27 Giugno 2025

Saluto del cardinale Vallini al clero della diocesi di Roma

Dal Vicariato, 24 giugno 2017

Ai Reverendi Sacerdoti
della Diocesi di Roma

Cari Confratelli,

al termine del mio mandato di Vicario del Santo Padre per la Diocesi di Roma mi è caro rivolgere a tutti Voi un fraterno saluto ed un sentito ringraziamento per l’affetto fraterno che mi avete concesso e la generosa cooperazione nell’esercizio del mio ministero episcopale. Ho potuto ringraziare personalmente molti di Voi, che ho incontrato nelle scorse settimane in Vicariato o in altri luoghi, ma desidero esprimere la mia gratitudine anche con questo piccolo messaggio che confido possa giungere a tutti.

Considero una grazia ed un onore aver servito in questi anni la Chiesa di Roma e la Città, chiamato dalla fiducia di Papa Benedetto e poi di Papa Francesco, ai quali rinnovo il mio devoto ringraziamento. Ho avvertito che la grande responsabilità che mi è stata affidata ho potuto esercitarla grazie al fatto di averla condivisa quotidianamente con i fratelli Vescovi, Mons. Vicegerente, gli Ausiliari, e tutti Voi sacerdoti. A ciascuno e a tutti il mio profondo e fraterno grazie.

Nel corso di questi anni sono rimasto ammirato per la testimonianza di vita e di fedeltà al Signore e per la generosa dedizione del Clero romano. Certo, il tempo complesso che viviamo chiede a noi pastori uno sguardo lungimirante di fede ed un rinnovato coraggio di creatività pastorale per affrontare le sfide che abbiamo davanti e per rispondere ai bisogni spirituali delle famiglie e delle persone, vicine e lontane, che guardano alla Chiesa con speranza.

Il progetto pastorale che abbiamo costruito insieme, in obbedienza agli orientamenti e alle determinazioni del Sinodo Diocesano degli anni ’90, ha messo al primo posto l’urgenza di individuare vie nuove per riproporre il Vangelo e suscitare la fede, fondamento della vita cristiana, e per costruire comunità ecclesiali coscienti e testimonianti. Sono convinto che le scelte pastorali che abbiamo fatto nei convegni annuali, portate avanti con pazienza e tenacia, daranno i frutti desiderati. Andiamo avanti dunque con fiducia e letizia, certi dell’azione potente dello Spirito Santo che anima e vivifica la Chiesa.

Al carissimo fratello S.E. Mons. Angelo De Donatis, nuovo Vicario, formulo gli auguri più cordiali di un buon servizio e gli assicuro la vicinanza, la stima e la preghiera. Ricordatemi al Signore nella Vostra preghiera, come anche io mi impegno a fare ogni giorno per ciascuno di Voi e per le Vostre Comunità.
Con affetto fraterno.

Agostino Card. Vallini

Convegno diocesano 2017: il discorso del Santo Padre

Come diceva quel prete: “Prima di parlare, dirò due parole”.
Voglio ringraziare il cardinale Vallini per le sue parole e vorrei dire una cosa che lui non poteva dire, perché è sotto segreto, ma il Papa può dirlo. Quando, dopo l’elezione, mi hanno detto che dovevo andare prima alla Cappella Paolina e poi sul balcone a salutare la gente, subito mi è venuto in mente il nome del cardinale Vicario: “Io sono vescovo, c’è un vicario generale…”. Subito. L’ho sentito anche con simpatia. E l’ho chiamato. E dall’altra parte il cardinale Hummes, che era accanto a me durante gli scrutini e mi diceva cose che mi hanno aiutato. Questi due mi hanno accompagnato, e da quel momento ho detto: “Sul balcone con il mio vicario”. Lì, al balcone. Da quel momento mi ha accompagnato, e lo voglio ringraziare. Lui ha tante virtù e anche un senso dell’oggettività che mi ha aiutato tante volte, perché a volte io “volo” e lui mi faceva “atterrare” con tanta carità… La ringrazio, Eminenza, per la compagnia. Ma il cardinale Vallini non va in pensione, perché appartiene a sei Congregazioni e continuerà a lavorare, ed è meglio così, perché un napoletano senza lavoro sarebbe una calamità, in diocesi… [ride, ridono, applausi] Voglio ringraziare in pubblico per il suo aiuto. Grazie!
E a voi, buonasera!

Ringrazio per l’opportunità di poter dare inizio a questo Convegno diocesano, nel quale tratterete un tema importante per la vita delle nostre famiglie: accompagnare i genitori nell’educazione dei figli adolescenti.
In queste giornate rifletterete su alcuni argomenti-chiave che corrispondono in qualche modo ai luoghi in cui si gioca il nostro essere famiglia: la casa, la scuola, le reti sociali, la relazione intergenerazionale, la precarietà della vita e l’isolamento familiare. Ci sono i laboratori su questi temi.
Mi piacerebbe condividere con voi alcuni “presupposti” che ci possono aiutare in questa riflessione. Spesso non ce ne rendiamo conto, ma lo spirito con cui riflettiamo è altrettanto importante dei contenuti (un bravo sportivo sa che il riscaldamento conta tanto quanto la prestazione successiva). Perciò, questa conversazione vuole aiutarci in tal senso: un “riscaldamento”, e poi starà a voi “giocare tutto sul campo”. L’esposizione la farò in piccoli capitoli.

