Il Santo Padre ha promulgato in data primo ottobre il motu proprio “La vera bellezza” riguardante la ripartizione del territorio della diocesi di Roma.
Di seguito il testo integrale, che può essere anche scaricato nella sezione Archivio Documenti del nostro sito internet.
La vera bellezza è Cristo e in Lui la Chiesa contempla il suo unico centro. Il Bel Pastore è l’unico punto di convergenza dal quale ha origine e si irradia ogni meraviglia e ogni splendore. Ogni battezzato che attraversa la Città Eterna è chiamato a riscoprire e a sentirsi parte di questa bellezza e centralità, che porta il profumo dell’accoglienza e la veste splendida della carità. In questa prospettiva, desidero rafforzare la percezione unitaria e sinodale della Diocesi di Roma a partire dalla sua conformazione geografica, che possa meglio esplicitare il senso autentico della sua centralità e della sua bellezza.
Per molti secoli la città di Roma si è raccolta all’interno delle Mura aureliane e il ridotto numero di abitanti ha permesso che la Chiesa di Roma fosse concepita come un’unica dimensione organizzativa facilmente gestibile.
A partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, Roma ha vissuto un’espansione tale da renderla, per densità, una delle metropoli più grandi d’Italia. Ciò che per secoli ha rappresentato l’intera città di Roma man mano è diventato il solo “centro storico” circondato da tanti quartieri definiti “periferici”.
Tutto ciò, a partire dai primi anni ‘60 del secolo scorso, ha portato a una complessa organizzazione diocesana capace di fronteggiare le esigenze pastorali dettate dalla tanto rapida quanto grande espansione cittadina. Nasceva così l’odierna suddivisione della Diocesi in cinque Settori, al cui interno si trovano quelle che rappresentano le parti in cui concretamente e realmente è suddiviso il territorio della Diocesi, ossia le Parrocchie raggruppate in Prefetture.
Tale impostazione ha avuto sicuramente il pregio di assistere spiritualmente e pastoralmente i vari quartieri – specie le periferie – tramite l’edificazione di Parrocchie e luoghi di culto, con la possibilità di organizzare il clero e di garantire a presbiteri e popolo una presenza apostolica vicina nella figura del Vescovo ausiliare, capace di occuparsi dei problemi concreti del singolo Settore (cfr. Motu Proprio Romanae Urbis, 1966)
Anche la pastorale d’ambiente, caratterizzata sia dalle attività caritative sia dall’assistenza spirituale nelle strutture preposte (si pensi alle cappellanie ospedaliere) e nei diversi contesti che popolano la città ha saputo organizzare un’ottima rete nei Settori periferici. Con l’incremento della mobilità non è mancata la pastorale dei pellegrini e del turismo, trasformando sempre più il centro storico (divenuto Settore Centro) in un grande santuario a cielo aperto, dando origine a quelli che oggi sono conosciuti come itinerari della Roma cristiana per pellegrini e per turisti.
Tuttavia, l’effetto collaterale che a lungo andare ha toccato la Diocesi nel tentativo di adeguarsi all’espansione dell’agglomerato urbano è stato quello di vedere una sempre maggiore differenza e separazione tra il centro di Roma e le periferie. Molte zone periferiche e di conseguenza molte Parrocchie, pur essendo configurate all’interno del Comune e della Diocesi di Roma, non sono state curate con l’attenzione alla bellezza e all’identità che caratterizza Roma; viceversa, il centro storico, che costituisce una buona parte del “Settore Centro”, si è sempre più “isolato”, rischiando di diventare un luogo a sé stante e nascosto, che vive dimensioni pastorali legate alla carità verso i molti poveri che abitano il centro di Roma e ad antichissime devozioni, tutte testimonianze che necessitano di essere aperte alla città intera, affinché questa non diventi un museo da visitare, bensì un luogo che possa manifestare e diffondere tutta la santità di Roma.
Un altro effetto collaterale è l’intreccio che si è andato a costituire tra Diocesi e Comune di Roma, in riferimento alle periferie e al Centro storico. Spesso le periferie denunciano l’assenza di adeguati servizi e trovano nelle Parrocchie, ben radicate sul territorio, un valido supporto sociale e culturale, oltre che spirituale e pastorale. Al contrario, se per il Comune di Roma è chiara l’identità e la finalità del centro storico, meta di turismo e di pellegrini per cui si è sempre pronti a investire, la Diocesi ha avuto delle difficoltà a impostare una pastorale efficace, capace di cogliere le esigenze spirituali di una popolazione caratterizzata prevalentemente, ma non solo, da pendolari, commercianti e turisti.
