La vedova consacrata, icona della misericordia di Dio

La vedova consacrata, icona della misericordia di Dio

  1. Chiarimento di termini

            Parliamo dell’amore con il quale il Signore ha voluto sugellare e mantenere l’alleanza con il suo popolo. È l’amore fedele di alleanza. Al riguardo sia sufficiente richiamare il ritornello al Salmo 136: «perché il suo amore (di Dio) è per sempre». Tanto nella creazione quanto nella storia della salvezza il Salmista, assieme a tutto il popolo, riconosce l’amore del Signore. Nella precedente versione della Conferenza Episcopale Italiana questo ritornello suonava: «perché eterna è la sua misericordia». La resa con quest’ultimo termine probabilmente teneva conto della versione alessandrina che aveva tradotto l’ebraico con éleos. Quando tuttavia si ha ḥesed, come in questo Salmo, ci si riferisce all’amore di alleanza che si manifesta nella fedeltà: Dio ama il suo popolo perché non vuole venire meno al rapporto con lui.  Nella Bibbia si afferma che come non vengono meno le leggi che governano la vita dell’universo così non tramonterà l’alleanza stabilita con la discendenza di Giacobbe (Geremia 31, 35-37; 33,20-22; 33, 25-25). Pensiamo anche alla parabola del Padre misericordioso: nonostante il figlio  si sia allontanato da lui e abbia ferito il suo amore, il padre lo accoglie e lo reintegra nella comunione, lo ricolma di ogni bene,  perché non vuole né può misconoscere la sua paternità  (Luca 15, 11-32).

            Da chiarire è anche il termine “escatologico”  che useremo più volte. Quest’ aggettivo coglie l’elemento costitutivo della vita cristiana volta alle cose sperate, nel senso della promessa della beatitudine eterna e dell’avvento di cieli nuovi e terra nuova. Ogni attimo della vita cristiana contiene, sperimenta e manifesta il contenuto di queste realtà sperate. Perciò il “già”, ovvero quanto si sperimenta su questa terra, è orientato  a ciò che si compirà in Cielo.

La vita cristiana deve maturare in tale prospettiva. Ad iniziare dal battesimo,  tutti i sacramenti, in quanto eventi con cui Dio ci santifica, hanno una dimensione escatologica. Il battesimo ci rende “nuove creature” – realtà, questa,  significata dalla veste bianca fatta indosare al neo-battezzato - , segna l’inizio di una vita nuova, costituisce il battezzato proprietà di Dio e gli fa  sperare  i beni eterni. Un testo illustrativo al riguardo è Colossesi 2, 3-4: San Paolo, rivolgendosi a quanti erano venuti alla fede mediante il battesimo, li esorta a riscoprire nel vissuto cristiano la pienezza della vita nuova in Cristo: «Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con Lui nella gloria». In questo brano  «la tensione è tra il presente e il futuro, terra e cielo. Il punto è non che il battesimo li (i cristiani) ha tolti dal mondo, ma piuttosto che ha loro aperto la strada in cui vivono nel mondo e nella quale sono impegnati. Infatti, essi diventano testimonianza di un futuro che si compirà alla risurrezione dei morti».