1. In romanesco!
La prima delle chiavi per entrare in questo tema ho voluto chiamarla “in romanesco”: il dialetto proprio dei romani. Non di rado cadiamo nella tentazione di pensare o riflettere sulle cose “in genere”, “in astratto”. Pensare ai problemi, alle situazioni, agli adolescenti… E così, senza accorgercene, cadiamo in pieno nel nominalismo. Vorremmo abbracciare tutto ma non arriviamo a nulla. Oggi su questo tema vi invito a pensare “in dialetto”. E per questo bisogna fare uno sforzo notevole, perché ci è chiesto di pensare alle nostre famiglie nel contesto di una grande città come Roma. Con tutta la sua ricchezza, le opportunità, la varietà, e nello stesso tempo con tutte le sue sfide. Non per rinchiudersi e ignorare il resto (siamo sempre italiani), ma per affrontare la riflessione, e persino i momenti di preghiera, con un sano e stimolante realismo. Niente astrazione, niente generalizzazione, niente nominalismo.
La vita delle famiglie e l’educazione degli adolescenti in una grande metropoli come questa esige alla base un’attenzione particolare e non possiamo prenderla alla leggera. Perché non è la stessa cosa educare o essere famiglia in un piccolo paese e in una metropoli. Non dico che sia meglio o peggio, è semplicemente diverso. La complessità della capitale non ammette sintesi riduttive, piuttosto ci stimola a un modo di pensare poliedrico, per cui ogni quartiere e zona trova eco nella diocesi e così la diocesi può farsi visibile, palpabile in ogni comunità ecclesiale, con il suo proprio modo di essere. L’uniformità è un grande nemico.
Voi vivete le tensioni di questa grande città. In molte delle visite pastorali che ho compiuto mi hanno presentato alcune delle vostre esperienze quotidiane, concrete: le distanze tra casa e lavoro (in alcuni casi fino a 2 ore per arrivare); la mancanza di legami familiari vicini, a causa del fatto di essersi dovuti spostare per trovare lavoro o per poter pagare un affitto; il vivere sempre “al centesimo” per arrivare alla fine del mese, perché il ritmo di vita è di per sé più costoso (nel paese ci si arrangia meglio); il tempo tante volte insufficiente per conoscere i vicini là dove viviamo; il dover lasciare in moltissimi casi i figli soli… E così potremmo andare avanti elencando una grande quantità di situazioni che toccano la vita delle nostre famiglie.
Perciò la riflessione, la preghiera, fatela “in romanesco”, in concreto, con tutte queste cose concrete, con volti di famiglie ben concreti e pensando come aiutarvi tra voi a formare i vostri figli all’interno di questa realtà. Lo Spirito Santo è il grande iniziatore e generatore di processi nelle nostre società e situazioni. E’ la grande guida delle dinamiche trasformatrici e salvatrici. Con Lui non abbiate paura di “camminare” per i vostri quartieri, e pensare a come dare impulso a un accompagnamento per i genitori e gli adolescenti. Cioè, in concreto.

2. Connessi
Insieme al precedente, mi soffermo su un altro aspetto importante. La situazione attuale a poco a poco sta facendo crescere nella vita di tutti noi, e specialmente nelle nostre famiglie, l’esperienza di sentirci “sradicati”. Si parla di “società liquida” – ed è così – ma oggi mi piacerebbe, in questo contesto, presentarvi il fenomeno crescente della società sradicata. Vale a dire persone, famiglie che a poco a poco vanno perdendo i loro legami, quel tessuto vitale così importante per sentirci parte gli uni degli altri, partecipi con gli altri di un progetto comune. E’ l’esperienza di sapere che “apparteniamo” ad altri (nel senso più nobile del termine). E’ importante tenere conto di questo clima di sradicamento, perché a poco a poco passa nei nostri sguardi e specialmente nella vita dei nostri figli. Una cultura sradicata, una famiglia sradicata è una famiglia senza storia, senza memoria, senza radici, appunto. E quando non ci sono radici, qualsiasi vento finisce per trascinarti. Per questo una delle prime cose a cui dobbiamo pensare come genitori, come famiglie, come pastori sono gli scenari dove radicarci, dove generare legami, trovare radici, dove far crescere quella rete vitale che ci permetta di sentirci “casa”. Oggi le reti sociali sembrerebbero offrirci questo spazio di “rete”, di connessione con altri, e anche i nostri figli li fanno sentire parte di un gruppo. Ma il problema che comportano, per la loro stessa virtualità, è che ci lasciano come “per aria” – ho detto “società liquida”; possiamo dire “società gassosa” – e perciò molto “volatili”: “società volatile”. Non c’è peggior alienazione per una persona di sentire che non ha radici, che non appartiene a nessuno. Questo principio è molto importante per accompagnare gli adolescenti.
Tante volte esigiamo dai nostri figli un’eccessiva formazione in alcuni campi che consideriamo importanti per il loro futuro. Li facciamo studiare una quantità di cose perché diano il “massimo”. Ma non diamo altrettanta importanza al fatto che conoscano la loro terra, le loro radici. Li priviamo della conoscenza dei geni e dei santi che ci hanno generato. So che avete un laboratorio dedicato al dialogo intergenerazionale, allo spazio dei nonni. So che può risultare ripetitivo ma lo sento come qualcosa che lo Spirito Santo preme nel mio cuore: affinché i nostri giovani abbiano visioni, siano “sognatori”, possano affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, è necessario che ascoltino i sogni profetici dei loro padri (cfr Gl 3,2). Se vogliamo che i nostri figli siano formati e preparati per il domani, non è solo imparando lingue (per fare un esempio) che ci riusciranno. E’ necessario che si connettano, che conoscano le loro radici. Solo così potranno volare alto, altrimenti saranno presi dalle “visioni” di altri. E torno su questo; sono ossessionato, forse, ma… I genitori devono fare spazio ai figli per parlare con i nonni. Tante volte il nonno o la nonna è nella casa di riposo e non vanno a trovarli… Devono parlare. Anche scavalcare i genitori, ma prendere le radici dei nonni. I nonni hanno questa qualità della trasmissione della storia, della fede, dell’appartenenza. E lo fanno con saggezza di chi è sulla soglia, pronto ad andarsene. Torno, l’ho detto, qualche volta, sul passo di Gioele 3,2: “I vostri anziani sogneranno e i vostri figli profetizzeranno”. E voi siete il ponte. Oggi i nonni non li lasciamo sognare, li scartiamo. Questa cultura scarta i nonni perché i nonni non producono: questo è “cultura dello scarto”. Ma i nonni possono sognare solo quando si incontrano con la vita nuova, allora sognano, parlano… Ma pensate a Simeone, pensate a quella santa chiacchierona di Anna che andava da una parte all’altra dicendo: “E’ quello! E’ quello!”. E questo è bello, questo è bello. Sono i nonni che sognano e danno ai bambini una appartenenza della quale hanno bisogno. Mi piacerebbe che in questo laboratorio intergenerazionale facciate un esame di coscienza su questo. Trovare la storia concreta nei nonni. E non lasciarli da parte. Non so se questo l’ho detto una volta, ma a me viene alla memoria una storia che da bambino mi aveva insegnato una delle mie due nonne. C’era una volta in una famiglia il nonno vedovo: abitava in una famiglia, ma era invecchiato e quando mangiavano un po’ gli cadeva la zuppa o la bava e si sporcava un po’. E il papà ha deciso di farlo mangiare da solo in cucina, “così possiamo invitare amici…”. Così è stato. Alcuni giorni dopo, torna dal lavoro e trova il bambino che giocava con un martello, i chiodi, i legni… “Ma cosa stai facendo?” – “Un tavolo” – “Un tavolo, perché?” – “Un tavolo per mangiare” – “Ma perché?” – “Perché quando tu invecchi, possa mangiare da solo, lì”. Questo bambino aveva capito con intuizione dove c’erano le radici.

