L’elezione dei catecumeni, un nuovo inizio

Foto di Cristian Gennari

Sabato 5 marzo, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il cardinale vicario Angelo De Donatis ha presieduto la Messa con il rito dell’elezione dei catecumeni. Un rito nuovo ed emozionante per i catecumeni, ma sa di antico. A San Giovanni in Laterano ci sono Larissa e Laura, Davide e Fabio che esibiscono la loro fame di fede, dietro a loro però si intravede la lunghissima schiera di persone che ha compiuto gli stessi passi in tempi vicini e lontani. Ci sono Pietro e Andrea che mollano padre, barca e reti per incamminarsi verso una promessa sventolata sotto il loro naso da un sedicente Messia-falegname di Nazareth, c’è Francesco che in quel di Assisi gira le spalle alle ricchezze di famiglia, c’è Ignazio il guerriero di Loyola che sceglie di combattere una battaglia mai combattuta fino ad allora. Soprattutto, c’è lui l’Arameo Errante, colui dal quale Mosè fa partire la professione di fede pronunciata da ogni israelita come ricorda la prima lettura della prima domenica di Quaresima: il capostipite, che lascia Ur, lì sul golfo Persico per arrivare dopo mille peripezie nel Paese della promessa.

È struggente pensare ad un papà e una mamma che rispondono alla chiamata alla fede per il loro neonato, ma nulla è suggestivo come assistere ad una scelta fatta consapevolmente, in prima persona. Ogni catecumeno ha la sua storia, ad ognuno – sottolinea il Cardinale vicario, Angelo De Donatis, che presiede la cerimonia – Dio ha toccato le corde del cuore in modo diverso, perché qui uno davvero vale uno, anche se ora si trova in compagnia di tanti altri sulla soglia di quella Chiesa di cui chiede di far parte. C’è chi ha iniziato il percorso cercando un cellulare perso e insieme a quello, in una chiesa di Fondi, ha trovato la fede e c’è chi invece l’ha fatto in modo classico, lungo il cammino di Compostela, anche se molti segnali avevano già attraversato la sua strada. Ed ora sono tutti qui, nella seconda tappa di un rush finale che li porterà la notte di Pasqua al traguardo, che poi altro non è che un nuovo inizio. Il rito dell’elezione e dell’iscrizione del nome: una sorta di green pass rafforzato a certificare che la scelta di cominciare questo viaggio non è stato solo un impulso momentaneo.

Ecco, nella mano che il padrino e la madrina sono chiamati a mettere sulla spalla del proprio ‘protetto’ c’è un invisibile testimone, che un altro staffettista tempo addietro ha affidato a loro. Un passaggio di consegne emozionante, per chi lo riceve e chi lo fa, e allo stesso tempo straordinario. Scorrono davanti agli occhi, accompagnate dalla voce del celebrante, le immagini di tutti i corridori che ci hanno preceduto. Riavvolgendo fotogramma dopo fotogramma il film che si è dipanato in millenni di storia, arriviamo ad Abramo, anzi ad Abraham, il nuovo nome scelto per lui da Dio. C’è un filo rosso che lega le tante storie di oggi alla Storia con la maiuscola, lo stesso filo che unisce il momento del congedo degli eletti subito dopo l’omelia alla stessa identica situazione vissuta secoli fa da Agostino e da tanti altri catecumeni come lui. Noi e loro: insieme in questa basilica, un’unione che è musica pura. Il cielo sfavilla di stelle. Impossibile contarle: innumerevoli come noi, discendenti di Abramo.

di Antonella Coppari

Leggi l’omelia del cardinale vicario

8 marzo 2022