La mattina di lunedì 27 gennaio, una delegazione della diocesi di Roma composta dal vescovo Paolo Ricciardi, da monsignor Marco Gnavi e, tra gli altri, da padre Sergio Cavicchia, parroco di San Saba, e padre Luigi Murra, parroco di Santa Maria in Portico in Campitelli, si è recata a Largo 16 Ottobre 1943, dove è stata accolta dal rav Riccardo Di Segni. Ad attenderli anche Marco Mosè Di Porto.
Nella ricorrenza della Giornata della Memoria si è ascoltato il salmo 130, recitato in ebraico dal Rabbino Capo e si sono deposti dei fiori ai piedi delle lapidi che ricordano l’orrore della deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz, dove giunsero stipati in carri bestiame, 1250 ebrei romani. Ne ritornarono solo sedici. Gli altri furono tutti inghiottiti dalla folle ferocia della Shoà. Settimia Spizzichino scrisse dei “milioni di anni di vita rubati” alle vittime innocenti del genocidio, mentre una delle due lapidi poste sul muro del Palazzo Vallati recita “e non cominciarono neppure a vivere” in ricordo dei neonati sterminati nei lager nazisti.
È stato un gesto umile, ma denso di significato. La tragedia del genocidio degli ebrei resta quale ferita dolorosa che inquieta le coscienze e non può essere dimenticata. Giacomo Debenedetti scrisse un piccolo volume, che narrava con passione e stupore gli eventi tragici dello Shabbat profanato dalle SS e da chi collaborò alla sciagurata cattura di donne, uomini, bambini, anziani. Non fu cronaca, ma storia, drammatica storia nel quadro di un’Europa travolta dalla guerra e dall’utopia malefica e antisemita del Terzo Reich. I discendenti dei sopravvissuti e noi che siamo vivi, cristiani ed ebrei, sentiamo il dovere della memoria. Il dovere della difesa della vita. Perché occorre vivere nella storia e non fermarsi alla cronaca, perché il futuro sia migliore.
27 gennaio 2025