comunione e alla fedeltà, che emerge soprattutto nella parte iniziale con un richiamo molto preciso.

Il primo invito del Papa – che ringrazia per l’indirizzo di omaggio il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio – è a «superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano».

Poi la sottolineatura di un «pericolo»: quello «dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma, non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità, si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del “Papa non informato”, della “vecchia guardia”…, invece di recitare il “mea culpa”. Accanto a queste persone – aggiunge il Papa – ve ne sono poi altre che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene». Senza dimenticare, chiarisce Francesco, «la stragrande parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità».

Sull’impegno “ad extra” della Curia Romana il Papa indica alcuni aspetti fondamentali: il rapporto con le nazioni innanzitutto, nell’ambito del quale parla del compito della diplomazia vaticana, «al servizio dell’umanità e dell’uomo, della mano tesa e della porta aperta», come testimoniano tanti passi compiuti in questi anni. Ancora, il rapporto con le Chiese particolari, con le proficue “visite ad limina” degli episcopati in un clima di «ascolto sincero», e quello con le Chiese orientali, detentrici di «inestimabili ricchezze». E qui sottolinea «la testimonianza eroica di tanti nostri fratelli e sorelle orientali che purificano la Chiesa accettando il martirio e offrendo la loro vita per non negare Cristo». Infine, il dialogo ecumenico, definito «irreversibile e non in retromarcia», e quello interreligioso, guidato da «tre orientamenti fondamentali: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni».

La conclusione del discorso, sul senso del Natale, è un monito che interpella tutti. «Il Natale – afferma Francesco – ci ricorda però che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che deve essere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere sconvolta. In realtà, una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede, che potrebbe realizzarsi quando arriverà a coinvolgere il cuore, l’anima, lo spirito e tutto il nostro essere, quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore, quando permettiamo alla stella di Betlemme di guidarci verso il luogo dove giace il Figlio di Dio, non tra i re e il lusso, ma tra i poveri e gli umili».

21 dicembre 2017

Il Natale nell’Ostello Caritas

Stringe nel pugno destro un sacchetto di cartone mentre si dirige zoppicando all’ostello Caritas “Don Luigi Di Liegro”, in via Marsala. Dentro, un piumino scuro e le scorte per il suo cammino quotidiano tra le vie della città. È sera, la temperatura sfiora i tre gradi, quando Mimmo, napoletano, rientra in quella che definisce la sua “casa”. Occhiali spessi, baffi lunghi e un’insolita allegria, che conserva nonostante sia stato messo ai margini dalla vita. «Qui, però, adesso ho una famiglia». Lo dice poco dopo aver premuto il tasto dell’ascensore per raggiungere la sua stanza. «Mi aspetti, voglio parlare», dice al cronista.

La hall della struttura, a due passi dalla stazione Termini, è un vero e proprio porto di mare. Nel buio della sera ritornano i tanti senza fissa dimora, accolti dopo le loro giornate impegnate a cercare di raddrizzare la rotta. All’ingresso, un grande albero di Natale, nei corridoi le decorazioni, le ghirlande. «Qui viviamo davvero un amore e una condivisione con le persone accolte», spiega un volontario. Sono 185 quelle che dispongono di un alloggio, tra le 17.30 e le 8.30 del mattino successivo. Per la maggior parte sono italiani che perdono il lavoro e non riescono a reimpiegarsi ma sono numerosi anche gli stranieri che non hanno trovato nel nostro Paese la fortuna sperata. Il tentativo degli operatori è quello di far vivere loro un Natale in famiglia. Anche se per molti «è un nervo scoperto», come ammette Lorena, ospite della struttura da sei mesi.

Domenica 24 dicembre, alle 17, presiederà la celebrazione eucaristica il vicario del Papa per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis. Sono attesi sia il sindaco della Capitale Virginia Raggi, sia il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Poi la cena insieme. E l’attesa della mezzanotte giocando a tombola. I volontari porteranno un dono da assegnare ai vincitori. Ma ciò che importa è «l’atmosfera che si viene a creare durante la serata. Un’atmosfera che contrasta con la solitudine che vivono molte delle persone che alloggiano qui. Cerchiamo di dar loro il calore che potrebbero ritrovare nelle loro case», spiega Luana Melia, coordinatrice dell’ostello.

L’attività degli operatori è continua. Alcune suore lavano e curano i piedi dei senza fissa dimora. Altri volontari si dedicano a sistemare le stanze o le scorte di indumenti che distribuiranno. Una vera e propria macchina ben rodata, di cui Tina, 91 anni, è la mascotte. Il suo servizio è cominciato nel 1987, al fianco di don Di Liegro. «Un giorno stavo sistemando le scarpe con le suole rovinate. Me le fece buttare perché troppo consumate. Le comprò lui ai poveri», ricorda passando in rassegna vari momenti vissuti in quegli anni. Come il giorno in cui fece la doccia con una donna che non voleva lavarsi. «Fu il massimo della condivisione». Tina è tornata nei locali di via Marsala dopo due mesi. Ha combattuto contro una malattia, ma non lo ha detto agli altri volontari, perché «non devono distrarsi dal loro impegno».

Nel corridoio principale che conduce alle stanze cammina Alfredo, 62 anni, ospite della struttura negli ultimi 18 mesi. Con la sua stampella arranca verso il fondo. In passato ha lavorato in un’impresa di pulizia, poi il licenziamento, la ricerca di un nuovo lavoro, l’impossibilità di trovarlo e di pagare l’affitto. «Ho vissuto per strada per molto tempo, ho dormito nelle stazioni. La strada non fa sconti, ti trovi ad affrontare tante difficoltà, come il freddo e l’indifferenza della gente», racconta con gli occhi lucidi. Finché non è stato ospitato dalla Caritas. «Qui ho trovato una seconda famiglia, sto bene. Mi sono sempre tirato su le maniche e ho camminato a testa alta. Sarà un Natale comunque bello».

Nella sua vita precedente Lorena, 58 anni, non avrebbe mai pensato di dormire lontano da una casa. Laureata, con un lavoro ben avviato a contatto col pubblico, si è scontrata con il colpo di coda della crisi. «Quando ci si ritrova per strada non c’è mai solo un motivo – spiega -. Avevo una società con diversi dipendenti. Mi occupavo anche di arredamento a livello estero. Poi, con la crisi è cominciato il tracollo e per una donna sola le difficoltà sono sempre maggiori». Dal cancello si dirige verso la hall, Erika, 35 anni. Rientra dopo una giornata in cui ha lavorato da badante. Un impegno saltuario. Giunta in Italia da tre anni dall’Ucraina, non è riuscita a trovare un lavoro, nonostante la sua laurea da avvocato. Conserva la sua scala di priorità: «Prima il lavoro, poi la casa, poi la famiglia». E lo dice «senza sognare. Ormai conosco bene la realtà». L’ora di cena si avvicina, riecco Mimmo, pronto ad andare a mensa. «Ho fatto tante cose nella mia vita. Anche la pizza. Una sera vorrei prepararla per tutti. Ci venga a trovare, non se ne pentirà».

21 dicembre 2017

Discorso del Vicario Conclusioni del Convegno Diocesano

“NON LASCIAMOLI SOLI”

Conclusioni del Convegno Diocesano
18 settembre 2017

Atti 20,7-12

7 Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. 8 C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; 9 un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. 10 Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». 11 Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. 12 Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.

E’ bello rileggere insieme questo brano degli Atti, sentire come esso illumini quanto abbiamo vissuto nel Convegno di giugno scorso!

