Il “Sinodo di tutti”, in ascolto dei poveri

Il 18 settembre scorso, incontrando la diocesi di Roma, Papa Francesco ha chiesto di vivere il Sinodo come «un dinamismo di ascolto reciproco, condotto a tutti i livelli di Chiesa, coinvolgendo tutto il popolo di Dio». Venerdì 18 febbraio la Comunità di Sant’Egidio, stimolata dall’invito di Bergoglio, ha passato la parola ai poveri. Nella basilica di Santa Maria in Trastevere si è svolta l’assemblea sinodale sul tema “Sinodo di tutti, nessuno escluso” durante la quale persone diverse per età, per esperienze di vita, per appartenenza geografica e fede professata hanno offerto spunti di riflessione, sollevato tanti quesiti, chiesto una Chiesa più inclusiva, «portando una ventata di aria nuova e fresca alla Chiesa di Roma», ha detto il vescovo Benoni Ambarus, delegato diocesano per la Carità. L’incontro è stato anticipato nelle scorse settimane dalle riunioni di «piccoli gruppi pre-sinodali – ha spiegato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo -. Il Papa ha ispirato la Comunità a impegnarsi ancora di più nell’ascolto reciproco e ad aprire un percorso sinodale. L’assemblea non è ristretta ai membri della Comunità, che come noto è un ristretto molto allargato, senza barriere e senza frontiere. Vuole essere un incontro di comunione e partecipazione aperto a tutti».

Dopo l’invocazione allo Spirito Santo recitata da monsignor Ambarus, al microfono si sono alternati gli anziani, i disabili, i migranti, ex senza dimora, tutti mossi dal desiderio di condividere la propria esperienza nella Chiesa dove, hanno rimarcato, hanno sì trovato sempre accoglienza e conforto ma si deve ancora lavorare perché ci sia spazio per ogni essere umano. «Non bisogna essere accolti solo perché portatori di bandiere della sofferenza – ha detto Giulia, disabile di 34 anni -. Bisogna superare questo atteggiamento e aprire le braccia a tutti in quanto ognuno ha un valore inestimabile». La malattia è stata al centro anche dell’intervento di Sofia, 88 anni, che si è soffermata sullo smarrimento provato da tanti anziani soli difronte alle sofferenze fisiche. «La malattia induce a chiedersi cosa si è fatto di male per meritarsi tanto dolore – ha detto -. Domande che cadono nel silenzio. Gli anziani sono un grande tesoro della Chiesa e vanno valorizzati». Edda, 86 anni, ha proposto a tutte le comunità parrocchiali «di prendersi cura degli anziani che vivono da soli per permettere loro di rimanere nelle proprie abitazioni» senza costringerli a rinchiudersi in un ospizio, «dove ci vuole maggiore assistenza pastorale e religiosa. A causa delle restrizioni per il Covid, nelle Rsa tantissimi anziani non partecipano alla Messa e non ricevono la comunione da due anni». Durante il suo intervento per un lapsus ha ringraziato per il Sinodo «“papà” Francesco». Si è corretta, ma Ambarus l’ha invitata a mantenere il termine «”papà” perché dalle testimonianze è emerso che oggettivamente si è colto il cammino sinodale non come un compito da fare ma come un dono da ricevere da “papà” Francesco, che offre a tutti la possibilità di essere ascoltati e di ascoltarsi». A proposito della terza età, poi, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, ha comunicato che «da mercoledì prossimo, e forse fino a fine giugno, Papa Francesco aiuterà la Chiesa a riflettere sulla vecchiaia».

Un Sinodo, quello voluto da Bergoglio, che Ivan, disabile di 24 anni, vive come «un colpo di scena» nel suo cammino di fede iniziato da poco. Battezzato da alcuni mesi, ha auspicato una «Chiesa sempre più famiglia, dove ognuno trovi posto per vivere la dignità di figlio di Dio». Azza, musulmana, mediatrice culturale per la Comunità di Sant’Egidio, si è concentrata sul valore della carità nella Chiesa. Questo è anche «uno dei pilastri dell’Islam, ma i musulmani vivono la carità soprattutto nel mese del Ramadan». Dai cristiani, che l’hanno accolta «appena arrivata in Italia dall’Algeria» e che continuano a sostenerla, ha imparato «a vivere la carità nel quotidiano non solo in teoria ma nella concretezza». Dalle testimonianze emerge che «non possiamo rinunciare al fatto che la Chiesa sia la madre che accoglie», ha concluso monsignor Ambarus, invitando i presenti a portare le proprie esperienze nelle parrocchie di appartenenza «per aiutare la Chiesa di Roma a rinfrescarsi».

 

Da Romasette.it

Articolo di Roberta Pumpo