Ecco, partiamo da qui: conoscere, riconoscere, connettere. Perché questi 5 lunedì non rimangano una occasione di conoscenza e approfondimento personale ma vadano a arricchire quel necessario processo di convergenza e trasformazione che la realtà ci chiede urlando con la voce della terra vivente che si squassa e delle donne e gli uomini che chiedono lavoro e giustizia. Proviamo a costruire, innanzitutto, insieme una mappa della Roma che si attiva, conosce, reagisce, include, e delle istituzioni che la sostengono. Cerchiamo di darle insieme un profilo il più preciso possibile per incontrarla e connetterla. Insieme facciamo comunità e testimonianza, coprogettando la Roma che vogliamo vivere, abbracciare, continuare a sognare.
150 iscritti con una media di oltre 70 partecipanti per ciascuno dei 5 incontri: sono alcuni numeri importanti della Scuola di attivazione politica “Progettare un’economia trasformativa per una comunità sostenibile e solidale a Roma†che ha concluso il suo ciclo di incontri di formazione co-promosso – nell’ambito del progetto “P†come Partecipazione sostenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali– dall’associazione Fairwatch, Arcs Culture solidali, Ress rete per l’economia sociale e solidale di Roma e dall’Ufficio per la pastorale sociale e del Lavoro della Diocesi di Roma. Un ciclo che si è concluso con una riflessione su come si possano costruire piattaforme di relazioni e priorità per il territorio e le istituzioni, a partire da alcune esperienze concrete già in piedi in molti territori del nostro Paese. Una scelta mirata perché è proprio questo il passo successivo che sarebbe importante compiere insieme, agli esiti di questa prima attività di formazione: cucire quante più esperienze possibili in campo sul territorio romano e condividere qualche punto di priorità e azione che trasformino questo tempo sospeso dalla pandemia in una pagina di analisi e azione condivisa, tra realtà sociali e istituzionali di Roma, per avviare una trasformazione concreta della nostra realtà quotidiana.
Don Francesco Pesce, responsabile dell’ufficio diocesano, avviando la formazione di lunedì scorso, ha spiegato che lo stesso Papa Francesco ci chiede di nutrire una sana inquietudine che la chiesa di Roma cerca di manifestare chiedendosi, anche con attività come questa, come uscire, incontrare e abbracciare chi non siamo riusciti a raggiungere. “Per secoli nella Chiesa il cambiamento è stato frenato – ha spiegato don Francesco -. Oggi si auspica, e non è una questione da pocoâ€. Come istituzione la chiesa cattolica forse oggi è più pronta rispetto ad altre che, come ricordava don Francesco, spesso si identificano nel solo potere e fanno fatica a mollarlo per “uscireâ€. Ma è importante garantire altre prospettive economiche e sociali, garantendo il passaggio delle pratiche di mobilitazione che pure si moltiplicano per la giustizia sociale e ambientale dal costituire sacche di resistenza personali a movimenti aperti e inclusivi.
Carlo Cellamare, della Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma, a partire dalla sua esperienza di ricerca che affianca in molti quartieri della periferia romana, da ultimo a Tor Bellamonaca, processi di rigenerazione urbana finanziati dall’Unione europea, ha spiegato che una delle modalità più efficaci per suturare gli strappi e le cesure attuali e costruire percorsi di autonomia per le persone e le comunità più in difficoltà c’è bisogno di “associare il micro al macro verso una grande alleanza con capacità trasformare in politiche le esperienze in campo. C’è una capacità di autorganizzazione fortissima che fronteggia l’arretramento del welfare, esperienze che danno qualità ai progetti nelle quali l’Università funziona da catalizzatore, ma c’è bisogno di politiche di co-programmazione e co-progettazione che trasformino queste avanguardie in pezzi di sociale pubblico, in cui le istituzioni siano in grado di assumere un diverso ruolo in un momento in cui perdono forzaâ€.