3. In movimento
Educare gli adolescenti in movimento. L’adolescenza è una fase di passaggio nella vita non solo dei vostri figli, ma di tutta la famiglia – è tutta la famiglia che è in fase di passaggio –, voi i lo sapete bene e lo vivete; e come tale, nella sua globalità, dobbiamo affrontarla. E’ una fase-ponte, e per questo motivo gli adolescenti non sono né di qua né di là, sono in cammino, in transito. Non sono bambini (e non vogliono essere trattati come tali) e non sono adulti (ma vogliono essere trattati come tali, specialmente a livello di privilegi). Vivono proprio questa tensione, prima di tutto in sé stessi e poi con chi li circonda1. Cercano sempre il confronto, domandano, discutono tutto, cercano risposte; e a volte non ascoltano le risposte e fanno un’altra domanda prima che i genitori dicano la risposta… Passano attraverso vari stati d’animo, e le famiglie con loro. Però, permettetemi di dirvi che è un tempo prezioso nella vita dei vostri figli. Un tempo difficile, sì. Un tempo di cambiamenti e di instabilità, sì. Una fase che presenta grandi rischi, senza dubbio. Ma, soprattutto, è un tempo di crescita per loro e per tutta la famiglia. L’adolescenza non è una patologia e non possiamo affrontarla come se lo fosse. Un figlio che vive la sua adolescenza (per quanto possa essere difficile per i genitori) è un figlio con futuro e speranza. Mi preoccupa tante volte la tendenza attuale a “medicalizzare” precocemente i nostri ragazzi. Sembra che tutto si risolva medicalizzando, o controllando tutto con lo slogan “sfruttare al massimo il tempo”, e così risulta che l’agenda dei ragazzi è peggio di quella di un alto dirigente.
Pertanto insisto: l’adolescenza non è una patologia che dobbiamo combattere. Fa parte della crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi. Dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e desolazione. Inquadriamo bene i nostri discernimenti all’interno di processi vitali prevedibili. Esistono margini che è necessario conoscere per non allarmarsi, per non essere nemmeno negligenti, ma per saper accompagnare e aiutare a crescere. Non è tutto indifferente, ma nemmeno tutto ha la stessa importanza. Perciò bisogna discernere quali battaglie sono da fare e quali no. In questo serve molto ascoltare coppie con esperienza, che se pure non ci daranno mai una ricetta, ci aiuteranno con la loro testimonianza a conoscere questo o quel margine o gamma di comportamenti.
I nostri ragazzi e le nostre ragazze cercano di essere e vogliono sentirsi – logicamente – protagonisti. Non amano per niente sentirsi comandati o rispondere a “ordini” che vengano dal mondo adulto (seguono le regole di gioco dei loro “complici”). Cercano quell’autonomia complice che li fa sentire di “comandarsi da soli”. E qui dobbiamo stare attenti agli zii, soprattutto a quegli zii che non hanno figli o che non sono sposati… Le prime parolacce, io le ho imparate da uno zio “zitello” [ridono]. Gli zii, per guadagnare la simpatia dei nipoti, tante volte non fanno bene. C’era lo zio che ci dava di nascosto le sigarette, a noi… Cose di quei tempi. E adesso… Non dico che siano cattivi, ma bisogna stare attenti. In questa ricerca di autonomia che vogliono avere i ragazzi e le ragazze troviamo una buona opportunità, specialmente per le scuole, le parrocchie e i movimenti ecclesiali. Stimolare attività che li mettano alla prova, che li facciano sentire protagonisti. Hanno bisogno di questo, aiutiamoli! Loro cercano in molti modi la “vertigine” che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela! Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti, e che possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio verso una vocazione (nel senso più ampio e bello della parola). Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete. Non lasciamoli soli. Perciò, sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano. Non lasciamo che la “vertigine” la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere a rischio la loro vita: diamogliela noi. Ma la vertigine giusta, che soddisfi questo desiderio di muoversi, di andare avanti. Noi vediamo in tante parrocchie, che hanno questa capacità di “prendere” gli adolescenti…: “Questi tre giorni di vacanza, andiamo in montagna, facciamo qualcosa…; o andiamo a imbiancare quella scuola di un quartiere povero che ha bisogno…”. Farli protagonisti di qualcosa.
Questo richiede di trovare educatori capaci di impegnarsi nella crescita dei ragazzi. Richiede educatori spinti dall’amore e dalla passione di far crescere in loro la vita dello Spirito di Gesù, di far vedere che essere cristiani esige coraggio ed è una cosa bella. Per educare gli adolescenti di oggi non possiamo continuare a utilizzare un modello di istruzione meramente scolastico, solo di idee. No. Bisogna seguire il ritmo della loro crescita. E’ importante aiutarli ad acquisire autostima, a credere che realmente possono riuscire in ciò che si propongono. In movimento, sempre.