L’episodio avviene a Troade, nel “primo giorno della settimana”, quando la comunità si riunisce “nella stanza al piano superiore” per “spezzare il pane” e ascoltare la Parola di Dio annunciata da Paolo. E’ una comunità degli inizi, piccola e piena di entusiasmo, capace di ascoltare la Parola per tutta la notte, finché non spunta l’alba, approfittando fino all’ultimo della presenza dell’Apostolo. Tutta la stanza è illuminata da molte lampade: è un bel simbolo della luce della Parola e della fede di tante persone che si lascia illuminare da essa. Si direbbe che questa comunità è una “vergine saggia”: ha con sé l’olio, ha la lampada accesa. E’ pronta alla partenza dell’Apostolo e a continuare senza di lui il suo cammino

Non si è accorta però di un particolare. I ritmi di questa comunità, la sua fede luminosa e adulta, non vengono retti dal giovane Eutico. Egli sta alla finestra e, mentre Paolo continua senza sosta la sua omelia, preso da profonda sonnolenza, precipita giù. E’ un’immagine vera di quello che stiamo vivendo oggi: mentre la nostra comunità cristiana, in questa ricchissima e faticosa stagione postconciliare, riscopre con gioia la centralità dell’incontro con il Risorto, dell’ascolto della Parola di Dio, la bellezza del celebrare insieme spezzando il pane eucaristico nella fede e nella carità fraterna, proprio la componente giovanile delle nostre comunità si è lentamente spostata alla finestra, sviluppando un senso di estraneità nei confronti della comunità cristiana e si è addormentata. Forse, come Paolo, abbiamo parlato troppo di cose che poco avevano a che fare con la vita del giovane Eutico, per cui non lo abbiamo aiutato a percepire che la luce era anche per lui; forse ci è mancata l’empatia e non ci siamo accorti di quello che Eutico provava, di quanto la sua giornata, magari vissuta in solitudine, fosse stata pesante e faticosa; forse non siamo stati bravi ad accorgerci che anche Eutico aveva qualcosa da dire, delle domande da fare, che lo avrebbero aiutato ad entrare nel Mistero “a modo suo”, a personalizzare l’annuncio che ascoltava (“Dio a modo mio” è il titolo di un lavoro recente sui giovani e la fede in Italia); come al solito, Dio vuole che la sua comunità si converta e questo non avviene finché non mettiamo al centro della nostra attenzione i piccoli e i poveri…

Così Eutico, tra lo sconcerto di tutti, cade giù e muore. E’ con tristezza enorme che vediamo tanti giovani delle nostre città, proprio perché nei loro percorsi di crescita ormai il vangelo è per lo più assente, appiattirsi sulla mediocrità, perdere la capacità di sognare, rinchiudersi nell’individualismo, rimanere soli e senza parole rispetto ai grandi drammi della vita. Senza il Signore la vita dell’uomo non è più la stessa: si può essere giovani ed essere “vecchi dentro”, forse persino “morti dentro”.

Per questo il gesto di Paolo è esattamente quello che noi, comunità cristiana, siamo chiamati ad attualizzare: lasciare tutte le altre occupazioni, scendere al piano terra, lì dove si trova il giovane Eutico esanime, buttarci addosso a lui per abbracciarlo e ridonargli la vita dello Spirito. Il verbo usato dagli Atti e tradotto con “si gettò su di lui” (epèpesen ) è lo stesso che Luca utilizza anche nel vangelo per dire che il Padre della parabola “si gettò al collo” (Lc 15,20) del figlio minore, per baciarlo e alitare così su di lui la sua stessa vita divina. Le viscere di misericordia del Padre, il suo utero materno, si commuovono, e così anche quelle di Paolo di fronte alla morte del giovane. La misericordia si esprime nel gesto di gettarsi addosso al corpo del ragazzo, come Elia sul figlio della vedova, per ridonare la vita, il respiro, la dignità filiale, e aiutarlo a rialzarsi in piedi. Ogni nostro sforzo per la pastorale giovanile non potrà che partire da questa imitazione dell’utero materno del Padre, da questa riscoperta della misericordia che Dio ha verso di noi e che ci chiama ad esercitare verso tutti. Anche verso i genitori il nostro obiettivo è il medesimo: aiutarli a riscoprire la loro vocazione paterna e materna, la bellezza di un amore di donazione che li rende simili a Dio, la luminosità del gesto di chi muore un po’ perché l’altro, il figlio, possa avere vita. Vogliamo aiutare i papà e le mamme a riscoprire che la fede in Gesù e la relazione con Lui sostiene e dà forma anche al proprio modo di essere genitori.

Come Paolo anche noi possiamo esclamare: “Non vi turbate: la sua anima è in lui!” (tradotto dalla traduzione CEI con : “è ancora in vita”). Si, c’è nel cuore di ognuno dei ragazzi di questa città un desiderio profondo di Dio, un’anima che esprime questo desiderio in mille maniere diverse: voglia di raccontarsi, di sperimentare, di provare “la vertigine”; bisogno profondo di stare con gli altri, di superare l’isolamento, di trovare accoglienza e punti di riferimento tra gli adulti; rifiuto dei formalismi, delle relazioni non autentiche, degli spazi rigidi e non vitali, perché si è alla ricerca di un’appartenenza, di un nuovo modo di stare al mondo, di pensarsi, di agire. Una nostalgia di Dio trapela persino in molti di coloro che dicono di non credere in nessun tipo di religione o di filosofia (quasi la metà dei nostri ragazzi): più che di un rifiuto di Dio si tratta di una presa di distanza da un certo modo di vivere la vita cristiana appreso nelle stanze del catechismo parrocchiale e che ora, a questi adolescenti, non dice più niente perché non c’entra quasi nulla con quello che vivono. (Bichi-Bignardi, Dio a modo mio, p.176). Questo ci interpella profondamente: “la sua anima è ancora in lui”. Quali varchi e quali sentieri lo Spirito Santo si sta aprendo nell’interiorità dei nostri ragazzi? Come possiamo intercettare questi varchi, questi movimenti dello Spirito, e metterli in contatto con il Vangelo di Gesù e la vita della comunità cristiana? Come lo Spirito sta preparando nel cuore dei ragazzi la fede e la Chiesa del futuro? A quali conversioni ci sta chiamando, quali esodi ci vuole far compiere il Signore, attraverso le provocazioni che i ragazzi ci fanno e che siamo chiamati ad ascoltare e a prendere seriamente in considerazione?

Si, perché c’è un rischio reale davanti a noi: che non cogliamo fino in fondo la svolta epocale che stiamo vivendo. il Signore ci sta parlando attraverso la voce di questi giovani, nostri figli: trasmettere a loro la fede richiede un ripensamento profondo non solo delle iniziative di pastorale giovanile, ma del nostro essere Chiesa. Prendiamo per slogan o frasi fatte certe espressioni del nostro Vescovo, Papa Francesco, quando parla di un “improrogabile rinnovamento ecclesiale”: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (EG 27). Sono passati ormai tanti anni da quando il Magistero dei nostri Papi ci ha richiamati alla necessità di una riforma ecclesiale che, recependo ancora più pienamente il Concilio Vaticano II, segni un’autentica svolta missionaria “che non può lasciare le cose come stanno”(EG 25). Il vero rischio è che ad addormentarsi non sia Eutico, ma che sia tutta la comunità cristiana! Non possiamo rimanere a guardare sbigottiti Eutico che cade nel vuoto: bisogna fare come Paolo, che si precipita ad abbracciarlo e a ridare vita alla sua anima.

