Don Raffaele, 25 anni da fidei donum in Albania

Il vescovo Ricciardi e don Gagliardi

L’albero di ulivo piantato davanti alla parrocchia di “Zoja e Ngjitur në Qiell”, alla periferia di Tirana. Il giro in barca sul lago di Ocrida, nella Macedonia del nord, patrimonio dell’umanità. La visita alla Casa delle Foglie, il più recente dei musei albanesi, che fu sede del Sigurimi, il servizio segreto che operò negli anni della dittatura. La storia di Simone, detenuto per oltre trent’anni in un campo di concentramento. E le parole dell’arcivescovo Arjan Dodaj, di Sua Beatitudine Anastasios, dei sacerdoti e delle religiose impegnate con i bambini più poveri. Sono solo alcune delle visite e degli incontri significativi che hanno scandito il pellegrinaggio diocesano in Turchia, iniziato martedì e concluso ieri. Sono partiti in 32, con l’organizzazione dell’Opera Romana Pellegrinaggi, guidati dal cardinale vicario Angelo De Donatis; nel gruppo vescovi – Daniele Salera, Paolo Ricciardi, Dario Gervasi, Guerino di Tora, Valentino Di Cerbo –, sacerdoti e laici.

Nella giornata di venerdì, l’ultima prima di lasciare l’Albania, il gruppo romano è stato a Scutari. Qui ha festeggiato i 25 anni da fidei donum nel Paese di don Raffaele Gagliardi, che presta servizio dal 1997 nella parrocchia del Sacro Cuore di Scutari. «È un regalo che sia venuto questo gruppo da Roma, senza neanche che lo avessi chiesto io – racconta –, celebrare questa Messa con il cardinale e i vescovi nella parrocchia dove sono fidei donum da 25 anni. Le radici di Roma le sento molto forti, ho trovato qui una Chiesa cattolica molto legata a Roma I martiri, prima di morire, testimoniavano questa forte appartenenza, dicendo “Via Cristo Re, Viva il Papa, viva l’Albania!”. Questa zona del nord, dove celebro e svolgo il mio ministero, di Scutari è molto legata al Papa. Mi sento sempre molto sostenuto con le preghiere nel mio servizio qui. E ai fedeli romani voglio continuare a chiedere di pregare per quest’Albania, non avere pregiudizi».

«Il cammino di Pietro alla sequela di Gesù non si è rivelato facile – ha esordito il cardincale vicario nell’omelia della Messa celebrata a Scutari, tradotta come sempre in Albanese –, e nonostante tutto ha continuato a seguire il Signore, ma alla fine, di fronte al fallimento del suo maestro, si è nascosto, è fuggito, lo ha rinnegato. Questa è la fine della sequela di Pietro? Certo, con il suo rinnegamento Pietro mette fine a un modo di seguire Gesù, un modo in cui prevale la logica dell’uomo, le sue pretese, i suoi progetti. Questa conclusione sicuramente getta Pietro nello smarrimento e nello scoraggiamento. E forse con questi sentimenti nel cuore aveva ripreso con i compagni il mestiere di pescatore. Deluso, aveva gettato la rete nel lago, ma quella notte non presero nulla. Ma ciò che è fine per l’uomo è inizio per il Signore, perché il fallimento dell’uomo è il punto di partenza per un’opera nuovo di cui Dio solo può mettere la prima pietra. Ed è proprio quello che noi, visitando l’Albania, abbiamo potuto toccare con mano in questi giorni (…) Oggi, visitando il carcere dove sono stati rinchiusi tanti fratelli che hanno sofferto, pensando anche ai martiri di questa Chiesa, mi dicevo la stessa cosa: nel nome di Gesù Cristo hanno scoperto il proprio nome, la loro forza è stata quella di confidare nella pietra scartata che è diventata testata d’angolo. Cari fratelli e sorelle, possono esserci momenti della nostra vita in cui noi viviamo lo smarrimento, ma il Signore non ci abbandona, si ferma accanto a noi con la sua presenza discreta e ci dà fiducia, ci invita a gettare le reti e a non aver paura. A noi è chiesta una sola cosa: riconoscerlo con lo sguardo dell’amore. Allora lui si rivela a noi come il Signore, il Risorto, e la sua luce vince le nostre tenebre».

17 aprile 2023