Nella Prima Lettera a Timoteo, Paolo ci informa che a Efeso le vedove (5, 3-16) costituivano un gruppo a sé e attesta l’esistenza nell’epoca apostolica di un ordo viduarum. Paolo fa una netta distinzione tra le donne che sono vedove solo perché i loro mariti sono morti e quelle che svolgono un ruolo speciale nella Chiesa e che devono possedere i requisiti da lui elencati. Secondo Paolo, la donna veramente vedova e rimasta sola, deve avere non meno di sessant’anni, deve essere stata moglie di un solo marito, ha allevato i suoi figli e nipoti, e ha in suo favore la testimonianza delle opere buone e della preghiera, deve praticare l’ospitalità, e venire in soccorso agli afflitti. Ignazio di Antiochia, nella Lettera agli Smirnesi (13,1), menziona «le vergini chiamate vedove»: forse il vescovo di Antiochia assimila le vedove alle vergini per la castità. Policarpo, nella Lettera ai Filippesi, qualifica le vedove come «altare di Dio»
L’esistenza di un vero e proprio Ordo viduarum è constatabile alla fine del II secolo, agli inizi del III. Le vedove che fanno parte dell’ Ordo viduarum aspirano a una vita cristiana più perfetta. Uno dei primi documenti che attesta l’esistenza di un ordine ufficiale di vedove è la Tradizione apostolica, che, scritta a Roma verso il 218, è una testimonianza della vita della comunità romana all’inizio del secolo III.
Il testo (cap. X) è di capitale importanza: la vedova è «istituita» solo con la parola, ma non riceve l’imposizione delle mani, perché essa non offre l’oblazione e non presta un servizio liturgico. La vedovanza è essenzialmente uno stato ufficialmente riconosciuto e organizzato dalla Chiesa, il cui scopo principale è la preghiera. Il rito d’ingresso nell’Ordo, molto semplice in origine, seguirà lo sviluppo che si constata negli altri campi della liturgia.
Marcella e Paola a Roma si dedicano a una intensa vita spirituale e ascetica (cf. Girolamo, Epp. 127 e 108). Monica, la mamma di S. Agostino, ha un grande ruolo nell’educazione del figlio. Altre vedove svolgono un ruolo attivo nel cristianizzare la società. Attestata per Roma dalla Tradizione apostolica, l’esistenza di un Ordo delle vedove all’inizio del sec. III è menzionata, per l’Africa, dagli scritti di Tertulliano (220) e, per l’Oriente, dalla Didascalia, composta verso il 230 in Siria. Le testimonianze si moltiplicano nel sec. IV, fino a diventare esplicite nel secolo VI, specialmente per quanto riguarda il rito di ammissione. Anche i concili si occupano dell’Ordo viduarum ed emanano norme riguardanti le vedove e la loro ammissione all’Ordo. Contrariamente all’istituzione delle diaconesse che tende a scomparire in Occidente a partire dal sec. VI, l’istituzione delle vedove professe persisterà sino in pieno medioevo. I testi liturgici e canonici dei sec. XII-XIII menzionano ancora il modo in cui si fa la professione di vedovanza.
In Occidente il declino dell’Ordo viduarum inizia con l’affermarsi della vita comunitaria monastica. Le vedove professe per tutto il primo millennio vivevano nella propria casa. A partire dal sec. IX cresce l’ostilità contro questa usanza. I concili (Parigi, 829; Lateranense II, 1139) e i Papi (Innocenzo III, decretale del 1199) sempre più proibiscono la professione di quelle vedove che restano nella propria casa. A partire dal sec. XIII sono rari i casi di vedove professe che vivono nel mondo. Il Pontificale Romano del 1485 non prevede più il rito della professione specifica di vedovanza. Le vedove che desiderano condurre una vita di perfezione, chiedono con insistenza di essere ammesse in una comunità di monache, dove sono accettate facilmente, perché non è più il caso di fare una distinzione tra le donne, siano esse nubili o vedove, dal momento che fruiscono della loro libertà, fanno voto di continenza e si sottopongono alle esigenze della regola.
L’istituzione delle vedove professe che vivono nel mondo, ampiamente vissuta nell’antichità, proibita dalla Chiesa nel medioevo, divenne nuovamente oggetto di interesse, dopo la fine della prima guerra mondiale (1918), e la Chiesa non solo tollerò, ma favorì il movimento. Venne così ripristinato l’Ordo viduarum che, a partire dal sec. III fino al sec. XIV, era stato tenuto nella massima considerazione presso le comunità cristiane. Ne prende atto lo stesso Giovanni Paolo II che nell’esortazione postsinodale Vita consecrata (25 marzo 1996) scrive: «Torna ad essere oggi praticata anche la consacrazione delle vedove, nota fin dai tempi apostolici (cf. 1 Tim 5,5.9-10; 1 Cor 7,8), nonché quella dei vedovi. Queste persone, mediante il voto di castità perpetua quale segno del Regno di Dio, consacrano la loro condizione per dedicarsi alla preghiera e al servizio della Chiesa nell’Ordo viduarum» (n. 7c).
Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser. Era molto avanti negli anni: dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quella stessa ora, anche lei lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Lc 2, 36 - 38
Presentazione di Gesù al Tempio