La Chiesa è “una madre dal cuore aperto” ( primo capitolo di EG): è discepola, figlia generata dalla Parola, e missionaria, madre che genera nuovi figli alla fede (comunità cristiana che evangelizza e si lascia evangelizzare) incarnandosi nei limiti umani e accompagnando il cammino concreto delle persone. Come in ogni sua epoca la Chiesa si rinnova grazie a due “movimenti” profondamente spirituali e tra loro connessi: se ritorna alle sorgenti della Parola e se si lascia provocare dalla carne degli uomini che è chiamata a servire. Anche perché lei stessa è impastata di quella carne e non può far finta di non esserlo! Bloccare la fecondità anche di uno solo dei due movimenti significa realizzare una riforma a metà della vita della Chiesa. Mettiamoci in ascolto della Parola, consegnata nella Scrittura e nella Tradizione ecclesiale, e ascoltiamo la voce dello Spirito che parla nel cuore degli uomini e nella storia umana, operando comunitariamente un sapiente discernimento dei segni dei tempi. E’ questo il cammino che ci aspetta, ed è un’avventura affascinante!

Con questo intervento di oggi non intendo far altro che rilanciare le parole del Papa e proporre alcune tracce per i cammini delle comunità parrocchiali e delle diverse realtà ecclesiali della diocesi di Roma. Fin dall’inizio voglio precisare che la priorità non va data alle “cose da fare”. Per far circolare operativamente nuove idee sono utili esperienze come quella dei laboratori di giugno, perché nei gruppi sono state condivise molte proposte, raccontate molte iniziative ben riuscite. Gli incontri di prefettura, le riunioni di catechisti e animatori di parrocchie diverse, sono occasioni preziose! Ciò che è più importante (e ben più difficile) è maturare atteggiamenti nuovi e far partire dei processi. E’ anche la preoccupazione del nostro Vescovo, Papa Francesco: sono le nostre malattie spirituali quelle che frenano la circolazione della vita dello Spirito, che impediscono alla comunità cristiana di incontrare in maniera feconda i giovani e le loro famiglie; le malattie ci inducono ad avere lo sguardo corto di chi non intuisce le direzioni di marcia da prendere e si appiattisce quindi sul “già fatto e quindi sicuro” quando ormai da tempo “sicuro non è”!

Vi dico allora quello che mi sembra essenziale fare, il prossimo anno pastorale: ogni comunità parrocchiale, ogni realtà ecclesiale, rifletta con franchezza su quale sia la sua malattia spirituale. In occasione di un’assemblea comunitaria, con il consiglio pastorale, con l’equipe dei catechisti, si chieda: in cosa ci siamo ammalati? Cosa frena in noi il dinamismo evangelizzatore? Cosa ci impedisce di essere una madre dal cuore aperto, capace di accogliere e di uscire? Perché i ragazzi che abbiamo accompagnato nell’iniziazione cristiana prendono le distanze dalla nostra comunità (ovviamente, per quello che dipende da noi…)? Il secondo capitolo di EG, “la crisi dell’impegno comunitario”, nella parte che riguarda “le tentazioni degli operatori pastorali” (EG 76-101) ci offrirà il materiale di base per riflettere. Gli uffici diocesani prepareranno delle schede per aiutare questa verifica comunitaria. Attenzione: non è un’operazione semplice individuare la malattia spirituale della nostra comunità! Non va fatta frettolosamente, perché richiede profonda libertà interiore e un discernimento sapiente illuminato dallo Spirito.

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Permettete anche a me, ora, di sottolineare tre malattie spirituali (mi ispirerò all’ultimo capitolo di EG: “evangelizzatori con Spirito”) che mi sembrano particolarmente pericolose per la nostra vita ecclesiale. Nella seconda parte di questa relazione proporrò alcune riflessioni sulla pastorale giovanile e sul dialogo e la collaborazione con i genitori, con lo scopo di avviare processi attraverso la realizzazione di alcune iniziative.

a. La comunità cristiana è essenzialmente comunità di fede, che vive della gioia dell’incontro con il Risorto (EG 264-267), che si nutre della sua Parola e dell’amicizia con Lui, che percepisce la bellezza e la responsabilità di essere il suo corpo visibile nel mondo per l’edificazione del regno. Stringiamoci a Cristo e che sia la conoscenza e la sequela di lui il cuore di ogni programma pastorale! Questo vuol dire che la comunità non si costruisce sull’efficienza della sua macchina organizzativa, non si riduce a spazio aggregativo per bambini e per anziani, soprattutto non si appiattisce su logiche mondane di vario tipo: l’autocelebrazione narcisistica, la fedeltà sterile e ideologica a riti e consuetudini, la difesa di uno spazio protetto e rassicurante, al riparo dai problemi del mondo… Questa non è senz’altro la Chiesa di Gesù il Signore! Diciamolo con il linguaggio di Papa Francesco: basta pelagianesimi! Questo significa: basta cammini comunitari nei quali pretendiamo di costruire la Chiesa da soli secondo logiche tutte umane. La Chiesa diventa una donna infeconda quando perde il suo sguardo contemplativo e smette di compiere una lettura realmente spirituale, di fede, di quello che lei vive e di quello che vivono gli uomini del suo tempo. Dobbiamo credere alla logica delle beatitudini: quanto più la comunità cristiana si fa piccola, povera, mite, quanto più si concentra sulle relazioni (una famiglia!) e non sulle strutture, tanto più diventa credibile e lascia passare la luce dello Spirito. Una comunità che non si converte continuamente al Signore rinnovando il discepolato è una comunità che non va molto lontano: alla fine i suoi membri implodono perché ognuno si attaccherà al suo ruolo o alle sue idee. Fin dall’inizio, a partire dall’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi fino ai gruppi per anziani, bisogna far sì che il Vangelo di Gesù sia il cuore di ogni cammino cristiano, con le modalità adatte a ciascuna età. Questo vale ovviamente anche per gli adolescenti e i giovani: non bisogna aspettare che abbiano un’età diversa per narrare loro la Parola di Dio, ma è necessario coniugare il Vangelo con le loro vite. Ascoltando con profondità i loro vissuti, il modo in cui si interrogano e percepiscono Dio nelle pieghe della loro esistenza, sarà più facile comprendere che il Signore sta già andando loro incontro, quali parole sta loro rivolgendo, attraverso quali esperienze li vuole aiutare a crescere… Qualcosa di simile va detto anche per i genitori dei ragazzi: al cuore di ciò che proponiamo per loro c’è l’annuncio rinnovato del Vangelo, magari sotto l’angolatura ricchissima di ciò che significa essere padri e madri nella Scrittura e nella spiritualità cristiana; sarebbe davvero riduttivo se ci si fermasse a qualche, pur utile, consiglio sulla relazione genitoriale!

