Lo stemma di S. Em. Rev.ma il Cardinale Baldassare Reina, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma.
Blasone:
D’azzurro, alla croce latina patente alle estremità, accantonata in capo a destra da una stella di 8 raggi, e in punta a sinistra da tre spighe di grano poste a ventaglio e fogliate di due pezzi, il tutto d’oro.
Lo scudo, accollato alla croce astile doppia trifogliata d’oro, e timbrato da un cappello prelatizio di rosso a 15 fiocchi per lato dello stesso.
Motto:
CARITAS PATIENS EST.
Spiegazione simbolico – teologica
Al centro della composizione araldica si innalza la croce[1], d’oro e patente alle estremità. La caratteristica di patente (dal lat. patens -entis, part. pres. di patere “essere aperto o manifesto, estendersi, allargarsi”) conferisce a questa figura – simbolo per eccellenza della fede cristiana in quanto segno che richiama la Passione, Morte e Risurrezione del Signore – l’aspetto di una croce gloriosa, che estende la sua forza salvifica ai quattro angoli del mondo, abbracciando tutta l’umanità bisognosa di redenzione, offrendo a tutti gli uomini la partecipazione al trionfo di Cristo. È la certezza di questo trionfo che dà forza e gioia ai credenti, nella consapevolezza che “il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male”[2].
Sulla croce Cristo Gesù ha manifestato la grandezza infinita del suo amore, donando se stesso per noi, cosicché il suo amore è fonte e modello di quello nel quale i cristiani sono chiamati a camminare (cfr. Ef 5,2). Dalla Croce gloriosa di Cristo scaturisce l’annuncio del Vangelo. San Paolo parla della “parola della croce” (cfr. 1Cor 1,18) per alludere non già alla croce considerata da sola, bensì alla predicazione di Cristo crocifisso. Sin dalla sua prima predicazione, Paolo non ha esitato ad annunciare Cristo e questi crocifisso (cfr. 1Cor 2,2; Gal 3,1). Se da sola la croce non ha alcuna rivelazione da comunicare, rivelativo è il Cristo crocifisso per le relazioni paradossali che instaura fra Dio e gli esseri umani: con il sangue versato sulla croce egli ha pacificato per sempre il cielo e la terra (cfr. Col 1,1,20). La croce segna l’inscindibile relazione tra il crocifisso e il risorto. L’espressione paolina di 2Cor 13,4 (“Infatti fu crocifisso a causa della debolezza, ma vive dalla potenza di Dio”) esprime, in modo abbreviato, questo legame tra il crocifisso e il risorto.
Gesù risorto mostra, secondo la narrazione degli eventi post-pasquali offerta dal Quarto Vangelo, i segni della sua passione. Nel contesto del “giorno primo”, chiaramente definito dal punto di vista cronologico come culmine della vicenda terrena di Gesù e arricchito di tutto il luminoso significato teologico della rivelazione compiuta nell’evento della sua glorificazione, il risorto appare ai discepoli chiusi nel cenacolo (cf Gv 20,1.19), si fa riconoscere da loro (i segni della crocifissione sulle mani e nel costato garantiscono la continuità tra il Gesù terreno e il Cristo risorto) e affida loro il compito di continuare la sua opera rivelativa e salvifica attraverso il dono dello Spirito (cf. Gv 20,22). Il Risorto inaugura così il giorno dello Spirito, cioè il tempo della comunità testimoniale incaricata di portare e diffondere nella storia degli uomini la luce di Cristo. A partire dal “primo giorno dopo il sabato”, il “giorno” di Cristo si rinnova e rivive continuamente nel cuore e nella vita dei discepoli attraverso l’azione dello Spirito donato al momento della passione-morte-risurrezione. Sarà il tempo dell’interiorizzazione della parola di Gesù, del progressivo approfondimento mediante l’azione dello Spirito, di tutto ciò che egli ha detto e fatto (cfr. 14,26; 16,13).
La prima grande visione di Giovanni di Patmos è la risposta definitiva per chi trova soltanto nel crocifisso risorto chi sia in grado di prendere il libro e di scioglierne i sigilli: “Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un agnello, in piedi come immolato” (Ap 5,6). L’immagine si riferisce alla risurrezione di Gesù che l’Apocalisse, sulla linea del Quarto Vangelo, vede associata con la morte di croce, in una simultaneità operativa che ha luogo nell’assemblea liturgica mediante la sacramentalità[3].
Cristo, crocifisso e risorto, sempre presente e operante nella sua qualità di vivente in mezzo alla sua Chiesa, si dona ai credenti in lui soprattutto a partire dall’Eucaristia, “il pane della vita” (cfr. Gv 6,35-59). Egli sempre invita tutti al suo banchetto che, celebrato nel presente dell’intimità familiare della cena eucaristica (cfr. Ap 3,20), si apre alla celebrazione delle sue nozze escatologiche con la Chiesa e l’umanità tutta rinnovata (cfr. Ap 19,7.9). Le tre spighe di frumento, rappresentate nello stemma idealmente ai piedi della croce, richiamano dunque l’Eucaristia, come nutrimento e guida, nella vita della Chiesa, del singolo credente e nel ministero sacerdotale ed episcopale del titolare. Le spighe, oltre al chiaro riferimento eucaristico, rimandano alle origini del titolare, a suo padre e all’amore di questi per la terra e la coltivazione dei suoi frutti, concetto che del resto è carico di risonanze bibliche.