  • 2.  La grazia del Battesimo

Il battesimo è il fondamento degli altri sacramenti. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica  si afferma che «il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito, e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti». Il battesimo è anche  alla base della vita consacrata, in tutte quelle forme, comunitarie ed individuali, previste dal Diritto Canonico della Chiesa. Anche al riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea: «Lo stato di vita consacrata appare quindi come uno dei modi di conoscere una consacrazione ‘più intima’, che si radica nel Battesimo e si dedica totalmente a Dio. Nella vita consacrata, i fedeli di Cristo si propongono, sotto la mozione dello Spirito Santo, di seguire Cristo più da vicino, di donarsi a Dio amato sopra ogni cosa e, tendendo alla perfezione della carità a servizio del Regno, di significare e annunziare nella Chiesa la gloria del mondo futuro». A ciò si aggiunga quanto è sostenuto da San Giovanni Paolo II nell’Esortazione postsinodale Vita consecrata: «la vita consacrata fa continuamente emergere nella coscienza del Popolo di Dio l'esigenza di rispondere con la santità della vita all'amore di Dio riversato nei cuori dallo Spirito Santo (cfr. Romani 5, 5), rispecchiando nella condotta la consacrazione sacramentale avvenuta per opera di Dio nel Battesimo, nella Cresima o nell'Ordine». Quando parliamo della vita consacrata, con il termine “consacrazione” indichiamo la risposta di coloro che, professando i consigli evangelici, intendono seguire più da vicino Cristo, vivere più pienamente in Lui e per Lui, sul fondamento di quella grazia, ricevuta nel battesimo, che li ha “consacrati”, ovvero li ha resi proprietà di Dio. «Queste persone, mediante il voto di castità perpetua quale segno del Regno di Dio, consacrano la loro condizione per dedicarsi alla preghiera e al servizio della Chiesa». Alla  scelta di conformarsi a Cristo in modo più intimo di quanto non sia richiesto con il battesimo, corrisponde, tuttavia, una grazia ulteriore a quella del battesimo, un dono dello Spirito in cui si fonda la scelta della persona  consacrata. Perciò nei riti di consacrazione s’invoca l’effusione dello Spirito Santo. Soltanto grazie a questo dono la persona consacrata può mantenere fede alla vocazione di seguire Cristo nei consigli evangelici. Nel rito di consacrazione o di benedizione delle vedove all’effusione dello Spirito corrisponde il proposito di osservare la  “castità nella continenza vedovile”. La vedova rimane sullo stesso piano della vergine e di quanti abbracciano una qualsiasi altra forma di vita consacrata negli Istituti religiosi o secolari. Ci sembra che San Paolo, sebbene non le riservi una trattazione analoga a quella  nella quale dimostra il rapporto tra la vergine che si dedica al Signore e la donna sposata, distinguendo in 1 Timoteo 5,3-16 tra vedova e vedova “veramente tale”, postula l’esistenza di una particolare appartenenza di quest’ultima al Signore, analogamente alla vergine consacrata. In altri termini, per l’Apostolo la vedova consacrata è assimilabile   alla donna che non si sposa, ovvero alla vergine, per attendere alle cose del Signore e piacere a Lui solo (1 Corinti 7, 34-35). Entrambe - la vergine e la vedova - consapevoli della vocazione battesimale, intendono, unendosi a Cristo, intraprendere un cammino di ascesi costituito del servizio reso  alla famiglia e alla comunità cristiana, ma soprattutto della preghiera, senza della quale è estremamente arduo conservarsi santi nel corpo e nello spirito (1 Corinti 7,34).  All’una e all’altra viene richiesto di vivere la loro consacrazione in modo da rendere visibili i valori legati al proprio stato di vita.

  1. La dimensione sponsale

Negli ultimi decenni la teologia ha prodotto un ripensamento del rapporto tra matrimonio e verginità consacrata. Secondo il modo tradizionale di vedere, il matrimonio rappresentava uno stato di vita destinato a tutti, mentre la verginità consacrata un ideale più alto a cui pochi potevano accedere. Oggi si preferisce parlare di due vie di santificazione o di due vocazioni differenti, sebbene non possa misconoscersi che, dal punto di vista della realtà significata, la verginità consacrata permette alla persona di esprimere le realtà escatologiche in modo più pieno. Tuttavia anche il matrimonio cristiano richiede una condizione di verginità di cuore, nel senso che gli sposi sono tenuti a vivere il loro amore coniugale come manifestazione della grazia del sacramento.