b. Oltre a mettere Cristo al centro, le comunità sono invitate a riscoprire “il piacere di essere popolo” (EG 268-274). L’insistenza del Papa è qui estremamente salutare, ci fa bene, perché ci ricorda che in Cristo siamo legati gli uni agli altri e che se ci dividiamo chi ci rimette siamo tutti. Separarci dagli altri, che siano i fratelli della comunità cristiana o gli abitanti del nostro stesso quartiere, ci fa ammalare. E’ dalla contemplazione dell’incarnazione che impariamo a far nostro uno stile diverso, quello con cui Gesù si avvicinava alle persone, condividendone la vita con simpatia autentica, entrando in relazione in profondità, facendosi carico dei dolori e delle fatiche degli altri. E’ quello che il Papa chiama rivoluzione della tenerezza: un modo pienamente evangelico di vivere le relazioni. Basta quindi individualismi e affermazioni identitarie giocate “contro qualcuno”! La storia delle nostre parrocchie e delle nostre comunità ecclesiali, in questi anni, ha su questo punto luci e ombre. Quanto cammino fatto insieme, quanta ricchezza di carismi messa in circolazione, come sono state belle alcune iniziative che ci hanno unito (penso al Giubileo e alla missione cittadina, alla Veglia di Pentecoste celebrata insieme a san Pietro, e a tante altre …). Non a caso ho scelto come simbolo del mio ministero episcopale il melograno, perché rappresenta il servizio alla comunione ecclesiale: i vari acini tenuti insieme dal Signore… Dall’altra parte non sono poche le situazioni in cui si è preferito arroccarsi, difendersi; si è assolutizzata un’esperienza ecclesiale a danno delle altre, ci si è guardati con diffidenza magari per concludere che la coabitazione è impossibile. E’ significativa, ad esempio, la difficoltà a lavorare insieme in prefettura: indica non tanto incapacità organizzativa o mancanza di tempo, ma forse una diffusa malattia spirituale. Quanto al rapporto con chi vive nei nostri quartieri e con cui vorremmo condividere il Vangelo e costruire un dialogo e una collaborazione positiva, ricordiamo i primi due dei tre atteggiamenti di fondo a cui Papa Francesco ci ha richiamati nel Convegno del 2016: togliersi i sandali davanti alle vite degli altri, perché sono luoghi santi; non rinchiudersi nei ghetti delle nostre presunte perfezioni, disprezzando e condannando senza appello le persone. Sul terzo atteggiamento ritorneremo tra poco

c. Una terza considerazione che vorrei condividere con voi riguarda la malattia spirituale di quelle comunità ormai rinunciatarie rispetto al compito evangelizzatore, inteso sia come annunzio del Vangelo sia come collaborazione alla trasformazione del mondo nel regno di Dio. Quante comunità introverse, ripiegate su se stesse, che hanno dimenticato di essere lievito inserito nella storia umana e guardano le vicende del mondo dal balcone delle proprie sicurezze! Con il tempo si inaridiscono e finiscono per dire o fare le cose di sempre: un po’ di catechesi dei bambini, magari qualche pratica devozionale, ma non testimoniano più nulla agli uomini della nostra città! La malattia consiste in fondo nella mancanza di fede nella Pasqua, nel Signore Risorto che agisce anche oggi per mezzo dello Spirito nel mondo e nei cuori delle persone. Basta pessimismo sterile! Non è possibile per la comunità cristiana dimenticare la storia e gli uomini. Smettere di cercare gli uomini, di coinvolgersi nelle loro gioie e speranze, tristezze angosce è una forma di ateismo pratico. Gli uomini infatti hanno già un posto nel cuore di Dio e lì li dobbiamo cercare. Nelle trame delle loro vite entusiasmanti e dolorose, coraggiose e complicate è presente e agisce lo Spirito del Risorto. Il discepolo di Gesù che vedesse negli uomini e nel mondo solo un luogo pagano, privo della presenza di Dio, pieno di tenebre e di nemici, è un discepolo che non crede nella Pasqua che agisce nella storia.

Ci verificheremo quindi sulle malattie spirituali! Anche negli incontri di settore del clero l’argomento verrà approfondito. Ogni comunità parrocchiale, in particolare, condividerà con il proprio Vescovo ausiliare le conclusioni della propria riflessione.

2)

E ora vogliamo ritornare su Eutico, simbolo dei giovani della nostra città. Il prossimo Sinodo dei Vescovi, come sapete, sarà dedicato alla riflessione sulla sfida della pastorale giovanile. L’esortazione apostolica papale che seguirà ci consegnerà contributi preziosi con cui confrontarci. Ma già da adesso (come avete compreso dalla prima parte di questa relazione) vogliamo fare il passo più importante, vogliamo metterci come Chiesa diocesana in un stato di conversione per ascoltare il grido che sale dalle esistenze dei giovani (cfr lettera del Papa che accompagna il documento preparatorio al Sinodo). Ci è sembrato che fosse necessario fin dall’inizio rivolgerci a coloro che hanno la responsabilità principale della loro crescita, i genitori. Il titolo del Convegno: “Non lasciamoli soli”, suggerisce che l’atteggiamento con cui ci avviciniamo a loro sia di collaborazione e di servizio e non, certo, di critica e condanna. Propongo qui alcuni punti che riprendono il discorso del Papa e lancio delle proposte, raccolte attraverso le relazioni dei laboratori e altri contributi che mi sono arrivati nel frattempo, con l’intento, come vi dicevo, di avviare processi.

a. Osserviamo da vicino Eutico. Lo guardiamo, come ci ha detto il Papa, in romanesco e in movimento. E’ l’amore incarnato del Figlio di Dio che ci spinge a guardare non ai giovani in astratto, quello delle pur utili indagini sociologiche, ma ai loro volti concreti, ai giovani che abitano il territorio delle nostra comunità. Una pastorale giovanile in romanesco significa che siamo chiamati ad incontrarli. Non parliamo di loro, ma con loro. Allora ne riconosceremmo il volto bellissimo e fragile, spesso fragilissimo, perché deturpato in mille modi dalla solitudine, dalle dipendenze, dall’arroganza e dalla violenza di chi usa e abusa di loro. Quando stanno insieme forse ci sembrano un “branco” pericoloso e impenetrabile; ma sappiamo che è solo una facciata, la manifestazione di una debolezza profonda. Il Signore vuole che li incontriamo. Credo che questo significhi rilanciare una pastorale coraggiosa della presenza nel territorio e del dialogo. Molti di voi hanno sottolineato il contatto che si può realizzare con gli adolescenti attraverso il mondo della scuola, soprattutto attraverso gli insegnati di religione: pur nel rispetto dei differenti ruoli e approcci (l’insegnante di religione non è un catechista) è ormai evidente a tutti noi quali enormi potenzialità siano contenute nel creare un ponte tra comunità parrocchiale e istituto scolastico. Vi invito a contattare l’ufficio Scuola, don Filippo Morlacchi, perché vi racconti le tante esperienze che sono state già realizzate a Roma, con molto frutto. Sarà anche necessario potenziare un altro canale, quello della presenza negli altri luoghi di vita dei ragazzi, specie in quelli più a rischio per loro. E’ spaventosa la situazione di devianza che vivono molti adolescenti, talvolta nell’assordante silenzio degli adulti e delle istituzioni, anche le nostre. Figli allo sbando, figli di nessuno. Anche in questo settore sono state realizzate molte significative iniziative, penso a don Giovanni Carpentieri e all’equipe che collabora con lui e ad altre realtà presenti nella nostra diocesi. Si tratta quindi di far partire un processo permanente di incontro e di ascolto, e a questo siamo tutti chiamati: renderci conto di come vive Eutico, parlare con lui, farci raccontare qualcosa di ciò che pensa riguardo a sé, alla sua vita, alle sue cadute, a Dio, alla comunità cristiana da cui ha preso le distanze… Vi invito a farlo, a leggere insieme queste narrazioni magari come consiglio pastorale, a rifletterci sopra e far arrivare le vostre riflessioni al Servizio di pastorale giovanile. L’ascolto potrebbe estendersi e comprendere anche alcuni genitori, insegnanti ed educatori, operatori dell’area minori. Gli insegnanti di religione potrebbero, d’intesa con le comunità parrocchiali presenti nel territorio della scuola, provare a raccogliere in classe le riflessioni dei ragazzi e condividerle con i presbiteri e con gli animatori degli adolescenti in incontri di prefettura. Un’iniziativa del genere non va pensata come un sondaggio, non serve per elaborare dati statistici, ma serve unicamente a voi: è un modo con cui la comunità cristiana di quel territorio incontra e si mette in ascolto dei ragazzi che vi abitano e si lascia mettere in crisi e incoraggiare dalle loro attese, dalle critiche o dagli apprezzamenti, dal modo in cui percepiscono Dio e la vita cristiana. Papa Francesco ci ha poi invitato a leggere con gli “occhiali giusti” l’età dei ragazzi, come una realtà in movimento: non è una patologia da medicalizzare ma una stagione della vita preziosa per sé e per tutta la loro famiglia. E’ preziosa anche per noi, comunità cristiana: ci spinge a ringiovanirci, ad accogliere la sfida, a vivere le trasformazioni necessarie per evangelizzare la generazione che viene