Accanto alla croce è rappresentata nello stemma anche una stella[4], figura particolarmente diffusa anche negli stemmi ecclesiastici contemporanei, soprattutto come simbolo della Beata Vergine Maria[5]. Maria, Donna della Parola, ha accolto nel suo grembo il Verbo di Dio fattosi carne irradiandolo nel mondo, e come tale è il modello di ogni evangelizzatore, è stella della nuova evangelizzazione. Papa Francesco a conclusione della Evangelii gaudium, richiamando questo titolo di Maria, afferma che “vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”[6]. La stella nello stemma è rappresentata con 8 raggi, a richiamare ancora una volta l’octava dies, il “giorno primo” della redenzione. Il riferimento è anche alle Beatitudini come espressione luminosa della vita nuova del Cristo risorto che sono chiamati a far riprendere in loro i credenti, i quali in Maria trovano un segno di speranza e di consolazione nel pellegrinaggio della vita. Proprio stando presso la croce, la Madre di Dio è divenuta “la più alta testimone” della speranza. Infatti “ai piedi della croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, ripeteva il suo ‘sì’, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore. In tal modo ella cooperava per noi al compimento di quanto suo Figlio aveva detto, annunciando che avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31), e nel travaglio di quel dolore offerto per amore diventava Madre nostra, Madre della speranza. Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare”[7]. Il riferimento alla Vergine Maria nello stemma è peraltro ulteriore riferimento alle origini del titolare, essendo Maria il nome di sua madre.
La stella e le spighe, come la croce, sono rappresentate d’oro, il più nobile dei metalli in araldica. Esso richiama il valore inestimabile della fede, ma anche la beatitudine della nuova vita che, già donata per mezzo della fede ai credenti, diverrà piena e direttamente accessibile nel compimento salvifico della Gerusalemme celeste[8].
Il campo dello scudo è d’azzurro, smalto tipicamente mariano, ma anche colore ideale per richiamare le la vastità del cielo, di conseguenza, la santità meta ultima di ogni credente che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica, e misura alta della vita cristiana. Allo stesso tempo l’azzurro richiama le profondità del mare e dunque la terra d’origine del titolare, l’agrigentino.
Il motto corrisponde alla traduzione latina dell’inizio del versetto 4 del capitolo tredicesimo della prima lettera di San Paolo ai Corinzi. Di fatto si tratta dell’inizio del vero e proprio elogio dell’agapē, dell’amore perfetto che venendo da Dio raggiunge i credenti, chiamati da Dio stesso ad amarsi con lo stesso amore. La prima delle diverse qualità indicate da San Paolo per indicare l’ideale cristiano, modellato sull’agire di Dio e rivelato da Gesù Cristo, è espressa dal verbo greco makrozymein, (“essere magnanimo”) che, insieme a quello indicato successivamente, chrēsteuesthai (“essere benevolo”) esprime l’amore nella sua essenza. La magnanimità caratterizza insieme alla benevolenza il frutto dello Spirito che è amore (Gal 5,22) e costituisce l’atteggiamento degli Apostoli nel loro presentarsi a tutti come servitori di Dio (2Cor 6,6). Un motto che dunque rappresenta un’ideale al quale il Cardinal Reina desidera ispirare il suo ministero episcopale.
Roma, 22 ottobre 2024
San Giovanni Paolo II Papa
don Antonio Pompili
Vicepresidente dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano
Membro dell’Accademia Internazionale di Genealogia
Membro associato dell’Accademia Internazionale di Araldica
[1] La Croce è la figura semplicemente più diffusa in araldica. Per una trattazione più ampia dell’uso della Croce nell’araldica ecclesiastica dei nostri giorni e della sua portata simbolica all’interno degli stemmi ci permettiamo di rimandare ad un nostro articolo: cfr. A. Pompili, “La croce come pezza e come figura nei contemporanei stemmi ecclesiastici italiani”, in Nobiltà. Rivista di Araldica, Genealogia, Ordini Cavallereschi, n. 87 (2008), pp. 565-584.
[2] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 85.
[3] Cfr. U. Vanni, L’Apocalisse, ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna 1997, p. 183.
[4] Le stelle, come la croce, sono state fra le prime figure a comparire sulle armi araldiche e restano fra le più diffuse. Il più delle volte sono rappresentate a cinque, sei o otto raggi: cfr. M. Pastoureau, Traité d’Héraldique, Paris 20085, p. 166.
[5] Con questa valenza mariana la stella è presente anche nello stemma di Papa Francesco. Per un approfondimento sul valore araldico e simbolico-religioso della stella: crf. A. Pompili, “Il libro e la stella: simbolo e arte di due figure diffuse negli stemmi ecclesiastici italiani contemporanei”, in Nobiltà. Rivista di Araldica, Genealogia, Ordini Cavallereschi, n. 86 (2008), pp. 407-432,
[6] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 288.
[7] Francesco, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, Spes non confundit, n. 24.
[8] Ben più preziosa dell’oro provato col fuoco è la fede in Cristo (cf 1Pt 1,7). Nella Gerusalemme celeste la vita splenderà come bene preziosissimo a tutti accessibile, dal momento che essa si presenterà “di oro puro, simile a terso cristallo” (Ap 21,18).