Verginità e vedovanza si alimentano dalla stessa sorgente: l’amore. Lungi dall’essere due strade opposte, sono vocazioni conciliabili nel mistero dell’amore trinitario, sebbene siano da vivere in rapporto al proprio stato di vita. La loro consacrazione è fondata sulla grazia ricevuta nel battesimo che è “un mistero nuziale”, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, e negli altri sacramenti, soprattutto il matrimonio, i quali «sono in effetti atti nei quali lo Sposo e la Sposa si incontrano e si uniscono, lo Sposo divino costituendo la Chiesa-sposa mediante il dono pasquale-eucaristico del suo Corpo, generandola, nutrendola, purificandola, santificandola nello Spirito Santo e coinvolgendola a livello sponsale nella missione al suo seguito (cfr. Efesini 5,21-33)».

Valorizzando il suo corpo come tempio dello Spirito, la vergine consacrata vive in unione a Cristo  già su questa terra, come segno di ciò che sarà in Cielo quando si sarà unita per sempre a Lui, lo Sposo. La vergine è anche «segno trascendente dell’amore della chiesa verso Cristo, immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura»,  manifestando  i tratti della vera natura della Chiesa: unione a Cristo, affermazione del primato dello Spirito, testimonianza dei valori predicati da Cristo per l’instaurazione del Regno. La sua vita annuncia che «il tempo si è ormai fatto breve» (1 Corinti 7,29).

La vedova consacrata, diversamente dalla vergine, è già stata sposa e nell’amore nuziale ha sperimentato l’amore di Cristo. Con la consacrazione è chiamata a vivere in unione allo Sposo celeste, da “vera vedova”, ma senza dover dimenticare il legame con il coniuge al quale, in virtù del sacramento del matrimonio, rimane legata per sempre. Il sacramento del matrimonio aveva dato a questo legame un aspetto di definitività che non può annullarsi con la consacrazione vedovile.      Dunque la sua consacrazione vedovile si fonda,  non solo sul battesimo e sulla confermazione, ma  sull’amore coniugale santificato dalla grazia del sacramento del matrimonio. «Così l’amore sponsale diventa immagine stessa dell’Amore Trinitario, verso il quale l’uomo e la donna, che rispondono alla vocazione battesimale con il sacramento del matrimonio, tendono a perfezionare e completare nell’eternità il loro amore terreno. Ne consegue che, sostenuti dalla grazia, gli sposi condividono un cammino destinato a far crescere il seme dell’immortalità nell’amore nuziale, anzi, in virtù proprio del sacramento, esso vive già nell’eternità”. “Essi si amano nell’amore stesso di Cristo».L’amore degli sposi, costituito della relazione vicendevole, cresce in proporzione all’esperienza da loro vissuta dell’amore di Cristo.  Impegnandosi a vivere il loro amore in questo senso, gli sposi sono «in certo modo consacrati»», come afferma la Gaudium et Spes al n. 48, riprendendo la Casti Connubii di Pio XII. Il senso della frase è che «i due battezzati ricevono, nel sacramento delle nozze e nel loro essere nella relazione, una specifica consacrazione che rende tale relazione abitata dallo Spirito Santo e configura al mistero dell’amore di Cristo e della Chiesa».La dimensione escatologica del matrimonio sacramentale è fondamentale per fondare quella della vedovanza consacrata. Come si accennava, l’amore degli sposi contiene in se stesso un carattere di definitività; è un amore fedele, indissolubile, finalizzato alla vita; esso rende visibile nel sacramento l’amore di Dio per sua natura definitivo. Nello stesso tempo, però, governato dall’economia della grazia, anticipa in modo imperfetto la realtà dell’amore divino. Il matrimonio stesso «appartiene alla figura transeunte di questo mondo. Esso, in una visione cristiana, non è un valore ultimo – afferma il card. Kasper -, ma penultimo e – quindi – provvisorio».  Come valore penultimo che non può essere oggetto di assolutizzazione, esso mostra come la vera realtà non stia nella relazione coniugale in se stessa, bensì nella realtà che questa realizza e rende sacramentalmente visibile.

