Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Baldassare Reina, nella Messa presieduta questa mattina nella basilica di San Giovanni in Laterano con l’ordinazione dei diaconi permanenti
La celebrazione che stiamo per vivere si colloca alla fine dell’anno liturgico; un tempo di grazia che il Signore ci ha regalato per contemplare i misteri della sua vita, morte e risurrezione e del suo passaggio costante in mezzo a noi. Insieme ai credenti sparsi su tutta la terra abbiamo avuto la possibilità di camminare alla luce della Parola, di confrontarci con mete e ideali che conosciamo e che tuttavia, talvolta, ci sembrano distanti dal nostro vissuto, di alimentare la speranza di una vita pienamente conforme a quella del Maestro. Adesso, giunti alla fine di questo itinerario annuale, siamo chiamati a fare sintesi, a sapere esattamente cosa il Signore si aspetta da noi e ad afferrare con chiarezza quale sia il fine esatto della nostra vita. Potremmo dire che alla fine di un anno ci viene ribadito il fine di tutta la nostra esistenza. E questo è molto bello!
Le letture che sono state proclamate convergono nel presentarci il motivo che giustifica la nostra esperienza credente. Le riprendo almeno nei passaggi più importanti mantenendo sullo sfondo il dono di questi nostri fratelli che a breve saranno ordinati diaconi, diventando così segno di Cristo servo per tutta la nostra Diocesi.
Nel brano del Vangelo Gesù si confronta con i suoi a seguito della richiesta della madre dei figli di Zebedeo: “Di che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. La tentazione del potere, della visibilità, del sentirsi importanti o dell’essere percepiti tali si annida nel cuore di tutti. Gli altri discepoli che ascoltano tale richiesta si indignano nonostante nella risposta Gesù avesse provato a farli ragionare sul fatto che c’era un calice di sofferenza da bere. A questo punto Gesù se li mette accanto e con dolcezza ferma ricorda che ai suoi discepoli è chiesto un modo di vivere e di essere differente da tutti gli altri. Alcuni dominano, altri opprimono o comandano, “però tra voi non sia così”. Tra voi non sia così. Cioè, io vi ho chiamati alla fede cristiana, al sacerdozio, al diaconato, all’episcopato perché con umiltà impariate e testimoniate un modo diverso di essere e di manifestarvi. Se vuoi comandare allora inizia a servire e se aspiri a diventare il primo diventa schiavo di tutti. Parole chiarissime, forti. Su queste poche parole si fonda la nostra identità. Noi siamo come tutti gli altri ma in virtù della fede e dell’accoglienza di Dio nella nostra vita siamo chiamati ad essere diversi da tutti altri. Non perché migliori ma diversi perché abbiamo accolto una logica che è diversa. A partire dal giorno del nostro battesimo abbiamo accolto la logica di Dio che è una logica capovolta rispetto a quella del mondo. Il mondo cerca la potenza, Dio l’umiltà; il mondo cerca il potere, Dio il servizio; il mondo cerca di opprimere gli ultimi, Dio li mette al centro; il mondo cerca gli interessi materiali, a Dio interessa solo la nostra salvezza.
Accogliere Dio significa accogliere la sfida ad essere differenti. Differenti per mentalità, per impostazione di pensiero, per cultura e – dunque – anche per scelte. Come cristiani non possiamo omologarci al pensiero di questo mondo, non possiamo conformarci alla mentalità di questo tempo. È vero che siamo nel mondo ma è altrettanto vero che non siamo del mondo. Non è facile tutto ciò perché facciamo i conti con la nostra umanità e con mille condizionamenti che, spesso, orientano le nostre scelte nella direzione del mondo piuttosto che in quella del Vangelo, nonostante le migliori intenzioni.
Gesù si offre a noi come modello: “Come il figlio dell’uomo che non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Differenti dal mondo e somiglianti a Gesù. Potremmo sintetizzare così il messaggio del Vangelo. Ed essere somiglianti al Maestro lo si traduce soprattutto nella linea del servizio e del dono di se. Essere servi, amare e donare la vita. Ecco cosa è davvero essenziale! Ecco qual è il fine della nostra vita! Affinché questo obiettivo sia contemplato costantemente da tutti la Chiesa, raccogliendo le parole di Gesù, ha istituito i Diaconi.
Nella seconda lettura abbiamo ascoltato il brano di Atti che viene individuato come il fondamento di questo prezioso sacramento. Gli apostoli si accorgono che il servizio ai poveri li stava distogliendo dalla preghiera e allora individuano alcuni uomini di buona reputazione perché svolgano tale attività a nome di tutta la comunità. Diaconi, ovvero, servi. I diaconi ricordano a tutti il modello per eccellenza che è Gesù, il quale da ricco che era si è fatto povero e da Signore si è fatto schiavo.