4. Una educazione integrata
Questo processo esige di sviluppare in maniera simultanea e integrata i diversi linguaggi che ci costituiscono come persone. Vale a dire insegnare ai nostri ragazzi a integrare tutto ciò che sono e che fanno. Potremmo chiamarla una alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani). Questo offrirà ai nostri ragazzi la possibilità di una crescita armonica a livello non solo personale, ma al tempo stesso sociale. Urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante. A tale scopo occorre insegnare a pensare ciò che si sente e si fa, a sentire ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si sente. Cioè, integrare i tre linguaggi. Un dinamismo di capacità posto al servizio della persona e della società. Questo aiuterà a far sì che i nostri ragazzi si sentano attivi e protagonisti nei loro processi di crescita e li porterà anche a sentirsi chiamati a partecipare alla costruzione della comunità.
Vogliono essere protagonisti: diamo loro spazio perché siano protagonisti, orientandoli – ovviamente – e dando loro gli strumenti per sviluppare tutta questa crescita. Per questo ritengo che l’integrazione armonica dei diversi saperi – della mente, del cuore e delle mani – li aiuterà a costruire la loro personalità. Spesso pensiamo che l’educazione sia impartire conoscenze e lungo il cammino lasciamo degli analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno trovato chi insegnasse loro a “fare”. Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione sociale.
In Vaticano, quando le guardie si congedano, io li ricevo, uno a uno, quelli che si congedano. L’altro ieri ne ho ricevuti sei. Uno a uno. “Cosa fai, cosa farete…”. Ringrazio per il servizio. E uno mi ha detto così: “Io andrò a fare il carpentiere. Vorrei fare il falegname, ma farò il carpentiere. Perché mio papà mi ha insegnato tante cose di questo, e mio nonno anche”. Il desiderio di “fare”: questo ragazzo è stato bene educato con il linguaggio del fare; e anche il cuore è buono, perché pensava al papà e al nonno: un cuore affettivo buono. Imparare “come si fa”… Questo mi ha colpito.

5. Sì all’adolescenza, no alla competizione
Come ultimo elemento, è importante che riflettiamo su una dinamica ambientale che ci interpella tutti. E’ interessante osservare come i ragazzi e le ragazze vogliono essere “grandi” e i “grandi” vogliono essere o sono diventati adolescenti.
Non possiamo ignorare questa cultura, dal momento che è un’aria che tutti respiriamo. Oggi c’è una specie di competizione tra genitori e figli: diversa da quella di altre epoche, in cui normalmente si verificava il confronto tra gli uni e gli altri. Oggi siamo passati dal confronto alla competizione, che sono due cose diverse. Sono due dinamiche diverse dello spirito. I nostri ragazzi oggi trovano molta competizione e poche persone con cui confrontarsi. Il mondo adulto ha accolto come paradigma e modello di successo l’“eterna giovinezza”. Sembra che crescere, invecchiare, “stagionarsi” sia un male. E’ sinonimo di vita frustrata o esaurita. Oggi sembra che tutto vada mascherato e dissimulato. Come se il fatto stesso di vivere non avesse senso. L’apparenza, non invecchiare, truccarsi… A me fa pena quando vedo quelli che si tingono i capelli.
Com’è triste che qualcuno voglia fare il “lifting” al cuore! E oggi si usa più la parola “lifting” che la parola “cuore”! Com’è doloroso che qualcuno voglia cancellare le “rughe” di tanti incontri, di tante gioie e tristezze! Mi viene in mente quando alla grande Anna Magnani hanno consigliato di fare il lifting, ha detto: “No, queste rughe mi sono costate tutta la vita: sono preziose!”.
In un certo senso questa è una delle minacce “inconsapevoli” più pericolose nell’educazione dei nostri adolescenti: escluderli dai loro processi di crescita perché gli adulti occupano il loro posto. E troviamo tanti genitori adolescenti, tanti. Adulti che non vogliono essere adulti e vogliono giocare a essere adolescenti per sempre. Questa “emarginazione” può aumentare una tendenza naturale che hanno i ragazzi a isolarsi o a frenare i loro processi di crescita per mancanza di confronto. C’è la competizione, ma non il confronto.

6. La “golosità” spirituale
Non vorrei concludere senza questo aspetto che può essere un argomento-chiave che attraversa tutti i laboratori che farete: è trasversale. E’ il tema dell’austerità. Viviamo in un contesto di consumismo molto forte… E facendo un collegamento tra il consumismo e quello che ho appena detto: dopo il cibo, le medicine e i vestiti, che sono essenziali per la vita, le spese più forti sono i prodotti di bellezza, i cosmetici. Questo è statistica! I cosmetici. E’ brutto dire questo. E la cosmetica, che era una cosa più delle donne, adesso è uguale in entrambi i sessi. Dopo le spese di base, la prima è la cosmetica; e poi, le mascotte [gli animali da compagnia]: alimentazione, veterinario… Queste sono statistiche. Ma questo è un altro argomento, quello delle mascotte, che non toccherò adesso: penseremo più avanti a questo. Ma torniamo al tema dell’austerità. Viviamo, ho detto, in un contesto di consumismo molto forte; sembra che siamo spinti a consumare consumo, nel senso che l’importante è consumare sempre. Un tempo, alle persone che avevano questo problema si diceva che avevano una dipendenza dalla spesa. Oggi non si dice più: tutti siamo in questo ritmo di consumismo. Perciò, è urgente recuperare quel principio spirituale così importante e svalutato: l’austerità. Siamo entrati in una voragine di consumo e siamo indotti a credere che valiamo per quanto siamo capaci di produrre e di consumare, per quanto siamo capaci di avere. Educare all’austerità è una ricchezza incomparabile. Risveglia l’ingegno e la creatività, genera possibilità per l’immaginazione e specialmente apre al lavoro in équipe, in solidarietà. Apre agli altri. Esiste una specie di “golosità spirituale”. Quell’atteggiamento dei golosi che, invece di mangiare, divorano tutto ciò che li circonda (sembrano ingozzarsi mangiando).
Credo che ci faccia bene educarci meglio, come famiglia, in questa “golosità” e dare spazio all’austerità come via per incontrarsi, gettare ponti, aprire spazi, crescere con gli altri e per gli altri. Questo lo può fare solo chi sa essere austero; altrimenti è un semplice “goloso”.
In Amoris laetitia vi dicevo: «La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa» (n. 232). Mi sembra importante vivere l’educazione dei figli a partire da questa prospettiva, come una chiamata che il Signore ci fa, come famiglia, a fare di questo passaggio un passaggio di crescita, per imparare ad assaporare meglio la vita che Lui ci regala.
Questo è quello che mi è sembrato di dirvi su questo tema.