  1. La dimensione escatologica

Il Concilio Vaticano II ha evidenziato il valore escatologico della vita consacrata, affermando che la consacrazione « ‘meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste’. (…) Le persone che hanno dedicato la loro vita a Cristo non possono non vivere nel desiderio di incontrarLo per essere finalmente e per sempre con Lui. Di qui l'ardente attesa, di qui il desiderio di ‘immergersi nel Focolare d'amore che brucia in esse e che altri non è che lo Spirito Santo», attesa e desiderio sostenuti dai doni che il Signore liberamente concede a coloro che aspirano alle cose di lassù (cfr. Colossesi 3, 1). Fissa nelle cose del Signore, la persona consacrata ricorda che «non abbiamo quaggiù una città stabile’ (Ebrei 13, 14), perché ‘la nostra patria è nei cieli’ (Filippesi 3, 20). Sola cosa necessaria è cercare ‘il Regno di Dio e la sua giustizia’ (Matteo 6, 33), invocando incessantemente la venuta del Signore».La vedova, rinunciando a seconde nozze, analogamente alla vergine che desidera di piacere al Signore, manifesta il fine a cui il matrimonio stesso è destinato: il possesso dell’amore eterno. In altre parole, anche la vedovanza consacrata è segno dell’amore divino e delle realtà celesti.  «Fin da quando ci si sposa si diventa segno di un amore umano in cammino verso l’eternità, la bellezza, la gloria dell’Amore divino. Quando una persona diviene vedova, significa che il coniuge è ‘andato innanzi’, raggiungendo la pienezza del fine in vista del quale ci si è sposati». La vedova, consacrandosi, intende continuare a vivere il suo essere sposa, a pieno titolo, ma in una relazione spirituale differente da quella che esisteva quando poteva contare sulla presenza dello sposo. In tale relazione recupera di per sé la dimensione escatologica presupposta dal matrimonio ed è consapevole che già ora, vivendo in unione con Cristo, continua ad essere felice,  ama ancora di più il proprio marito nell’attesa di incontrarlo definitivamente. La consacrata «infatti è chiamata a coltivare e sviluppare un amore instancabile: si tratta di continuare, di continuare sempre, anche nell’assenza fisica dello sposo; si tratta di possedere cioè una fedeltà coniugale capace di trascendere i confini del tempo». Quest’idea fu espressa in modo sublime da Pio XII nel discorso sulla vedovanza tenuto il 16 Settembre 1957. «La Chiesa gioisce nel veder coltivate le ricchezze spirituali proprie di tale stato. La prima fra tutte, ci sembra, è la convinzione che la morte, anziché distruggere i legami d’amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può perfezionarli e rafforzarli». In pratica, consacrandosi a Cristo, Sposo celeste, la vedova tende al raggiungimento di questa pienezza d’amore, sulla terra mai pienamente unificato e trasparente  a causa della condizione pellegrinante cui si è soggetti.

 La vedova sceglie «in forma specifica e positiva di vivere una condizione di verginità consacrata», per usare le parole dell’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, nell’Omelia per la celebrazione durante la quale ha benedetto quattro sorelle iscritte all’Ordo Viduarum della diocesi ambrosiana il 18 giugno 2012. In altri termini, si può dire che la vedovanza consacrata è «una chiamata a nuove nozze in Cristo e con Cristo» nelle quali la vedova, giovandosi dell’esperienza nuziale vissuta, si pone  «in emulazione alle vergini».