b. Il soggetto che è chiamato a convertirsi ed accogliere come una madre i ragazzi e le loro famiglie è tutta la comunità cristiana. Come vorrei che fossimo pienamente convinti di questo e ne comprendessimo fino in fondo le conseguenze! Abitualmente pensiamo che l’evangelizzazione dei giovani richieda tecniche particolari di approccio, offerte formative sofisticate, educatori professionisti o “fuochi d’artificio” pastorali, senza i quali nulla sarebbe efficace: e siccome non sono alla nostra portata, ci scoraggiamo già in partenza. Chi conosce e si fa vicino agli adolescenti sa che hanno bisogno fondamentalmente di adulti di riferimento, di comunità a cui appartenere e che esprimono verso di loro una sensibilità e un’attenzione paterna e materna, senza essere paternalistica. Si trovano bene se vivono una trama di relazioni che li faccia sentire a casa; liberi, perché sono alla ricerca di una loro identità, ma a casa. Guardate come tanti ragazzi si legano ai loro nonni, da cui li separano “anni luce” a livello di mentalità ma da cui si sentono particolarmente amati e lasciati in una sorta di spazio libero (i rimproveri li fanno i genitori!). In effetti nei processi di evangelizzazione e di catechesi dobbiamo tener conto che non tutto è mediato dai contenuti dottrinali comunicati (di cui spesso i ragazzi ricordano pochissimo!) ma che esistono altri fattori educativi importanti: l’accoglienza che fa sentire in famiglia, il senso di appartenenza che può maturare nel gruppo inserito nella comunità cristiana (qui mi piace stare!), la testimonianza ecclesiale alla Parola che suscita la fede e l’identità che scaturisce da questa appartenenza e da questa testimonianza, resa con la vita oltre che con la parola umana; da qui può nascere il giovane cristiano che si impegna nella Chiesa e nel mondo. Affinché questo processo del diventare cristiano possa funzionare, è richiesta l’attenzione di tutta la comunità cristiana (la “compagnia affidabile” di cui ci parlava Papa Benedetto): perché se un ragazzo è accolto da un catechista sorridente ma subito dopo è scansato da una sagrestana “mangia-bambini”, lo sforzo rischia di essere vanificato! In realtà ho la percezione chiara che alle nostre comunità cristiane non manchi nulla per essere pronte a ripartire con una buona pastorale giovanile: devono “solo” (tra virgolette) convertirsi ad un atteggiamento di maggiore attenzione ed apertura. Anche il linguaggio adatto con i giovani non scaturisce da una riunione fatta a tavolino dagli educatori, ma da una comunità appassionata del Vangelo e dei ragazzi: questa comunità, vedrete, sa trovare le parole con cui farsi capire! Per sostenere questo processo di trasformazione della comunità cristiana, vi propongo di dedicare una domenica al mese ad una lectio divina sul tema dell’essere padri e madri nella fede, una Chiesa che genera nuovi figli attraverso la Parola: potete proporre questo itinerario biblico agli adulti della comunità parrocchiale, ai catechisti, ai genitori, alle fraternità di famiglie. Il tema del generare alla fede narrando è molto ricco nella Scrittura. Prepareremo del materiale su questa iniziativa. Il Servizio di pastorale giovanile, guidato come sapete da don Antonio Magnotta, sta puntando a sostenere gli animatori degli adolescenti offrendo loro un cammino formativo di prefettura e degli itinerari sulla riscoperta dell’identità del battezzato (quest’anno sul munus sacerdotale). La pastorale universitaria (Mons. Leuzzi) propone quest’anno un cammino di riscoperta del discepolato missionario sul Vangelo di Marco. Qui vorrei sottolineare un punto importante per il futuro della pastorale giovanile della diocesi: valorizzare la prefettura come il luogo in cui le comunità cristiane e gli educatori degli adolescenti e dei giovani pensano, progettano, verificano le loro attività, si sostengono con incontri di formazione, si raccordano con le scuole del territorio e con le altre agenzie educative, mettono in piedi equipe di operatori di strada, portano avanti la dimensione vocazionale della pastorale giovanile e altro ancora. Non penso che questo sia solo un sogno utopico, ma è un obbiettivo concreto su cui lavorare nei prossimi anni. Per ciò che riguarda l’animazione vocazionale della pastorale giovanile segnalo l’iniziativa di don Fabio Rosini detta “La strada nuova”: si tratta di incontri mensili per giovani, sul tema del discernimento sapienziale, da realizzare con l’aiuto dei rispettivi parroci, in quattro parrocchie, una per ciascuno dei punti cardinali della nostra città: san Lino, Santa Bernardette, SS. Annunziata, SS. Simone e Giuda Taddeo. Inoltre altre iniziative saranno promosse dal Centro Pastorale per la Famiglia, dal Centro Catechistico, da quello Liturgico, dalla Caritas e dal C.O.R.

c. “Solo se i nostri vecchi faranno sogni, allora i giovani avranno visioni”, ci ha detto più volte Papa Francesco citando il profeta Gioele. Solo se le comunità cristiane si risveglieranno dal loro torpore e ricominceranno a sognare, potranno essere capaci di sostenere i ragazzi ed incoraggiarli ad avere “visioni” per l’oggi, per la loro vita e per quella delle realtà in cui abitano. La voglia di essere protagonisti, di rispondere alle sfide, di provare entusiasmo e vertigini, di cui ci ha parlato il Papa, possono davvero oggi esprimersi se sono messi in contatto con una comunità che, seppure un po’ invecchiata, ha ancora voglia di sognare, perché il suo sogno è quello di Dio, una comunità che desidera ancora una volta narrare, alla generazione che viene, la grande storia dell’amore crocifisso del Signore. All’interno della trama positiva delle relazioni comunitarie da cui si sente accolto e valorizzato, il giovane Eutico, messo a contatto con il sogno di Dio sulla sua vita e quella di tutti, non si addormenterà ma sentirà il cuore battergli forte, la testa frullargli, le mani prudergli. Se parliamo a tutta la persona di Eutico, ci dice il Papa, se usiamo tutti i registri educativi (del pensare, dell’amare, del fare), il nostro giovane ritroverà l’unità della sua esistenza e inventerà un “modo suo” di credere, sperare, amare. Le visioni dei giovani infatti, spesso non coincidono con i sogni dei vecchi, non sono la stessa cosa: ma i secondi sono al servizio dei primi. I giovani credenti di oggi vivono la fede in una maniera personale, meno normativa e rigida, più autobiografica e meno istituzionale; questo non è relativismo, ma il normale processo che avviene quando la fede viva passa da una generazione all’altra. Quindi, i vecchi devono sognare e permettere ai giovani di elaborare le loro visioni. Dalla testimonianza credente di chi ha camminato con il Signore possono nascere modalità nuove di vivere la testimonianza oggi. In molti dei laboratori si è sottolineata l’importanza di iniziative intergenerazionali, non solamente tra gruppi di pari, perché possano emergere, al servizio dei ragazzi, le testimonianze di adulti significativi della comunità cristiana. E’ da apprezzare la pastorale degli adolescenti diffusa in molte parrocchie dove è presente il cammino neocatecumenale, dove una famiglia ospita a casa sua e accompagna il percorso di vita e di fede di piccoli gruppi di adolescenti. Noto anche che si diffonde sempre più anche la pratica di affidare un giovane, per il suo accompagnamento spirituale, ad un laico adulto o ad una famiglia, perché possa orientarlo nelle sue scelte fondamentali. Anche qui c’è un processo da avviare con convinzione e una pista di lavoro per i prossimi anni!