Lo svuotamento residenziale del centro storico ha modificato la pastorale ordinaria del Settore, che ha visto una lenta ma inesorabile riduzione del numero di Parrocchie, oggi solo trentacinque in un territorio molto vasto e ciascuna con un afflusso di parrocchiani molto inferiore rispetto alle Parrocchie degli altri Settori. La mancanza di una pastorale alternativa ha determinato nel tempo la ridotta accessibilità di molte chiese o luoghi di culto, ricchi di storia, di arte e di fede. Esiste dunque un patrimonio dall’alta potenzialità da tempo in giacenza che chiede di essere ripensato e messo a servizio del popolo di Dio.
L’insieme di queste criticità ha portato la Diocesi ad attribuire al Settore Centro un’importante valenza “logistica”, legata anche alle molte Istituzioni che vi hanno la propria sede, non riuscendo ancora a sviluppare, tuttavia, quella dimensione pastorale che le è propria: in esso sono state concentrate le residenze di molti enti, collegati anche alle tante Rettorie presenti sul territorio, molte di queste antichissime e veri e propri scrigni preziosi di bellezza e di spiritualità, le cui finalità solo in rari casi hanno incidenza sulla pastorale concreta della città nel suo insieme. Pur non mancando molte belle e positive esperienze di vita sacerdotale e comunitaria pienamente inserite nella vita pastorale del centro storico di Roma, spesso il clero destinato al Settore Centro è solamente residente in strutture di culto, vivendo poi il proprio ministero in altri incarichi o uffici.
A motivo di tutto ciò, nel grande contesto del cambiamento d’epoca che tutti stiamo vivendo, nell’imminenza del Giubileo diventa necessaria e improrogabile una rilettura del senso pastorale da attribuire alla presenza sul territorio da parte della Diocesi di Roma.
Alla luce dei numerosi interventi, delle richieste già avanzate e di un lavoro iniziato da tempo, dispongo che vengano ridefiniti i confini delle Prefetture in cui è suddivisa oggi la Diocesi di Roma, affinché siano armonizzati i contesti di riferimento e le Parrocchie che vi appartengono. Sarà un percorso che richiederà alcuni mesi di lavoro. In tale prospettiva e nel tentativo di suscitare un sempre maggiore spirito di comunione ecclesiale, con la speranza di meglio integrare periferie e centro storico, dispongo che le attuali cinque Prefetture del Settore Centro siano incluse negli altri Settori, riducendo l’organizzazione territoriale della Diocesi di Roma solo in riferimento ai quattro punti cardinali. I quattro Settori, in base alla posizione geografica, includeranno le cinque Prefetture e le trentacinque Parrocchie presenti sul territorio del Settore Centro. Nello specifico, rispetto a quanto fu stabilito dal Decreto del Cardinale Vicario in data 11 marzo 1966 e successive modifiche, dispongo che: il Settore Nord includa la Prefettura IV, il Settore Est includa la Prefettura V, il Settore Sud includa la Prefettura III, il Settore Ovest includa le Prefetture I e II. In questo orizzonte non ci sono più un centro isolato e una periferia divisa in compartimenti separati, ma, in una visione dinamica che prevede non muri ma ponti, la Diocesi di Roma sarà concepita come un unico centro che si espande attraverso i quattro punti cardinali. In questa prospettiva, il venir meno dei confini del Settore Centro non significa affatto chiuderlo, come potrebbe sembrare in apparenza, bensì aprirlo. Desidero, infatti, che con questa decisione sia esaltata la specificità pastorale del centro storico di Roma in un’identità diocesana. Questo favorirà anche in seno al Consiglio Episcopale condivisione di lavoro e unità d’intenti su un’area della città così nevralgica.
Con l’auspicio di sciogliere la tensione bipolare che nel tempo si è innestata nella percezione sociale ed ecclesiale tra centro storico e periferie, mi preme richiamare proprio i “quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale”, desunti a suo tempo dalla Dottrina Sociale della Chiesa e menzionati in Evangelii Gaudium, in riferimento alla realizzazione del bene comune e della pace sociale (EG 217-237): 1) Il tempo è superiore allo spazio; 2) La realtà è più importante dell’idea; 3) L’unità prevale sul conflitto; 4) Il tutto è superiore alla parte.