(Parole di ringraziamento del cardinale Vallini)

[Benedizione]

Grazie tante! Lavorate bene. Vi auguro il meglio. E avanti!
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[1] «Per i giovani l’avvenire è lungo e il passato breve; infatti all’inizio del mattino non v’è nulla della giornata che si possa ricordare, mentre si può sperare tutto. Essi sono facili a lasciarsi ingannare, per il motivo che dicemmo, cioè perché sperano facilmente. E sono più coraggiosi; poiché sono impetuosi e facili a sperare e di queste due qualità la prima impedisce loro di aver paura, la seconda li rende fiduciosi; infatti nessuno teme quando è adirato, e lo sperare qualche bene dona fiducia. E sono indignabili» (Aristotele, La retorica, II, 12, 2).

Intervento del cardinale Vallini al Convegno Diocesano

Cari fratelli e sorelle,
prendo la parola – per l’ultima volta – nel contesto di uno dei momenti più belli e fecondi della vita della nostra Chiesa: il Convegno diocesano. Abbiamo appena ricevuto la testimonianza di Pietro e il suo Magistero di guida della comunità e dunque ci sentiamo fortemente incoraggiati ad andare avanti con fiducia. E sono certo che lo faremo con impegno.
Mi sia permesso di confidarvi che, nove anni fa, accogliendo con spirito di fede e di obbedienza, da Papa Benedetto XVI il mandato di Suo Vicario per la Diocesi di Roma, confermato poi nel 2013 da Papa Francesco, mi sono lasciato guidare costantemente da due esigenze che mi sono apparse subito importanti: 1) essere fedele agli orientamenti del Sinodo diocesano degli anni ’90, che aveva posto la rievangelizzazione di Roma come priorità assoluta della pastorale; 2) avere uno sguardo attento sulla vita della città per individuare le forme e gli strumenti per una presenza attiva e incisiva dei cristiani, particolarmente dei laici. È infatti dinanzi a noi il fallimento di tutte le elaborazioni culturali del novecento, ritenute falsamente salvifiche, in un mondo globale, divenuto sempre più fragile, in un tempo di transizione delle società occidentali, di cui è divenuta espressione riassuntiva la categoria di “modernità liquida”.

Sappiamo bene che non basta interpretare, in modo sbrigativo, l’epoca che viviamo, segnata da un relativismo invasivo, che genera incertezza, solitudine, precarietà, e crescenti disuguaglianze, che fanno soltanto sopravvivere con rassegnazione. Provocati da tutto ciò, ci è chiesto di “riproporre la fede in Cristo, unico Salvatore dell’uomo”, irrobustirla, testimoniarla, annunciarla con coraggio ed entusiasmo. La nostra Chiesa, articolata in 336 parrocchie e in molteplici e vivaci espressioni ecclesiali (movimenti, gruppi, associazioni, comunità) avverte l’urgenza della missione; dunque è in grado di incidere nella vita spirituale e civile della città.

Consapevoli di tutto ciò, negli organismi diocesani di partecipazione (Consiglio episcopale, Consiglio dei Prefetti, Consiglio Pastorale Diocesano), abbiamo elaborato delle linee di impegno apostolico che mirassero a ripensare la pastorale ordinaria per renderla più intraprendente e audace.

In questi anni abbiamo iniziato un percorso, nel quale ci è parso di dover mettere al centro il Mistero pasquale del Signore celebrato nell’Eucarestia, soprattutto la domenica, da cui far maturare nei cristiani una più forte volontà di testimonianza della carità nello stile di vita. Abbiamo capito che oggi riproporre la fede significa mostrarla con gioia e capacità di attrazione. Siamo convinti che i destinatari della nostra missione non sono più soltanto le singole persone, ma le famiglie, partendo dai genitori, meritevoli di attenzione, amicizia e formazione.
L’altro aspetto, connesso certamente alla pastorale ordinaria ma di più largo orizzonte, è quello di far maturare la coscienza della responsabilità e della testimonianza attiva laicale negli ambienti di vita, fuori delle mura parrocchiali, dove la gente vive ed opera ogni giorno. I laici, i tanti laici cristiani ed anche i sinceri cercatori di verità che negli ultimi anni ho avuto la grazia di incontrare, con cui ho dialogato, in vista di una rinnovata presa di coscienza della responsabilità propria dei cristiani-cittadini nel tessuto vivo di Roma, mi hanno detto chiaramente e più volte di voler camminare insieme e di volersi impegnare.

Al laicato romano, ricco e articolato, sento di esprimere viva gratitudine per la disponibilità che ho sempre trovato, insieme alla richiesta a noi pastori rivolta di essere accompagnati in un cammino formativo serio e costante, perché ogni laico cristiano possa essere fermento vivo di fede e di carità nei diversi ambienti di vita, soprattutto tra i poveri. Certo è un cammino che domanda dedizione e perseveranza, ma che porterà grandi frutti.

Questa dunque la visione che ha ispirato e accompagnato la nostra azione pastorale: favorire e sviluppare vie nuove di annuncio del Vangelo; secondo, promuovere la presenza responsabile e missionaria soprattutto dei laici, nelle realtà del mondo, perché sappiano arricchire di senso cristiano le relazioni umane.