d. In ultimo uno sguardo sui genitori dei ragazzi, in realtà il tema centrale del Convegno di quest’anno. Non vogliamo lasciarli soli nel loro compito educativo. Spesso riusciamo a coinvolgere in qualche incontro in parrocchia i genitori dei bambini, ma è molto raro coinvolgere i genitori degli adolescenti. Spesso queste dipende dal fatto che hanno timore di venire criticati, ritenuti responsabili delle intemperanze e delle follie dei loro figli: dobbiamo far loro sentire, invece, tutta la nostra vicinanza, la nostra disponibilità a collaborare. I genitori apprezzano molto la comunità parrocchiale quando a riesce a coinvolgere i loro ragazzi, specie se a casa sperimentano di non essere più presi in considerazione dai loro figli. Tante iniziative indicate nei laboratori sono davvero molto belle e invito a diffonderle e farle circolare. Il Servizio di pastorale giovanile preparerà dei sussidi per l’organizzazione di incontri tra genitori e animatori degli adolescenti, tra genitori e figli. Vorrei però sottolineare due cose: saremo credibili per i genitori se ci sentiranno parlare non soltanto di ciò che vivono i loro figli, ma anche di ciò che vivono loro. Ripeto: devono poter sentire il nostro calore, la nostra empatia e attraverso di essa la tenerezza di Dio. Inoltre, è molto importante che parliamo loro della bellezza del generare e dell’essere padri e madri contenuta nella Scrittura. Lì, nella pagina biblica, c’è un tesoro che stupisce, affascina e motiva al compito educativo. Ho chiesto inoltre al Papa se vorrà regalarci, per il tempo di Avvento e di Quaresima, un sussidio che contenga poche semplici proposte per la preghiera in famiglia. Sarebbe molto bello se ci aiutassimo a recuperare questa capacità di parlare di Dio e di pregarlo in casa che avevano le famiglie fino alla precedente generazione e che si è perduta, contribuendo così alla rottura della trasmissione della fede. La piccola Chiesa domestica, che è la famiglia, riscopre così la sua dignità e la sua vocazione

La Chiesa è una famiglia: l’immagine è quella della mensa domestica, alla quale il Signore invita tutti a sedersi, una tavola dove c’è posto per tutti perché ognuno si senta a casa. Questa casa è la casa della Trinità, che è la Trinità: Dio ha preparato in se stesso un posto per ciascuno di noi (Benedetto XVI). Qui sulla terra è la Chiesa il sacramento dell’amore materno di Dio che invita tutti alla mensa del regno di Dio, al banchetto della Parola e dell’Eucarestia: peccatori, poveri, storpi e ciechi, vecchi e giovani… Gli adolescenti e le loro famiglie, di cui abbiamo parlato nel Convegno di giugno, sono già da sempre nel cuore di Dio: se è così, a noi è chiesto di metterci a servizio del Signore che li cerca, li chiama, li invita a sedersi alla mensa della Parola e dell’Eucarestia, li fa sentire a casa. Quando pensiamo ai ragazzi e le loro famiglie, dobbiamo immaginarli in questo “luogo”: nel cuore di Dio. E’ lì che li dobbiamo cercare.

Preghiera degli educatori e dei genitori per i figli

O Padre,

ci rivolgiamo a Te all’inizio di questo anno nel quale la nostra comunità desidera dedicarsi in maniera rinnovata a servizio della crescita dei ragazzi e dei giovani.

Siamo consapevoli che il futuro passerà dal modo con cui saremo riusciti a rendere sensibili, forti, libere le coscienze di coloro che oggi sono giovani.

Sappiamo che non possiamo lasciare a se stesse le nuove generazioni; né che possiamo lasciare genitori, educatori e insegnanti soli a portare la responsabilità di dare un senso e un orientamento alla loro vita.

Vogliamo tutti insieme, come comunità, assumerci il compito di dare ai ragazzi e ai giovani ragioni di vita e di speranza; vogliamo con loro credere nel futuro. Vorremmo riuscire a fare loro toccare con mano, nelle nostre esistenze, che la vita vale la pena di essere vissuta e che, alla luce del Vangelo e sulla traccia del tuo Figlio Gesù, essa acquista una vastità di orizzonti, una pienezza e un’intensità che va al di là di ogni possibile desiderio.

Siamo coscienti di aver contribuito a preparare per loro una società che ama più le cose che le persone, che esclude i deboli, che non si indigna per l’ingiustizia e non sa più piangere per il dolore dell’altro.

Tu sai, Padre, che anche gli adulti sono spesso sopraffatti dalla stanchezza, spenti dalla disillusione, e che la vita appare loro talvolta più un peso che una benedizione.

Sappiamo quante volte non abbiamo saputo orientare i desideri dei più giovani, non abbiamo saputo trovare le parole giuste per comunicare loro la bellezza della vita e della fede; quante volte non siamo riusciti a riconoscere e ad accogliere le loro spinte al bene o non abbiamo saputo rispettare e decifrare i loro silenzi.

Come discepoli del tuo Figlio, non abbiamo saputo far vedere tutta la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo.

Padre,

mentre ti chiediamo di avere misericordia per le nostre povertà, invochiamo con ancora più forza il dono del tuo santo Spirito, senza il quale nulla ci è possibile.

Sostenuti da te, sentiamo di poterti presentare il nostro rinnovato impegno.

Desideriamo impegnarci in modo nuovo per l’educazione delle nuove generazioni.

– Ci impegniamo a sentire tutti i nostri ragazzi e giovani come figli nostri, e ad ascoltarli nel loro bisogno di vita, di amore, di pienezza, di gioia;

– Ci impegniamo a fare loro vedere con la nostra vita di ogni giorno quanto sia bella, buona e gioiosa un’esistenza che si svolge sotto il tuo sguardo di Padre e che attinge al Vangelo di Gesù;

– Ci impegniamo ad avere uno sguardo di predilezione per i ragazzi più fragili, quelli che sono stati troppo poco amati e che rischiano di non credere più in nulla;

– Ci impegniamo a far sì che le ragazze e le giovani siano rispettate per la loro dignità ed educate a custodire per tutti quella riserva di tenerezza di cui ha grande bisogno la società;

– Ci impegniamo a sostenere le famiglie, a diventare ogni giorno alleati dei genitori in quel compito educativo che sentiamo anche nostro;

– Ci impegniamo a non pretendere dai giovani che siano migliori di noi, ma insieme con loro vogliamo dar vita ad un mondo pienamente umano;

– Ci impegniamo a far loro posto nella nostra comunità e nella società, consapevoli che la giovinezza della Chiesa ha bisogno della loro presenza, del loro pensiero, del loro cuore, della loro novità.

Ti presentiamo Padre la nostra preghiera per l’intercessione di Maria, Madre di Gesù e Madre di ogni donna e uomo. Lei, che conosce la bellezza e la fatica di accompagnare verso la vita il giovane Gesù, sostenga il nostro cammino.