All’interno di questi quattro principi desidero rendere esplicite le motivazioni teologiche e pastorali sottese a questa riconfigurazione territoriale.
1) Il tempo è superiore allo spazio
Ogni sforzo pastorale ha l’obiettivo di preparare, assecondare e custodire l’incontro personale tra Dio e la creatura umana. La Rivelazione stessa, per sua natura, ha una tensione sacramentale che trova la sua più alta realizzazione nell’incontro personale con Cristo. A questa ambiziosa vetta tende tutto il dinamismo pastorale ed è questo il centro bellissimo da raggiungere, da contemplare e da custodire. C’è un tempo per desiderare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per contemplare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per custodire l’incontro con Cristo. È chiaro che questo incontro, per i limiti della percezione umana, ha bisogno di uno spazio per realizzarsi, ma lo spazio è solo lo scenario in cui si gioca il tempo dell’incontro, poiché “il tempo è superiore allo spazio”.
Tuttavia, mentre l’Eterno entra nel tempo, il tempo fatica a entrare nell’eternità; analogamente, i ritmi lavorativi dell’approvvigionamento, dell’apprendimento o dello svago, non sono più in armonia con i ritmi cosmici della natura e delle stagioni. Se i pastori non si rendono conto che il cambiamento d’epoca richiede una rimodulazione anche dei ritmi sacramentali e pastorali, il rischio è di risultare sterili. Occorre tenere conto dei ritmi del Popolo di Dio che abita in un determinato territorio parrocchiale e di orari più compatibili con i tempi di una famiglia.
Più ci si allontana dal centro storico e più i quartieri assumono delle conformazioni proprie che abbattono le radici e spersonalizzano l’ambiente: i grandi quartieri della periferia romana, così come sono, potrebbero trovarsi in qualunque altra città. Ora, facendo confluire il Settore Centro negli altri Settori, significa rendere partecipi il Nord, l’Est, il Sud e l’Ovest di tutta la storia del cristianesimo a Roma. Significa che le riunioni, le celebrazioni, gli incontri di Settore possono arricchirsi di luoghi e di spazi antichi, capaci di rendere esplicite le profonde radici che fondano l’identità dei credenti romani. Soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni, vivere in un quartiere periferico comporta un maggiore sforzo nel comprendere le radici e le ragioni della nostra identità di cristiani di Roma, di appartenenti a un popolo fondato sul sangue dei martiri e sulle virtù dei santi. Per questo, anche nella Diocesi di Roma la nuova evangelizzazione non può prescindere da un’accorta e ponderata pre-evangelizzazione, che con santa pazienza sia capace di bonificare il terreno da eventuali pregiudizi, ma anche di mostrare pazientemente ciò che per abitudine diamo per scontato. Nella società romana odierna non possiamo più dare per assodato il senso della partecipazione e dell’appartenenza ecclesiale. Il pellegrinaggio da sempre è lo strumento spirituale che pone meglio il tempo al di sopra dello spazio. Scegliere di visitare un luogo sacro, un luogo che sta lì e che attende solo di essere visitato, significa dedicargli tempo, significa fare memoria, significa ascolto, significa scegliere autonomamente di porsi in cammino per incontrare Dio. Il centro storico, con i suoi luoghi di culto carichi di arte, con i suoi santuari traboccanti di reliquie e testimonianze storiche, con le sue tradizioni e le sue usanze può essere un valido alleato nell’opera di consolidamento dell’identità cristiana degli stessi battezzati dell’Urbe. Le porte del Giubileo, prima ancora di essere occasione d’incontro con i pellegrini provenienti da tutto il mondo, devono essere meta di pellegrinaggio per gli stessi romani. La preparazione al Giubileo per le Parrocchie di Roma non si deve fermare a valutare quante persone, quanti pellegrini possono essere ospitati in vista del raduno mondiale dei giovani. Bisogna prepararsi a sentirsi parte di una storia carica di luce e di bellezza, e pronti ad accogliere e condividere tale bellezza in un senso più profondo.