Se la pastorale diretta ha lavorato di più nel riproporre la fede soprattutto alle famiglie, a partire dalla pastorale battesimale e post-battesimale, e poi nell’accompagnare i genitori di ragazzi adolescenti e i giovani mediante soprattutto il potenziamento dell’esperienza degli oratori parrocchiali, nel più vasto campo della società civile si è cercato di promuovere e sostenere una cultura ispirata da una visione umana e cristiana che vedesse impegnati in attitudine di responsabilità i laici cristiani.

Siamo tutti convinti che in tutto ciò resta decisivo il modo di pensare e di vivere delle famiglie. Per questo i convegni annuali degli ultimi anni hanno sempre guardato ad esse offrendo aiuto e sostegno. Sono certo che anche il Convegno che questa sera si è aperto sarà fecondo per la vita delle comunità.

Cari fratelli e sorelle, porterò sempre con me la ricchezza di vita dell’amata Chiesa di Roma e la testimonianza di ciascuno di voi. Da parte mia mi impegno a sostenere con la preghiera quotidiana il vostro lavoro pastorale, sotto la guida saggia e prudente del nuovo Vicario. Anche voi pregate per me. Il Signore vi benedica tutti. Grazie.

Corpus Domini, Francesco: «Eucaristia guarisca rivalità, invidie e chiacchiere maldicenti»

Nella solennità del Corpus Domini i fedeli devono far tesoro della memoria, «facoltà unica che il Signore ci ha dato, oggi piuttosto indebolita» facoltà utile per ricordare che l’Eucarestia può guarire l’uomo dall’ingordigia e dall’ambizione di prevalere. Papa Francesco durante la Messa celebrata ieri sera, domenica 18 giugno, sul sagrato della basilica San Giovanni in Laterano, cattedra del vescovo di Roma, ha puntato l’attenzione su quanto gli uomini di oggi, presi «dalla frenesia in cui sono immersi, si fanno scivolare addosso tante persone e tanti fatti» invece di «rimanere nell’amore, di ri-cordare, cioè di portare nel cuore, di non dimenticare chi ci ama e chi siamo chiamati ad amare».

La celebrazione Eucaristica ha preceduto la tradizionale processione del Santissimo Sacramento che, attraverso via Merulana, ha raggiunto la basilica di Santa Maria Maggiore seguita da migliaia di fedeli. Per la prima volta la solennità è stata celebrata la domenica successiva alla Santissima Trinità e non il giovedì per decisione dello stesso Bergoglio che ha voluto uniformare la data della festa a quella della Chiesa italiana e per permettere a maggior numero di fedeli di partecipare. Presenti cardinali, tra i quali Agostino Vallini, l’arcivescovo Angelo de Donatis, nuovo vicario della diocesi di Roma, i vescovi ausiliari e numerosi sacerdoti e religiose.

Per Francesco oggi «si gira pagina in fretta, voraci di novità ma poveri di ricordi. Così, bruciando i ricordi e vivendo all’istante, si rischia di restare in superficie, nel flusso delle cose che succedono, senza andare in profondità, senza quello spessore che ci ricorda chi siamo e dove andiamo. Allora la vita esteriore diventa frammentata, quella interiore inerte». In questo contesto si inserisce la solennità del Corpo e Sangue di Cristo attraverso la quale si ricorda che «nella frammentazione della vita» il Signore va incontro ai suoi fedeli «con una fragilità amorevole» visitando i loro cuori «facendosi cibo umile che con amore guarisce la nostra memoria, malata di frenesia».

L’Eucarestia, memoriale dell’amore del Padre, diventa quindi «la nostra forza, il sostegno del nostro camminare – ha proseguito Francesco -. Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda e nozionistica, ma memoria vivente e consolante dell’amore di Dio». È dall’Eucarestia che scaturisce «una memoria grata» nel momento in cui il fedele si riconosce figlio di Dio; «una memoria libera» quando l’amore e il perdono di Cristo «risanano le ferite del passato e pacifica il ricordo dei torti subiti e inflitti»; una memoria «paziente», quando si è consapevoli che lo Spirito di Gesù non abbandona mai.

Rivolgendosi ai numerosi bambini che nelle scorse settimane hanno ricevuto il sacramento della prima Comunione, il pontefice ha ribadito che attraverso l’Eucarestia «si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Gesù». È inoltre il sacramento dell’unità. «Chi la accoglie non può che essere artefice di unità, perché nasce in lui, nel suo “DNA spirituale”, la costruzione dell’unità – ha aggiunto Bergoglio -. Questo Pane di unità ci guarisca dall’ambizione di prevalere sugli altri, dall’ingordigia di accaparrare per sé, dal fomentare dissensi e spargere critiche; susciti la gioia di amarci senza rivalità, invidie e chiacchiere maldicenti». Al termine della Messa un lungo corteo di fedeli ha seguito il Santissimo Sacramento che in processione, con canti e preghiere, ha raggiunto Santa Maria Maggiore dove il Papa ha impartito la benedizione finale della celebrazione del Corpus Domini e ha reso omaggio all’icona della Salus populi romani con il canto del Salve Regina.

19 giugno 2017

Le proposte estive della Pastorale giovanile

Un campo estivo per gli adolescenti e cinque giornate di esercizi spirituali per giovani e animatori degli adolescenti. Sono le due proposte estive del Servizio diocesano per la pastorale giovanile. «Incontrando i sacerdoti e gli animatori – spiega l’incaricato del Servizio don Antonio Magnotta – mi sono accorto della necessità per alcuni di ricevere un sostegno perché i loro adolescenti possano fare l’esperienza del campo estivo. Tutti sappiamo quanto il campo sia un sostegno prezioso per l’incoraggiamento dei ragazzi a proseguire il cammino di gruppo in parrocchia». Sono previsti due turni, dal 5 al 9 luglio e dal 10 al 14 luglio, a Montefiascone (Viterbo). Iscrizioni entro il 16 giugno.
La proposta degli esercizi spirituali è rivolta invece ai giovani dai 18 anni e «agli animatori a cui si pensa possa far bene un’esperienza più forte e condivisa di preghiera e di verifica». Si terranno a Montefiolo di Casperia (Rieti), presso il Monastero della Risurrezione, dal 27 al 30 luglio.
È possibile iscriversi comunicando la propria adesione sia all’indirizzo di posta elettronica del Servizio diocesano, pastoralegiovanile@vicariatusurbis.org, sia direttamente contattando don Antonio (338.9218121) entro il 21 luglio. Le informazioni più dettagliate, su entrambe le iniziative, sono reperibili sul sito www.pastoralegiovanileroma.it.