Amen

Prossimi incontri per la pastorale giovanile

Il prossimo 23 Settembre il Servizio Diocesano per la pastorale giovanile organizza la Giornata per gli Animatori degli adolescenti. Si tratta di una giornata ricca per la formazione, per presentare il cammino dell’anno dei gruppi e i laboratori per gli animatori nelle prefetture. Il 3 ottobre, al mattino, invece, ci sarà un incontro per i sacerdoti, in particolare con coloro che si occupano dei ragazzi, per riflettere insieme sull’indagine condotta dal Prof. Franco Garelli, sulla fede dei ragazzi e dei giovani in Italia.
Per informazioni o per dare conferma della propria presenza ci si può rivolgere al Servizio diocesano per la pastorale giovanile: pastoralegiovanile@vicariatusurbis.org – 3389218121 (don Antonio) entro il 25 settembre

Si è spento Carlo Veronelli

Il Vicario Generale S.E. Mons. Angelo DE DONATIS,
il Consiglio Episcopale e Il Clero della Diocesi di Roma annunciano che il Diacono Permanente

CARLO VERONELLI

è stato chiamato a sé dal Signore e, ricordando i lunghi anni di comunione e di servizio nella famiglia diaconale della Diocesi, il suo prezioso ministero nella parrocchia S. Maria Ianua Coeli a Monte Spaccato, la sua collaborazione attenta nell’Ufficio per la Pastorale della Salute, lo affidano alla tenerezza del Padre misericordioso, offrendo preghiere di suffragio e invocando per i familiari la consolazione nella certezza della Resurrezione. La celebrazione esequiale ha avuto luogo lunedì 11 settembre alle ore 10.30 nella Parrocchia Ss. Marco e Pio X in via di Casal Selce, nella Diocesi di Porto e S. Rufina, dove ha dimorato negli ultimi anni di vita.

Il vescovo Ruzza nuovo segretario generale

Monsignor Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare per il settore Centro, è il nuovo segretario generale del Vicariato di Roma. Lo ha annunciato alle 9.30 di oggi, 12 settembre, il vicario di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis, al termine della Messa presieduta nell’abside della basilica di San Giovanni in Laterano per le persone che prestano servizio in Vicariato.

Ruzza, nato a Roma il 14 febbraio 1963, ordinato sacerdote nel 1987, è stato nominato dal Papa ausiliare per il settore Centro l’8 aprile 2016, titolare di Subaugusta. È anche, tra gli altri incarichi, presidente dell’istituto interdiocesano per il sostentamento del clero e delegato del Centro diocesano per il diaconato permanente.

Nell’omelia della Messa, concelebrata dal vicegerente Filippo Iannone e dagli ausiliari Paolo Selvadagi e Paolo Lojudice, oltre che da Ruzza, e dai sacerdoti che prestano servizio in Vicariato, il vicario De Donatis ha affermato di aver desiderato questa celebrazione per un «sovrabbondare nel rendimento di grazie» in apertura dell’anno pastorale.

A proposito del servizio svolto da chi opera in Vicariato, De Donatis, prendendo spunto dalle letture del giorno in cui la Chiesa celebra la festa del Santissimo Nome di Maria, ha sottolineato che «il discepolo è il posto che ci compete. La collocazione del credente viene dal desiderare la preghiera del Maestro e la sua forza paterna, non deriva dal posto che occupiamo o dal ruolo che svolgiamo». «La nostra casa – ha detto ancora il presule – è all’angolo tra la via della preghiera e piazza del Padre celeste».

12 settembre 2017

Lettera del Vicario Generale, monsignor De Donatis, per il Convegno diocesano

Roma, 8 settembre 2017, Natività di Maria SS.ma

Ai Reverendi Parroci
Ai Vicari parrocchiali
Ai Sacerdoti di altri ministeri
Ai diaconi della Diocesi di Roma

Carissimi,
dopo un’estate sicuramente molto intensa per ciascuno di noi e dopo la forte esperienza spirituale del pellegrinaggio diocesano a Lourdes, riprendiamo il cammino pastorale al servizio della nostra Chiesa che vive in Roma. Lo faremo insieme, concludendo i lavori del Convegno diocesano, che abbiamo iniziato con le parole del nostro Vescovo Papa Francesco lo scorso 19 giugno nella Cattedrale.
Proprio a partire da quanto ci ha detto il Papa, rendendo grazie per il cammino svolto negli anni scorsi, possiamo confrontarci sull’esigenza forte della conversione pastorale al servizio del popolo che ci è affidato ed in modo particolare delle famiglie che si impegnano con energia e con forza per educare alla fede e trasmettere il tesoro prezioso della Parola del Vangelo.
Ci incontreremo lunedì 18 settembre alle ore 9.30 nella Basilica Lateranense per la recita dell’Ora Media e successivamente cercherò di offrire alcune indicazioni per il cammino delle nostre Comunità a partire dagli stimoli offerti nel lavoro delle Prefetture del 20 giugno e della riflessione che abbiamo condiviso con il Consiglio Episcopale. Avremo modo anche di dialogare – attraverso uno spazio di dibattito – sull’urgenza di una svolta missionaria nella nostra azione ecclesiale. La sera, poi, sempre in Cattedrale, alle ore 19.00 incontrerò gli operatori pastorali delle nostre parrocchie e delle varie realtà ecclesiali.
Vi aspetto con gioia e vi benedico nel Signore Risorto

+ Angelo De Donatis Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma

Si è spento monsignor Natalino Zagotto

Il Vicario Generale, il Vicegerente, e i Vescovi Ausiliari della Diocesi di Roma annunciano che questa mattina è ritornato alla casa del Padre Monsignor Natalino Zagotto, Canonico della Basilica Papale di S. Giovanni in Laterano.

Don Natalino con generosità ha servito la Diocesi di Roma ricoprendo vari uffici. Per lunghi anni ha esercitato l’Ufficio di Vicario Episcopale per la Vita Consacrata. Da alcuni anni era anche Segretario Aggiunto della Conferenza Episcopale Laziale. Il Signore della vita gli conceda il premio promesso ai servi fedeli.

Le esequie sono state celebrate sabato 9 settembre nella Basilica di S. Giovanni in Laterano.

Lettera del vicario episcopale per la vita consacrata, don Antonio Panfili

Alle Consacrate e ai Consacrati della Diocesi di Roma

Cari fratelli e sorelle,
quando Sua Eccellenza Mons. Angelo De Donatis, Vicario Generale di Sua Santità, mi ha chiesto di fare questo servizio sono rimasto senza parole.
Lasciare la parrocchia e impegnarmi in una cosa così grande mi ha messo in crisi ….
“Prega!” mi ha detto ed è quello che ho fatto! Come ognuno di voi nel momento di “svolta” della vita ho gridato: “che cosa vuoi Signore che io faccia?”
E poi piano piano la luce è arrivata!

“Vai a lavorare nella parte della “Vigna” del Signore più cara allo Spirito, là dove i suoi carismi producono i frutti più belli ed esclusivi – mi sono detto – tratterai con persone che vivono quaggiù come poi vivremo tutti in Paradiso, gente che anticipa la vita eterna seguendo Cristo povero, casto e obbediente! Di queste persone Lui, lo Sposo, è geloso!”
Mi sono sentito allora piccolo piccolo.
Non devo insegnare nulla a chi ha seguito Francesco, Benedetto, Ignazio, Agostino, Filippo Neri, don Bosco, Madre Teresa (e tanti altri).
Sicuramente, accostando i figli e le figlie che vivono e “prolungano” la santità geniale ed eroica di tali “campioni” non posso che averne giovamento e tanto slancio per la mia santità personale.
Non vedo l’ora di essere “contagiato”!
E, oltre a sentirmi tanto piccolo – e vi confido che ogni giorno chiedo al Signore e alla Vergine Madre di farmi “rimanere tale” – sento premere e affiorare in me come una spinta interiore, quasi una fonte profonda che cerca di zampillare all’esterno per raggiungere i fratelli, tutti i fratelli.
È lo “zelo” che ognuno di noi conosce – e non solo nel tempo della giovinezza -: “mi hai sedotto Signore ed io mi sono lasciato sedurre (Geremia 20,7).