Secondariamente, la dimensione escatologica della vedovanza può anche essere considera in rapporto al fatto che l’essere senza marito rende la vedova  segno delle realtà celesti, in modo simile  alla vergine. Consapevole per esperienza del valore penultimo del matrimonio, la consacrata intende testimoniare l’unione a Cristo e il primato dello Spirito, valori  che troveranno la loro  piena espressione in Cielo. Come la vergine, anche la vedova esprime la tensione della Chiesa in cammino verso la vera patria. «Avendo colto in questa luce lo stato vedovile, i Padri della Chiesa antica invitavano le vedove in grado di cogliere l’orizzonte escatologico del loro stato a non contrarre nuove nozze, pur lasciando la libertà di risposarsi, in vista di un nuovo cammino nuziale». Sant’Agostino, ad esempio, esorta le vedove a restare fedeli al proposito emesso per non dispiacere a Cristo che si vedrebbe tolto il dono ricevuto.Un altro elemento da tener presente per vivere la dimensione escatologica della vedovanza consiste nel fatto che la Chiesa come Sposa attende di ricongiungersi allo Sposo celeste a cui  rimane intimamente legata con la consacrazione. Questo aspetto venne indicato da Pio XII nel discorso succitato. «La vedovanza raffigura la vita presente della chiesa militante, privata dalla visione del suo Sposo celeste, al quale tuttavia resta indefettibilmente unita, avanzando verso di Lui nella fede e nella speranza, vivendo di quell’amore che la sostiene in tutte le prove, attendendo impazientemente l’adempimento delle promesse iniziali». Più recentemente quest’idea è stata ripresa da Papa Francesco nell’omelia della messa a Santa Marta, il 17 Settembre 2013, commentando il brano del Vangelo di Luca sulla vedova di Nain con queste parole: «penso che questa vedova» sia «un'icona della Chiesa, perché anche la Chiesa è in un certo senso vedova». «Il suo Sposo se ne è andato e Lei cammina nella storia, sperando di trovarlo, di incontrarsi con Lui. E Lei sarà la sposa definitiva. Ma in questo frattempo Lei, la Chiesa, è sola! Non è il Signore visibile. Ha una certa dimensione di vedovanza... E mi fa pensare alla vedovanza della Chiesa».

            Se poi si tiene presente la condizione umana della vedova, privata del marito, provata da ciò che quest’assenza può provocarle, condizionata sfavorevolmente nella qualità della vita, non c’è dubbio che la consacrata diventa anche immagine di coloro cui è promesso il Regno. La tensione escatologica, già insita nel battesimo, attualizzata nel matrimonio e vissuta con maggiore consapevolezza nella consacrazione, si sostanzia nella condizione umana ed esistenziale  da lei vissuta; condizione che la rende capace di sviluppare quelle attitudini morali e quelle virtù per le quali diventa ancora più visibilmente segno di quello che la Chiesa sarà in Cielo.

Tra i tanti passi della Scrittura che parlano della vedova, per evidenziare quest’aspetto, ne scegliamo due. Il primo è la parabola della vedova importuna  che  insiste tanto nel voler essere ascoltata che alla fine il giudice cede alle sue preghiere (Luca 18,1-8). Questa vedova non ha nessuno cui rivolgersi per essere ascoltata o che le possa fare giustizia; può soltanto confidare nel Signore. Nel v. 8 Gesù  la ritiene  immagine degli eletti ai quali Dio farà giustizia senza farsi attendere. L’altro esempio concerne la vedova di cui parlano Marco 12,41-44 e Luca 21,1-4; a differenza degli altri fedeli che mettevano nella cassa delle offerte il loro superfluo, questa povera donna dà tutto quello che possedeva, un soldo, a quell’epoca l’unità monetaria minima. Riceve la lode del Signore, dal momento che ha rinunciato a tutto ciò che aveva, animata dalla fiducia in Dio. Perciò diventa modello di chi intrattiene con Lui una relazione intima   (cfr anche la vedova di Zarepta al tempo di Elia in 2 Re 17,8-16 ). Nella logica delle beatitudini sono proprio quelli che confidano nel Signore e che offrono tutto ciò che hanno, pur di avere Dio come il loro Tutto, coloro che manifestano già quaggiù le realtà celesti.