Libretto per il Convegno Pastorale Diocesano 2017 con il Programma e la Scheda di iscrizione

Si può scaricare on line il Libretto del Convegno Pastorale Diocesano 2017

“NON LASCIAMOLI SOLI !”
Accompagnare i genitori
nell’educazione dei figli adolescenti

con all’interno il Programma e la Scheda di iscrizione.

Monsignor De Donatis nuovo vicario di Roma

Monsignor Angelo De Donatis, 63 anni, pugliese di origine, ausiliare di Roma dal 2015, è il nuovo vicario del Papa per la diocesi di Roma. Francesco l’ha elevato alla dignità di arcivescovo e l’ha nominato anche arciprete della basilica Lateranense. L’annuncio, diffuso ufficialmente a mezzogiorno del 26 maggio – festa di San Filippo Neri, compatrono di Roma – dalla Sala stampa della Santa Sede, è stato dato dal cardinale Agostino Vallini nella sala al terzo piano del Palazzo Lateranense, sede del Vicariato di Roma. Presenti il vicegerente, i vescovi ausiliari della diocesi, i parroci prefetti e il personale del Vicariato. Il Santo Padre ha così accolto la rinuncia presentata dal cardinale Vallini, che ad aprile ha compiuto 77 anni, per raggiunti limiti di età.

Monsignor De Donatis – che inizierà il suo mandato di vicario generale il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro Paolo, patroni di Roma – è nato il 4 gennaio 1954 a Casarano, provincia di Lecce e diocesi di Nardò-Gallipoli. Era vescovo ausiliare dal 14 settembre 2015, nominato da Papa Francesco specificamente per la cura del clero di Roma, alla sede titolare di Mottola. La nomina episcopale era stata annunciata dal cardinale vicario Agostino Vallini ai sacerdoti riuniti nella basilica di San Giovanni in Laterano per il tradizionale incontro di inizio dell’anno pastorale.

Come si ricorderà, è stato proprio Francesco, con un’attenzione del tutto particolare per un ausiliare di Roma, a presiedere la Messa per l’ordinazione episcopale, celebrata il 9 novembre 2015 nella basilica di San Giovanni in Laterano. In quell’occasione il Papa aveva detto esplicitamente: «Nella Chiesa di Roma vorrei affidarti i presbiteri, i seminaristi. Tu hai questo carisma!». Non a caso, erano più di 600 i sacerdoti che riempivano le ali del transetto della basilica: amici, fratelli e tanti figli spirituali che hanno conosciuto la sollecitudine di monsignor De Donatis. Accanto a Papa Francesco, i co-ordinanti sono stati il cardinale vicario Agostino Vallini e il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero.

Alla consegna dell’anello episcopale, il Papa ha infatti ricordato al nuovo presule: «Non dimenticarti che prima di questo anello c’era quello dei tuoi genitori… difendi la famiglia». Famiglia come luogo in cui si fa esperienza d’amore, lo stesso che De Donatis ha citato nel proprio motto episcopale: “Nihil Caritate dulcius” (Nulla è più dolce dell’amore). Le parole sono tratte dal “De officiis ministrorum” di Sant’Ambrogio, dove si legge: “Sia tra di voi la pace che supera ogni sentimento. Amatevi gli uni gli altri. Nulla è più dolce dell’amore, nulla più gradevole della pace”.

Per molti sacerdoti della diocesi, De Donatis è stato in questi anni una preziosa guida spirituale. E dal 1° settembre 2014 era incaricato diocesano del Servizio per la formazione permanente del clero, che aveva rilanciato con la collaborazione di alcuni sacerdoti, promuovendo iniziative di vario tipo.

Alunno prima del Seminario di Taranto e quindi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, De Donatis ha compiuto gli studi filosofici alla Pontificia Università Lateranense e quelli teologici presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la Licenza in Teologia morale. È stato ordinato sacerdote il 12 aprile 1980 per la diocesi di Nardò-Gallipoli e dal 28 novembre 1983 è incardinato nella diocesi di Roma.

Dopo essere stato nei primi anni ’80 collaboratore nella parrocchia di San Saturnino, al quartiere Trieste, e insegnante di religione, dal 1983 al 1988, è stato vicario parrocchiale della medesima parrocchia. Dal 1988 al 1990 ha lavorato come addetto alla Segreteria generale del Vicariato come collaboratore dell’arcivescovo Giovanni Marra ed è stato vicario parrocchiale nella parrocchia Santissima Annunziata a Grottaperfetta; dal 1989 al 1991, archivista della Segreteria del Collegio Cardinalizio; dal 1990 al 1996, direttore dell’Ufficio Clero del Vicariato di Roma; dal 1990 al 2003, direttore spirituale al Pontificio Seminario Romano Maggiore.

Dal 2003 De Donatis ha guidato la parrocchia di San Marco Evangelista al Campidoglio ed è stato assistente diocesano dell’Associazione Nazionale Familiari del Clero. È stato membro del Consiglio Presbiterale Diocesano e del Collegio dei Consultori. Nel 1989 è stato ammesso all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme con il grado di Cavaliere; è Cappellano di Sua Santità dal 10 aprile 1990. Dall’aprile 2016 è rettore della chiesa di San Sebastiano al Palatino e da dieci anni è assistente spirituale dell’associazione Don Andrea Santoro.