La riappropriazione degli spazi urbani da parte dei cittadini e delle loro realtà organizzate è un tema molto attuale soprattutto oggi quando sono sempre più necessari spazi che vengano destinati dall’ente pubblico non a uso commerciale, ma per uso sociale. Maria Francesca di Tullio, che da Napoli è stata tra i protagonisti della nascita dell’Osservatorio Permanente sui Beni Comuni della Città di Napoli, ha raccontato l’esperienza dell’“Uso civico e collettivo urbano†degli spazi pubblici lanciato a Napoli e riconosciuto con un’apposita delibera dal Comune con un aggancio costituzionale. Un’esperienza che ha provocato un dibattito nazionale del riconoscimento di questi spazi e attività come beni comuni perché riconosciuti da comunità e gestiti da loro, e che chiede alle istituzioni un ruolo nuovo di complemento e sostegno. Il caso napoletano non è isolato: nel quartiere romano dell’Esquilino la scuola Di Donato si è aperta al quartiere per iniziativa di una associazione di genitori e oggi è parte del Progetto sperimentale “Scuole aperte e partecipate†attivo in 18 città italiane. “Dall’anno scolastico 2002-2003 in cui siamo partiti abbiamo intercettato almeno 5 mila adulti solo tra i genitori – ha spiegato Gianluca Cantisani dell’Associazione Genitori Di Donato – . Dalla scuola-ghetto dove finivano tutti i bambini stranieri, la Di Donato è diventata una scuola internazionale e punto di riferimento del quartiere grazie a un patto di collaborazione tra associazione, scuola e municipio per la co-gestione della scuola. Tutti i giorni alle 16 alle 22 la scuola diventa bene comune, gestito da cittadini e aperto alla comunità â€. La necessità , ora, è quella di far partecipare quelle persone alla costruzione della città fuori dalla scuola, che potrebbe giovarsi della loro esperienza di co-gestori della comunità scolastica.
Un tentativo di co-gestione delle politiche strategiche della città è in corso rispetto alle politiche pubbliche del cibo da parte di una rete di realtà associative, universitarie e produttive della Capitale che, come ha raccontato Francesco Panié di Terra, cerca da oltre due anni di spingere il Comune di Roma a cucire in una specifica Food Policy partecipata, già sperimentata, ad esempio, dal comune di Milano, per connettere le 2.500 aziende agricole del comune di Roma e le circa 16 mila della provincia con i cittadini, utilizzando meglio i 127 mercati rionali della Capitale, oggi in grande difficoltà , e gli acquisti pubblici effettuati per i 150mila bambini che usufruiscono delle mense scolastiche. Il pubblico potrebbe fare la sua parte anche per il lavoro dei giovani, considerato che nel Lazio si trova il delle 10% terre pubbliche nazionali, dei quali 26 mila ettari sono disponibili solo a Roma. Economia pubblica progettata dai cittadini che sempre a Roma, ad esempio, come ha spiegato Marco Bersani di Attac Italia, costituendo un Audit indipendente sul debito pubblico hanno scoperto “che i debiti veri della Capitale non ammontano a 13 miliardi come spesso si favoleggia, ma a 7,8 miliardi, e che di un miliardo conteggiato non si conoscono i creditori. Abbiamo proposto al sindaco di fare un avviso pubblico per rintracciarlo o cancellare il debito, perché la città è sottofinanziata e se non smontiamo la narrativa che ‘a causa dei debiti nulla è possibile’ la città rimarrà immobile, vittima di questa paralisi ideologica che pesa sulla solidità delle aziende pubbliche e sull’effettiva garanzia dei servizi come l’acqua e l’energiaâ€. Ma senza fermento dal basso, ha ammonito, non ci sono istituzioni locali non sono in grado di compiere il loro compito e, ad esempio, come ha raccontato Mario Agostinelli dell’Associazione Laudato sì “nemmeno le diverse realtà che, come la nostra, fanno riferimento diretto dentro e fuori la chiesa cattolica all’agenda per il cambiamento dettata da Papa Francesco, di conoscono, connettono, organizzano e reagisconoâ€.
Per questo sentiamo l’esigenza forte di ringraziare tutte e tutti. Non per aver partecipato al percorso, ma per esserci. E’ stato un cammino dove non abbiamo sentito la necessità di riconoscerci pezzi di uno stesso puzzle. Sappiamo di esserlo. Ma solo accettando di essere pezzi necessari e insostituibili, ma non tutto il disegno, sapremo trasformarci in un manifesto dalle tinte chiare e dalle prospettive credibili. Ecco, partiamo da qui.