  1. La misericordia di Dio

 

            In che modo in cui la consacrazione vedovile diventa specchio dell’amore fedele di Dio? La Chiesa insegna che «tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo (…) è, per così dire, il lavacro di nozze (cfr. Efesini 5, 26-27) che precede il banchetto di nozze, l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell’alleanza di Cristo e della Chiesa». Come si è detto, l’amore di alleanza - quello di cui parliamo a proposito del rapporto sponsale tra Dio e il suo popolo nell’Antico Testamento, tra Cristo e la Chiesa nel Nuovo, ed infine quello di cui le nozze sono il segno sacramentale - , è mantenuto da parte del Signore, nonostante i limiti e le fragilità della controparte, perché Egli vuole essere fedele alla relazione con il partner. Ricordiamo le parole dell’oracolo di Isaia 49, 15: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai».

            Tale amore è una delle attitudini peculiari del legame tra il Signore e il popolo. Non si tratta di semplice sentimento, bensì del modo stesso in cui Egli, mediante i suoi interventi salvifici, rende stabile l’alleanza. Ciò è avvenuto anche nell’economia salvifica precedente alla venuta di Cristo, ovvero nell’Antico Testamento, ad una fase della quale il Signore annuncia al popolo il compiersi di un’alleanza nuova ed eterna mediante il dono dello Spirito (Geremia 31,31-34; Ezechiele 36,24-28). Ed è lo Spirito, ricevuto nel battesimo, che agisce anche nella vedova consacrata per il mantenimento di questa relazione di alleanza e d’amore.

Il Vescovo al momento della consacrazione invoca su di essa lo Spirito Santo: «Manda ora lo Spirito Santo su di essa», perché conduca una vita umile e casta, nella quale risplenda al di sopra di tutto una carità gioiosa e operosa. Lo Spirito è il medesimo Spirito ricevuto nel matrimonio, quello donato agli sposi «perché, per tutta la vita, tendano instancabilmente a questo amore, pur con tutti i suoi limiti e le loro mancanze, nella consapevolezza che ciò che è loro impossibile, è possibile a Dio (Luca 1,37)». Tuttavia, dal punto di vista umano, lo Spirito, nel caso della vedova consacrata, non soltanto riempie il vuoto creato dalla perdita del marito, bensì mantiene viva la relazione che aveva con lui  quando era possibile amarsi vicendevolmente nel segno dell’amore divino. Per comprendere appieno quanto l’amore di Dio, incarnato nel dono dello Spirito, possa riempiere la vita della vedova, è sufficiente pensare a cosa produce la scomparsa del proprio marito. «L’interrompersi della relazione sponsale è (dunque) una ferita – forse la più profonda ferita – inflitta all’essere stesso della persona. In tale frangente non è in gioco la perdita di un qualcosa, ma di qualcuno e, nella perdita di qualcuno, è la relazione stessa che entra nella notte del suo dolore e della sua perdita/lontananza e, con esse, il senso profondo della vita, incapace di spiegarsi e di compiersi dopo che, trovato l’amore nella persona dell’altro/a, non lo può più sperimentare». Vitalizzata amorevolmente dallo Spirito, la vedova consacrata incarna i valori appartenenti al suo stato di vita nella loro concretezza, trascendenza e finalità. Con la chiamata alla consacrazione, sceglie di vivere questi valori non in se stessi, per quanto anche in se stessi in virtù del battesimo e del matrimonio ricevuti, siano espressione di grazia, bensì inserendoli nel piano salvifico dell’amore di Dio. Così la sua umanità è trasfigurata nell’amore fedele e misericordioso del Signore. Il modo in cui Dio ama le vedove è  identico a quello con cui ama gli orfani e i forestieri oppure i poveri in genere; tuttavia, è particolare rispetto a quello con cui ama altri membri del popolo. Quest’affermazione forse potrà sembrare un po’ ardita, ma è fondata sulla Sacra Scrittura. Assieme agli orfani e ai forestieri  - in pratica a coloro che rappresentavano le categorie deboli  nell’Antico Testamento - le vedove sono oggetto di misericordia da parte di Dio proprio perché nella loro condizione umana esprimono quei valori che il Signore vorrebbe che appartenessero a tutto il popolo santo; inoltre, esse, proprio perché vivevano uno stato di minorità e spesso finivano per essere succubi della famiglia del marito defunto, non potevano contare su nessun’altro che non fosse il Signore.