Il centro storico di Roma è una miniera di pellegrinaggi capaci di arricchire e coprire la scansione dell’intero anno liturgico di una Parrocchia della periferia romana. Esperienze di pellegrinaggio urbano, come la “Corona di Maria” o la “visita delle Sette Chiese” sulle orme di San Filippo Neri o la visita alle catacombe e al Verano nel mese dei defunti, la visita a Piazza di Spagna nel giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione, il pellegrinaggio verso la Sacra Culla custodita a Santa Maria Maggiore nel tempo di Natale, la visita alle antiche Stationes nel tempo di Quaresima, la visita alla Scala Santa e a Santa Croce in Gerusalemme nella Settimana Santa, la scoperta di tante icone mariane nel mese di maggio e di ottobre, sono solo alcune delle esperienze che un battezzato romano dovrebbe poter vivere annualmente. A queste andrebbero aggiunte le catechesi tramite l’arte, mettendo a disposizione tutto il patrimonio artistico custodito nelle chiese del centro storico di Roma.
2) La realtà è più importante dell’idea
Roma ha un fascino unico ed è giustamente considerata una delle città più belle del mondo. Proprio in riferimento all’arte e alla monumentalità dell’Urbe, mi preme aprire una riflessione sul significato autentico della bellezza e credo sia opportuno farlo alla luce del secondo principio per cui “la realtà è più importante dell’idea”.
«La bellezza salverà il mondo»: Dostoevskij ha profondamente ragione, ma quale bellezza?
Sono convinto che la bellezza salverà il mondo solo se la Chiesa riuscirà a salvare la bellezza; salvarla dalle manipolazioni ideologiche del falso progresso e dalla sottomissione al commercio e all’economia, che spesso la riducono a “specchietto per le allodole” o a bene di consumo effimero. Se dovessimo guardare Roma solo per la bellezza delle sue opere d’arte o per la monumentalità suggestiva dei suoi ambienti, rischieremmo di ridurre la bellezza a uno scatto fotografico, a un istante capace di suscitare solo delle sfuggenti emozioni da immortalare. Non è questa la bellezza che la Chiesa riconosce a Roma. Se Gesù Cristo è la vera bellezza, se la bellezza del Signore sta nell’armonia tra la sua unicità, la sua verità e la sua bontà, anche Roma va vista nella profondità di questa armonia. Dietro ogni opera d’arte presente in una chiesa si nasconde una catechesi, dietro ogni monumento della Roma cristiana si nasconde un messaggio da decifrare e discernere. Ma per poter trasmettere questi contenuti di autentica bellezza, prima bisogna sperimentarli. Andare oltre i confini del Settore Centro aiuterà i cittadini romani a innestare ponti di meraviglia, mossi dall’attrattiva che la bellezza porta in sé.
La prima nota da indicare nella classifica delle bellezze che compongono Roma sul versante cristiano e diocesano è la sua vocazione materna ad accogliere e a nutrire. Tutta la città, e non solo il centro storico, è manifestazione della concreta maternità della Chiesa che accoglie nel miglior modo possibile i suoi figli, pellegrini da ogni dove. Una madre è bella perché dedita alla cura dei suoi figli e ha occhi speciali per i figli più fragili che la rendono ancora più bella. La fragilità è un’altra manifestazione della bellezza che ci impone attenzione. Più ci prendiamo cura delle fragilità e più risultiamo belli. Pensate a quanti sforzi la Roma cristiana ha fatto nella storia per accogliere i pellegrini. Pensate al sorgere degli “ospitali” nei pressi delle grandi Basiliche, concepiti primariamente per lenire le fatiche dei pellegrini e poi diventati “ospedali”, luoghi per la cura dei più fragili, come ci insegna l’esperienza di San Benedetto Giuseppe Labre, che, insieme con San Camillo De Lellis e San Luigi Gonzaga, possono essere considerati modelli di questa bellezza.