Ai diaconi, in particolare a questi nostri fratelli oggi, chiediamo di saper stare laddove il buon Gesù li ha voluti: al servizio dei poveri. Il vostro posto è dove ci sono i poveri; poveri di pane, di giustizia, di speranza, di bene. State con i poveri per ricordare a tutti che Gesù è venuto per servire e non per essere servito. Cercateli, sporcatevi le mani per loro, curateli, custoditeli, amateli, serviteli. Come spesso ci ricorda il nostro Vescovo, i poveri sono la carne di Cristo. Stare all’altare ci permette di acquisire la forza necessaria per servire. È la spinta che prendiamo per raggiungere più velocemente i poveri; stare all’altare ci permette di assumere la sostanza e la qualità che poi siamo chiamati a dare ai poveri. Non c’è nessuna contrapposizione tra altare e servizio; semmai un costante richiamo e una circolarità costante; la forza motrice che si riceve dall’Eucarestia spinge al servizio e la cura degli ultimi si alimenta e si sostanzia del Corpo di Cristo.
Il Signore per mezzo del profeta Isaia è stato estremamente chiaro nella prima lettura: quando avremo introdotto in casa i miseri, i senza tetto, quando avremo vestito un uomo nudo, quando avremo diviso il pane con l’affamato allora – e solo allora – invocheremo il Signore ed egli risponderà “eccomi” e brillerà tra le tenebre di tanta indifferenza la nostra luce.
Siamo consapevoli di vivere un momento difficile della nostra storia. I volti della povertà sono così numerosi da scoraggiare il nostro agire. Ci sentiamo piccoli di fronte a tanta sofferenza; schiacciati da un grido di dolore che con sempre maggiore forza si innalza verso Dio. La solitudine, la povertà materiale, il disagio giovanile e quello psichico, l’incedere della violenza, la mancanza di casa o di lavoro, l’incertezza del domani e le paure del presente…sono tutti aspetti che dobbiamo saper leggere come Chiesa; è la realtà nella quale il Signore ci chiama a vivere ed è la sfida che ci mette davanti nella speranza che la facciamo nostra.
Proprio ieri è stato presentato l’ultimo rapporto della nostra Caritas diocesana dal titolo assai significato: “tra indifferenze e speranze”. Nelle nostre parrocchie accanto alla Bibbia e ai libri di catechesi dobbiamo tenere presente quelle pagine perché raccontano dell’uomo di oggi, ci dicono su quale terreno oggi cade il seme del Vangelo. Avere uno sguardo ampio sulla realtà aiuta tutti ad assumere realmente la logica del servizio, facendola diventare la cifra del nostro essere credenti. Chiediamoci: se non sappiamo leggere bene le gioie e i dolori di questa nostra umanità quale Vangelo annunciamo? A chi pensiamo possano interessare i nostri discorsi e le nostre belle catechesi se non intercettano la carne di chi soffre?
Una Chiesa è credibile non se sa organizzare ma solo se serve e dona la vita agli ultimi. I diaconi sono coloro che spingono la Chiesa a servire di più e meglio; sono la punta di diamante di una comunità che intende fare dell’amore la sua regola d’ora.
Raggiunti dal dono dell’ordinazione aiutano tutta la Chiesa ad essere serva; attraverso il loro cuore generoso e le loro mani operose tutti ci chiniamo sul fratello che soffre e gli regaliamo la speranza che non delude. Ecco perché, nella preghiera di ordinazione chiederemo al Signore che questi nostri fratelli “siano pieni di ogni virtù: sinceri nella carità, premurosi nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito”.
Siamo consapevoli del dono che il Signore sta facendo ancora una volta a tutta la nostra Chiesa. Un mese fa abbiamo ordinato 12 diaconi orientati alla vita sacerdotale e oggi altri 7 nella forma del diaconato permanente. Una tale ricchezza va letta nella linea di un forte appello che ci arriva dal Signore il quale ci sta chiedendo di essere sempre di più e sempre meglio Chiesa che serve e che ama. Rendiamoci disponibili ad accogliere questo invito perché il nuovo anno liturgico ormai alle porte, con l’ulteriore ricchezza del Giubileo, sia per tutti tempo di riconciliazione profonda con Dio, tra di noi e con i poveri; sia tempo di speranza da raccogliere e da diffondere; tempo di autentica conversione per vivere in modo sempre fedele il Vangelo.
Signore Gesù, a tutti noi chiedi di essere come te, che non sei venuto per farti servire ma per servire e dare la vita in riscatto per molti. Ti chiediamo perdono se cediamo alla tentazione del potere o dell’orgoglio; vienici in aiuto quando pensiamo di essere importanti mettendo in mostra noi stessi; accresci in tutti noi l’impegno ad essere servi, servi inutili e senza pretese; fa che in tutto imitiamo te che da ricco che eri ti sei fatto schiavo. Donaci di essere una Chiesa che serve e che ama; e che con tutte le sue energie e potenzialità sa stare accanto a chi soffre e a chi piange per donargli forza e speranza. La tua e nostra Madre, serva gioiosa e fedele, ci prenda per mano e ci aiuti, ancora a riconoscere e a cantare che tu hai rovesciato i potenti dai troni e hai innalzato gli umili. Amen