Dal 17 al 21 luglio un gruppo di sacerdoti di Roma si è raccolto per un momento di riflessione e ritiro a Soraga in Val di Fassa con il cardinale vicario Angelo De Donatis, il quale ha ritratto alcuni elementi caratterizzanti del prete romano: la vicinanza verso la vita delle persone, la vita in comune, il generare nella fede e ultimo ma non meno importante l’avere “buon umore”: «un cuore buono è costante nella festa».
Quest’ultima caratteristica non è la semplice arte di sdrammatizzare, o la capacità da mattatore sagace, ma è cifra dello spessore umano e spirituale, il quale possiede una visione della vita. Grazie al “buon umore”, gli spazi delle convinzioni precettistiche e degli statuti perentori cromati di bianco e nero, si fondono in una sfumatura di chiaro scuro dove vi si scorge la Sapienza di Dio che si fa compassione, misericordia e ascolto accogliente nelle situazioni vissute.
Questi giorni di riflessione e di ritiro che vivono preti e parroci di prima nomina hanno avuto il sapore dell’ascolto: dell’ascolto dei sacerdoti. I momenti di condivisione, alternati con momenti di trekking dolomitico, sono stati fecondati da una domanda originante: cosa significa per voi corresponsabilità? Come avviene di norma, la domanda è più interessante delle risposte, in questo caso nel quesito è palpabile il voler sollevare un approccio alla questione della sinodalità, del discernimento comunitario, di una partecipazione attiva del laicato nella vita ecclesiale e parrocchiale. Pur ammettendo, senza paura, che si è impreparati davanti a tale sfida, questa fragilità e difficoltà ha fatto emergere una forza tipica della Chiesa che trova nuova vita proprio dalle doglie del parto.
Se la Donna vestita di sole soffre e grida per i dolori di partoriente generante (cf. Ap 12,2), molte sono state le voci dei vari presbiteri che hanno informato la grandezza di un momento, di un evento, di un kairos che la Chiesa sta vivendo. Un tempo kariologico dove la corresponsabilità sinodale si rende fattiva nella passione e nel desiderio di servire la persona, nell’apertura a riconoscere nessuna attività o realtà come la proprietà del singolo, nel rendere la parrocchia ambiente di casa e di famiglia, nel percepire l’identità di gruppo secondo le coordinate dell’inclusione nel reciproco arricchimento, nell’istaurare una conversione relazionale per cui quando cambio il mio punto di vista sull’altro sono io che guarisco dal peso di pregiudizi e preconcetti. Questi segni performativi di Corresponsabilità e Partecipazione sono la forza del prete, non perché può rendere la parrocchia più produttiva grazie ad un gran numero di adepti, ma perché ognuno riconosce l’altro Co-Responsabile ossia capace di rispondere con abilità. Essere capaci di dire a chi si ha di fronte: mi fido di te.
Corresponsabilità e partecipazione sembrano condurci verso il fine del nostro vivere e agire: l’unità dello spirito con il vincolo della pace (cf. Ef 4,3). La comunione nell’unico Spirito, creatore di comunità e particolarità è la diottria con cui approcciarsi alla vita pastorale ed ecclesiale, la quale pur senza complessità, non deve mai smettere di orientarsi al positivo, scorgendo il bello originale: sapere di essere amati da Dio (cf. Is 62,4). La scelta saggia della presenza di alcuni laici, figure professionali già collaboratori con la Diocesi, ha contribuito nella proposizione di un metodo insolito, dove è il prete ad essere ascoltato e non viceversa, dove è lui ad essere accolto come uomo senza paura del proprio umano, fatto di emozioni, fatiche, aspettative, paure e speranze. Ripartire dall’umano, darsi il permesso di essere uomini fino in fondo, rende il sacerdote attento alle istanze di ognuno che bussa alla propria porta e realizza il popolo sacerdotale espressione di comunione. Nel ventaglio dei sacrifici veterotestamentari vi erano gli zebah hashelammyim (cf. Lv 7,11) ossia i sacrifici di comunione, letteralmente i sacrifici pacifici. Tali modi di officiare il culto avevano l’intento di significare la comunione tra Dio e l’uomo poiché la vittima in parte era offerta e in parte consumata dai fedeli. Questo era espressione del senso del sacrificio chiarito dal verbo ebraico qarab avvicinare, da cui qorban offerta (cf. Mc 7,11): l’offerta del sacrificio rende vicini e prossimi. Il risultato di ogni azione pastorale non si esaurisce nel successo di numeri e statistiche, ma genera vicinanza che in questi giorni di condivisione ha assunto uno dei volti della poliedrica dimensione della sinodalità: l’amicizia.
Volere il bene e il porsi con tono amicale genera partecipazione attiva tra tutti i battezzati nel loro precipuo stato di vita, nella consapevolezza che la Chiesa non è un’azienda da portare aventi ma una famiglia da amare.
di don Andrea Valori
20 luglio 2023