È quel “fuoco ardente nel cuore che non posso trattenere (Ger 20,9)” che si accende anche solo nel conoscere i nostri numeri: circa 30 monasteri di clausura, 25.000 suore in 1150 comunità e 5000 frati in 400 comunità.
Che succederebbe se fossimo tutti Santi o, se almeno, ognuno desse un po’ di lustro e splendore al Dono ricevuto?
Quanto ci fa bene pensare che non l’abbiamo mai “meritato” il Dono che abbiamo avuto in regalo! Forse altri lo hanno “meritato” per noi (alcuni li conosciamo, altri li conosceremo solo in Paradiso!) Insomma se riuscissimo a “diventare davvero quello che siamo” la Chiesa di Roma sarebbe diversa … e con essa la Città, la nostra città così unica e così maltrattata!
Se poi pensiamo ai tanti Martiri – missionari e non – che rendono splendide come il sigillo di un Diadema le nostre famiglie religiose, allora credo che nessuno di noi avrebbe più il diritto di essere mediocre e tiepido.
Carissimi, io sono solo sacerdote diocesano ma avrete capito che la VITA CONSACRATA mi “vive” dentro come se fossi un “perenne novizio”, non solo perché in famiglia ho avuto una sorella di sangue di 8 anni più grande di me che si è fatta Pastorella e che mi ha “cresciuto”, ma anche perché devo confidarvi che la mia vocazione di prete è stata generata, custodita e protetta da persone come voi in clausura o nella secolarità che hanno detto SÌ allo Sposo più esigente e straordinario che esista.
Insomma se ai miei parrocchiani ho sempre detto che la nostra Fede non è un insieme di Comandamenti ma una Persona, a voi posso dire che la Vita Consacrata non è solo un triplice Voto ma uno SPOSO da amare fino alla identificazione!
Chiedo infine una preghiera particolare per Mons. Natalino Zagotto, precedente Vicario Episcopale, ricoverato in ospedale per un serio problema di salute.
In attesa di conoscervi, Dio vi benedica

Don Antonio Panfili

Roma, 4 settembre 2017

Pellegrinaggio Diocesano a Lourdes 2017 Omelia del Vicario della Santa Messa alla Grotta

Omelia della Santa Messa alla Grotta
Pellegrinaggio Diocesano a Lourdes 2017
31 agosto 2017
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Maria profeta del Regno

Maria è al servizio di Gesù. Ma dopo la risurrezione diventerà madre dei discepoli. Questo è il dono di Gesù sotto la croce: «Ecco la tua Madre», «E il discepolo la prese nella sua casa». Prendere con sé Maria è pericoloso: Giuseppe lo aveva capito bene e non riusciva a dormirci sopra. Alla fine l’Angelo lo convinse: «Non temere di prendere con te Maria». E semplice pregare Maria … ma quanto è difficile prenderla con sé. Perché? Torniamo a Giuseppe. Le uniche maniere che un ebreo aveva di sistemare il problema di una promessa sposa rimasta incinta erano: ripudiarla; riconoscere il figlio ammettendo di essersi unito prima del matrimonio con la donna. In quel tempo avere figli dalla fidanzata non era reato ma qualcosa di sconveniente. C’era anche un proverbio giudaico riferito alla situazione: «Ha voluto cogliere i frutti dell’albero prima del tempo». Giuseppe obbedisce all’Angelo e prende con sé Maria. Non pensiamo mai a cosa significasse. Egli doveva andare in sinagoga ammettendo davanti a tutti che era stato lui e che riconosceva il figlio. Pensate lo sposo castissimo di Maria fare questa dichiarazione vergognosa nella sinagoga di Nazaret durante lo Shabbat!!! E’ pericoloso prendere Maria: si perde la faccia. Giuseppe ha perso la faccia. O la fede o la reputazione. Maria e Giuseppe la reputazione l’hanno persa subito: hanno preso la croce del disonore 30 anni prima che il Figlio finisse in croce. Il vero devoto di Maria perde la faccia per la fede, ce la mette tutta, calpestando il ‘rispetto umano’, l’ipocrisia, il politicamente corretto. Pensate: abbiamo tanta gente buona che fa tanto bene nelle nostre comunità… ma ne abbiamo pochissime che dicono la verità!
Perché Maria è profeta del Regno? Non perché parla, progetta, bensì perché Lei porta lo Spirito. Dove c’è Maria c’è lo Spirito. Ella in cielo è al servizio dell’epiclesi: ogni volta che un cristiano, un prete, un genitore, chiede la luce dello Spirito, Maria si muove. L’Arca santa conteneva in sé – così tramanda il Talmud – il bastone di Mosè, le tavole della legge, una porzione di manna. Maria è la nuova Arca che porta in sé l’Atteso: Gesù Cristo è il bastone di Mosé che ci apre la strada, spalancando il Mar Rosso della nostra vita che è la morte; è la nuova legge dell’amore scritta sul cuore; è il pane del cielo che non si corrompe e che ci fa adatti alla vita eterna. Maria porta sulle montagne della Giudea nel suo stesso grembo, il Liberatore, il Maestro, il Pane di vita. E come dall’Arca usciva un fuoco che consumava, da Maria promana il fuoco che cristifica: non a caso appena Elisabetta la vede viene colmata di Spirito santo e comincia a profetizzare. Si può accostarsi a Maria senza diventare profeti? Impossibile. Si può vivere sotto lo sguardo di Maria senza diventare a nostra volta arca di Dio: cioè persone genitoriali, che hanno in grembo qualcosa che – anche senza volerlo – contagia, salva, fa venire voglia di vivere. Questo è il devoto di Maria: colui che fa venire voglia di vivere in Cristo. Sovente abbiamo progetti tra le mani, idee nella mente, ma poca vita risorta ‘addosso’.
Maria ci costringe anche a sperare nel Regno: «Come aveva promesso ai nostri Padri». Dio non è bugiardo, non inganna; il Dio di Maria è il Dio che mantiene, che non si scorda: questo ci sussurra continuamente nostra Madre alle orecchie. Spesso viviamo una distorsione percettiva della fede: pensiamo che Dio non dimentichi i nostri peccati, e che si scordi di farci felici. Invece la Scrittura dice esattamente il contrario: Dio si getta alle spalle i peccati, e rimane fedele alle promesse. La pensiamo al rovescio rispetto alla Scrittura. Due volte Maria spera stringendo i denti: a Nazareth e al Calvario. A Nazareth decide di sperare anche se pensa di non essere adatta, sul Calvario spera anche se le apparenze dicono che il Dio di Gesù non è all’altezza. Ci sono – infatti – due mancanze di speranza. La prima: Dio è grande ma io non sono capace; la seconda: potrei farcela ma Dio è latitante. La prima Maria la sperimenta a Nazareth, la seconda al Calvario. Quale delle due è peggio, più deprimente? Dipende dai caratteri. Sicuramente dai tanti “non temere” che ricorrono nella Scrittura sembra che la prima (non sono capace) sia la più frequente nel credente. Paolo ci aiuta: non bisogna confidare in se stessi ma «nella grazia di Dio che è con me». Maria è piena di questa grazia che la distoglie dal pensarsi inadeguata: lo sa benissimo che lo è, ma non importa. Per sperare nella grazia bisogna dimenticarsi.

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