Stringe nel pugno destro un sacchetto di cartone mentre si dirige zoppicando all’ostello Caritas “Don Luigi Di Liegro”, in via Marsala. Dentro, un piumino scuro e le scorte per il suo cammino quotidiano tra le vie della città. È sera, la temperatura sfiora i tre gradi, quando Mimmo, napoletano, rientra in quella che definisce la sua “casa”. Occhiali spessi, baffi lunghi e un’insolita allegria, che conserva nonostante sia stato messo ai margini dalla vita. «Qui, però, adesso ho una famiglia». Lo dice poco dopo aver premuto il tasto dell’ascensore per raggiungere la sua stanza. «Mi aspetti, voglio parlare», dice al cronista.
La hall della struttura, a due passi dalla stazione Termini, è un vero e proprio porto di mare. Nel buio della sera ritornano i tanti senza fissa dimora, accolti dopo le loro giornate impegnate a cercare di raddrizzare la rotta. All’ingresso, un grande albero di Natale, nei corridoi le decorazioni, le ghirlande. «Qui viviamo davvero un amore e una condivisione con le persone accolte», spiega un volontario. Sono 185 quelle che dispongono di un alloggio, tra le 17.30 e le 8.30 del mattino successivo. Per la maggior parte sono italiani che perdono il lavoro e non riescono a reimpiegarsi ma sono numerosi anche gli stranieri che non hanno trovato nel nostro Paese la fortuna sperata. Il tentativo degli operatori è quello di far vivere loro un Natale in famiglia. Anche se per molti «è un nervo scoperto», come ammette Lorena, ospite della struttura da sei mesi.
Domenica 24 dicembre, alle 17, presiederà la celebrazione eucaristica il vicario del Papa per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis. Sono attesi sia il sindaco della Capitale Virginia Raggi, sia il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Poi la cena insieme. E l’attesa della mezzanotte giocando a tombola. I volontari porteranno un dono da assegnare ai vincitori. Ma ciò che importa è «l’atmosfera che si viene a creare durante la serata. Un’atmosfera che contrasta con la solitudine che vivono molte delle persone che alloggiano qui. Cerchiamo di dar loro il calore che potrebbero ritrovare nelle loro case», spiega Luana Melia, coordinatrice dell’ostello.
L’attività degli operatori è continua. Alcune suore lavano e curano i piedi dei senza fissa dimora. Altri volontari si dedicano a sistemare le stanze o le scorte di indumenti che distribuiranno. Una vera e propria macchina ben rodata, di cui Tina, 91 anni, è la mascotte. Il suo servizio è cominciato nel 1987, al fianco di don Di Liegro. «Un giorno stavo sistemando le scarpe con le suole rovinate. Me le fece buttare perché troppo consumate. Le comprò lui ai poveri», ricorda passando in rassegna vari momenti vissuti in quegli anni. Come il giorno in cui fece la doccia con una donna che non voleva lavarsi. «Fu il massimo della condivisione». Tina è tornata nei locali di via Marsala dopo due mesi. Ha combattuto contro una malattia, ma non lo ha detto agli altri volontari, perché «non devono distrarsi dal loro impegno».
Nel corridoio principale che conduce alle stanze cammina Alfredo, 62 anni, ospite della struttura negli ultimi 18 mesi. Con la sua stampella arranca verso il fondo. In passato ha lavorato in un’impresa di pulizia, poi il licenziamento, la ricerca di un nuovo lavoro, l’impossibilità di trovarlo e di pagare l’affitto. «Ho vissuto per strada per molto tempo, ho dormito nelle stazioni. La strada non fa sconti, ti trovi ad affrontare tante difficoltà, come il freddo e l’indifferenza della gente», racconta con gli occhi lucidi. Finché non è stato ospitato dalla Caritas. «Qui ho trovato una seconda famiglia, sto bene. Mi sono sempre tirato su le maniche e ho camminato a testa alta. Sarà un Natale comunque bello».
Nella sua vita precedente Lorena, 58 anni, non avrebbe mai pensato di dormire lontano da una casa. Laureata, con un lavoro ben avviato a contatto col pubblico, si è scontrata con il colpo di coda della crisi. «Quando ci si ritrova per strada non c’è mai solo un motivo – spiega -. Avevo una società con diversi dipendenti. Mi occupavo anche di arredamento a livello estero. Poi, con la crisi è cominciato il tracollo e per una donna sola le difficoltà sono sempre maggiori». Dal cancello si dirige verso la hall, Erika, 35 anni. Rientra dopo una giornata in cui ha lavorato da badante. Un impegno saltuario. Giunta in Italia da tre anni dall’Ucraina, non è riuscita a trovare un lavoro, nonostante la sua laurea da avvocato. Conserva la sua scala di priorità: «Prima il lavoro, poi la casa, poi la famiglia». E lo dice «senza sognare. Ormai conosco bene la realtà». L’ora di cena si avvicina, riecco Mimmo, pronto ad andare a mensa. «Ho fatto tante cose nella mia vita. Anche la pizza. Una sera vorrei prepararla per tutti. Ci venga a trovare, non se ne pentirà».
21 dicembre 2017