È vero che sul fronte della carità si deve sempre crescere e migliorare, ma bisogna riconoscere che Roma è bella anche perché sa prendersi cura dei suoi poveri, per questo ringrazio i tanti operatori e volontari che, con autentico spirito evangelico, hanno reso Roma una città sensibile alle esigenze dei bisognosi, soprattutto nel Centro Storico. A tal proposito, esistono nel Centro di Roma tante realtà aggregative – ispirate all’opera di Santi e Beati – facenti capo a molte confraternite o enti affini. Essi, oltre a nutrire la devozione, si occupano della cura dei più deboli sotto vari punti di vista. Queste belle realtà, a volte nascoste o limitate al centro di Roma, è bene che vangano conosciute, incrementate e sostenute da tutta la Diocesi. Per tale motivo ho anche voluto nominare un Vicario Episcopale specifico a cui fare riferimento per gli Enti e le Rettorie. Nutrire non è soltanto offrire le cure essenziali per la sopravvivenza, ma anche spalancare le finestre dell’eternità per permettere a tutti di respirare l’aria buona del Vangelo, con ogni mezzo e in ogni spazio. San Filippo Neri, nel prendersi cura dei più piccoli e poveri della città, è modello di bellezza nella creatività evangelica, capace di suscitare un’occasione di stupore e d’incontro con Dio a partire da ogni scorcio della Roma del suo tempo. Proprio San Filippo è stato uno dei primi a rendersi conto che i romani stessi dovevano fare esperienza dei tesori spirituali e artistici di Roma, trovando in essi la forza di elevare la loro esistenza verso i beni eterni.
3) L’unità prevale sul conflitto
“L’unità prevale sul conflitto” è il principio su cui si fonda il primato petrino. Se la persona del Papa, Vescovo di Roma, è segno visibile dell’unità della Chiesa, questo principio deve potersi ritrovare con immediata visibilità in ogni realtà della Diocesi. Roma, unita in ogni sua parte con la forza dello Spirito Santo, è modello di comunione per l’intero mondo cristiano. Già San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi ci suggerisce che le divisioni e le appartenenze frammentate costituiscono uno scandalo e un affronto alla comunione: «Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Co 3,4-7). Senza rinnegare il tempo in cui una rigida separazione dei confini settoriali ha avuto la sua proficua necessità, bisogna riconoscere che oggi non ha più senso moltiplicare appartenenze e adesioni a subculture che invece di rafforzare l’unità diocesana spesso alimentano conflitti. Non possono esistere “feudi” nella divisione dei territori dal punto di vista ecclesiale. Ridurre la Parrocchia a microcosmo è un peccato verso l’unità e la comunione diocesana, ridurre le comunità a subculture a sé stanti è un peccato contro la comunione ecclesiale. Ciò vale per tutte quelle realtà o movimenti ecclesiali che preferiscono spendere energie marcando differenze, piuttosto che salvaguardare l’unità della Diocesi. Roma è un’unica grande casa in cui tutti – romani e non – dobbiamo sentirci “a casa”, accolti come pellegrini.
4) Il tutto è superiore alla parte
L’ultimo principio non può che essere la sintesi conclusiva della lettura di questa riconfigurazione del territorio diocesano: “il tutto è superiore alla parte”. Il Sinodo sulla sinodalità ha profondamente ispirato queste mie considerazioni, che si radicano in un ormai decennale ascolto dei Vescovi Ausiliari di Roma, succedutisi nel tempo, unito al grido della Città, infatti l’ascolto del Vescovo è rivolto innanzitutto al Popolo fedele di Dio, che si è espresso nelle tante assemblee parrocchiali e diocesane dei cui resoconti ho preso visione in varie circostanze. Il dinamismo sinodale della Chiesa deve essere assecondato e deve permettere un’agevole fluttuazione all’interno dell’unica cornice solida, che è la Chiesa particolare, la Diocesi. In un mondo in cui con tristezza sentiamo ancora parlare del bisogno elitario ed egoistico di erigere muri di separazione e di contrasto, la risposta della nostra Diocesi è quella di gettare ponti. Ponti su cui possa scorrere agevolmente la comunione ecclesiale che ci rende tutti, uno per uno e tutti insieme, appartenenti solo a Cristo Risorto e alla sua Chiesa; così come il sangue dei martiri Pietro e Paolo, che dal cuore irrora tutto il corpo della nostra Diocesi.
Maria, Madre della Chiesa e Salus Populi Romani, sia l’immagine chiara della nostra sinodalità diocesana. Sebbene esistano tante icone, tanti santuari, tante Parrocchie a Lei dedicate, ciascuna con un suo proprio titolo, Maria è una sola.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 1° ottobre 2024, Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa, Patrona delle Missioni.
Francesco