Nella Quaresima del 2014 De Donatis ha tenuto le meditazioni per gli Esercizi spirituali della Curia Romana sul tema “La purificazione del cuore” (tenuti per la prima volta ad Ariccia, fuori dal Vaticano). Nel corso del Giubileo straordinario della Misericordia De Donatis ha curato per Romasette.it la rubrica “La misericordia nella Bibbia”, una serie di riflessioni sul tema chiave dell’Anno Santo raccolte poi in un libro edito dalle Paoline.

26 maggio 2017

Mons. Antonio Nicolai è entrato nella luce della Resurrezione

Il Vicario Generale S.E. Mons. Angelo De Donatis, il Consiglio Episcopale e il Presbiterio della Diocesi di Roma, annunciano che è entrato nella luce della Resurrezione il Rev.do

Mons. Antonio Nicolai

Parroco dal 1981 al 2017 di Santa Lucia

e ricordandone il generoso e fecondo ministero pastorale, lo affidano all’abbraccio misericordioso di Dio e alla preghiera di suffragio dei fedeli che tanto lo hanno amato, invocando la pace e la gioia del Signore.

 I funerali si sono tenuti martedì 26 dicembre alle ore 12 nella Parrocchia di Santa Lucia

S.S.P.E. Joseph Ratzinger

Nato in Marktl am Inn,
Diocesi di Passau (Germania),
il 16 aprile 1927;

ordinato Sacerdote il 29 giugno 1951;

eletto a München und Freising il 25 marzo 1977 e consacrato il 28 maggio 1977;
creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 27 giugno 1977.

Seguirono in Roma:

nel 2005 la Sua elezione al Pontificato: 19 aprile
l’inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universale della Chiesa: 24 aprile
rinuncia il 28 febbraio 2013

Il nuovo Pontefice eletto Benedetto XVI, Cardinale Joseph Ratzinger, finora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Pontificia Commissione Teologica Internazionale, Decano del Collegio Cardinalizio, è nato in Marktl am Inn, in Diocesi di Passau (Repubblica Federale di Germania), il 16 aprile 1927. Il padre, commissario della gendarmeria, proveniva da una antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera.
Trascorsi gli anni dell’adolescenza a Traunstein, venne richiamato negli ultimi mesi del secondo conflitto mondiale nei servizi ausiliari antiaerei.
Dal 1946 al 1951 – anno in cui, il 29 giugno, veniva ordinato sacerdote ed iniziava la sua attività di insegnamento – studiò filosofia e teologia nell’Università di Monaco e nella Scuola Superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga. Del 1953 è la dissertazione Popolo e casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di Sant’Agostino, con la quale si addottorava in Teologia. Quattro anni dopo otteneva la libera docenza con un lavoro su La Teologia della Storia di San Bonaventura.
Conseguito l’incarico di Dogmatica e Teologia fondamentale nella Scuola Superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga, proseguì l’insegnamento a Bonn, dal 1959 al 1969, Münster, dal 1963 al 1966, e Tubinga, dal 1966 al 1969. In quest’ultimo anno divenne Professore Ordinario di Dogmatica e di storia dei dogmi nell’Università di Ratisbona e Vice-Presidente della stessa Università. Intanto già dal 1962 acquistava notorietà internazionale intervenendo, come consulente teologico dell’Arcivescovo di Colonia Cardinale Joseph Frings, al Concilio Vaticano II, al quale diede un notevole contributo.
Tra le sue numerose pubblicazioni un peso particolare occupano l’Introduzione al Cristianesimo, raccolta di lezioni universitarie sulla professione di fede apostolica, pubblicata nel 1968, Dogma e rivelazione, un’antologia di saggi, prediche e riflessioni dedicate alla pastorale, uscita nel 1973. Ampia risonanza ottenne pure la sua arringa pronunziata dinanzi all’Accademia cattolica bavarese sul tema: Perché io sono ancora nella Chiesa?, nella quale affermava: Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non accanto alla Chiesa. Del 1985 è il volume Rapporto sulla fede, del 1996 Il sale della terra.
Il 24 marzo 1977 Paolo VI lo nominava Arcivescovo di München und Freising. Il 28 maggio successivo riceveva la Consacrazione Episcopale, primo sacerdote diocesano ad assumere dopo 80 anni il governo pastorale della grande Diocesi bavarese. Creato Cardinale da Papa Paolo VI nel 1977, è stato Relatore alla V Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980), sul tema: I compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo e Presidente delegato della VI Assemblea sinodale (1983) su Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa.
Il 25 novembre 1981 è stato nominato da Giovanni Paolo II Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Pontificia Commissione Teologia Internazionale.
Il 5 aprile 1993 è entrato a far parte dell’Ordine dei Cardinali Vescovi, del titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni.
Il 6 novembre 1998 è stato eletto Vice-Decano del Collegio Cardinalizio. Il 30 novembre 2002, il Santo Padre ne ha approvato l’elezione, fatta dai Cardinali dell’ordine dei Vescovi, a Decano del Collegio Cardinalizio.
È stato Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che dopo sei anni di lavoro (1986-1992) ha potuto presentare al Santo Padre il nuovo Catechismo.
Il 10 novembre 1999 è stato insignito della Laurea ad honorem in Giurisprudenza dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA).
Dal 13 novembre 2000 è Accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze.
Da Paolo VI creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 27 giugno 1977, già del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, dei Titoli della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni (5 aprile 1993) e della Chiesa Suburbicaria di Ostia (30 novembre 2002).
È stato Membro del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica; del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e delle Pontificie Commissioni per l’America Latina ed Ecclesia Dei.

S.E.R. Mons. Paolino SCHIAVON

Vescovo titolare di Trevi
nato a Terranegra (PD), Diocesi di Padova,
il 1 settembre 1939
ordinato il 5 luglio 1964,
eletto il 18 luglio 2002,
consacrato il 21 settembre 2002

S.E.R. Mons. Enzo DIECI

Vescovo titolare di Maura
del Clero Romano,
nato a Sassuolo (MO), Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla,
il 28 gennaio 1934
ordinato il 17 marzo 1962,
eletto il 6 aprile 1992,
consacrato il 26 aprile 1992
ritirato il 1 giugno 2009

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