Perciò alla vedova si richiede corrispondenza all’amore fedele con il quale il Signore l’ha unita a sé. Ovvero che accolga l’amore di Dio con impegno, obbedienza e coerenza. All’ inizio del cap. 2  il profeta Geremia fa emerge la reciprocità dell’amore di alleanza, nel senso parla dell’amore di Dio per il popolo e dell’amore del  popolo per Lui: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata». Tale amore, tuttavia, nella logica della nuova alleanza non è soltanto frutto della propria volontà, bensì è espressione dello stesso amore con cui Dio ama gli uomini. L’amore con cui Dio ama la vedova si trasforma nell’amore con cui la vedova risponde a Dio. In altri termini, nella fedeltà alla sua consacrazione la vedova esprime lo stesso amore con cui Dio l’ha chiamata a vivere una comunione più intima con Lui.

Così da oggetto di amore la vedova consacrata diventa soggetto di amore. Non a caso, nella preghiera di consacrazione il Vescovo prega il Signore con queste parole: «Possa manifestare la tua misericordia soprattutto a favore degli indifesi, dei miseri, e di chi spera soprattutto nel Regno. Possa incamminarsi, da oggi, nella costante preghiera per tutto il tuo popolo, certe di essere da Te ascoltate». In altri termini, diventando segno dell’amore di Dio per lei, la vedova s’impegna a vivere il suo stato come un vero e proprio carisma. Si tratta dell’unico amore. Anche della vedovanza consacrata si può perciò affermare che essa è «un’alba di eternità beata», ovvero «l’anticipo nell’immersione totale nell’amore del Padre per il Figlio nello Spirito Santo». Come ci ricorda San Paolo, non c’è carisma più grande dell’amore: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grade è la carità» (1 Corinti 13, 13).

  1. Conclusione

            La vedova ha nelle comunità cristiane la missione di trasmettere i valori autentici legati all’amore fedele di Dio. Deve lasciare trasparire nella sua vita ciò che è definitivo ed eterno. Con la sua vita confessa la certezza del superamento di ogni forma di distacco, lacerazione e solitudine.  Essendosi consacrata a Dio, ha il compito di testimoniare la misericordia divina su ogni fragilità e debolezza, nella certezza che ogni limite, anche quello posto dalla morte del proprio coniuge, può superarsi se si vive l’amore di Dio.  

In Maria, Madre di misericordia, la vedova consacrata ritrova il suo modello più alto. «La vita consacrata guarda a Lei come a modello sublime di consacrazione al Padre, di unione col Figlio e di docilità allo Spirito, nella consapevolezza che aderire «al genere di vita verginale e povera»di Cristo significa far proprio anche il genere di vita di Maria». Già come promessa sposa di Giuseppe, Lei si era consacrata per sempre al Signore. Quel suo “eccomi” la coinvolse a tal punto da farla diventare il modello di ogni vergine, di ogni sposa, di ogni madre e di ogni vedova. Negli occhi della Vergine Maria la vedova consacrata contempla il senso della propria consacrazione al Signore ed intuisce che le prove a cui sarà soggetta saranno poca cosa rispetto alla gioia di essere stata scelta dal Signore a testimoniare su questa terra le realtà intramontabili del Cielo.

UFFICIO PER LA VITA CONSACRATA
Telefono 0669886217
Fax 0669886546
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

Ufficio Vita Consacrata Copyright 2021 - Tutti i diritti riservati -