La vedova, soggetto e oggetto di misericordia nella Chiesa antica

La vedova, soggetto e oggetto di misericordia nella Chiesa antica

Nella prima organizzazione dell'evo cristiano, quale ci risulta dalle cosiddette "Lettere Pastorali" (documenti della seconda metà del sec. I d.C.) e, precisamente, nella prima lettera a Timoteo, è dedicato alla vedova il cap. 5, 3 - 25. In essa ci si occupa di due angolazioni vedovili: la prima, di aiutare le vedove per la loro situazione di precarietà esistenziale; la seconda, di come valorizzarle, facendo confluire le vedove in un istituto ministeriale ecclesiale, il coetus viduarum. È scritto nella Lettera a Timoteo:

La vedova, "rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte.. .sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene ... Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove".

L'evo patristico susseguente, oltre a prendersi cura dei bisogni connessi alla precarietà dello stato vedovile, − rientrava allora nell'idea di religione della Lettera di Giacomo che "la religione pura e senza macchia presso Dio e Padre si ha nel visitare i bambini (orfani) e le vedove nella loro vita tribolata" (Gc 1,27) -, ne curò anche una spiritualità, sostanziata di preghiera ma molto attiva e attenta, chiedendo precisi requisiti per iscriverle, a chi lo richiedeva, nel catalogo ecclesiale delle vedove. Lei doveva "avere allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, essere andata in soccorso agli afflitti, aver esercitato ogni opera di bene".

Quanto alla letteratura, si parla in genere delle vedove in concomitanza con le "vergini consacrate". Nella Chiesa latina occidentale si hanno tuttavia due scritti che ne trattano espressamente: il De viduis di Ambrogio, scritto dopo il De virginibus del 377 cui seguì il De virginitate del 388, e il De bono viduitatis di Agostino del 416, sotto forma di lettera a Giuliana della famiglia degli Anici e madre della famosa Demetriade. Da questi due scritti ricaviamo la peculiarità del coetus viduarum in auge nel periodo patristico dei secoli IV-V.

 

  1. La vedova in epoca prenicena

La vedova cristiana, per la sua vita dedita ad una costante preghiera, era considerata simile agli "altaria dei" (Tertulliano, Alla moglie 1,7) nell'ambito dei profeti Questi, agli inizi delle comunità cristiane, ricoprirono un ruolo liturgico insieme ai dottori che invece erano preposti all'insegnamento nelle comunità e curavano l'istruzione dei catecumeni.

Dato l'inserimento in comunità di falsi profeti (2Tim 3,6) e di falsi dottori (1Tim 4,2) le prime comunità si orientarono per la loro direzione a scegliere vescovi e diaconi (Didachè 11, 1-12). É scritto nella Didaché:

« Sceglietevi dei vescovi e dei diaconi degni del Signore. Essi eserciteranno la funzione dei profeti e dei dottori » (Didaché 15, 1).

In tale nuovo orientamento l'elemento femminile perde terreno e alcune vedove, contestate dalle comunità cristiane di estrazione giudaica, trovarono posto in gruppi 'ereticali', ad esempio, nelle sette gnostiche (Ireneo, Adv haer. 1,13,21; 1,6,2-4 dove una donna rende grazie) e montaniste. Quest'ultime rivalutarono la profezia sino a porla al di sopra delle sacre Scritture e anche ordinarono donne nella linea dei presbiteri e dei vescovi (Eus. GE 18,14).

Quanto ad una documentazione quasi ufficiale per le comunità, in epoca prenicena (prima metà del sec. III) abbiamo per l'Occidente la Traditio Apostolica (ed. B. Botte, Münster i. W. 1963) e, per l'Oriente siro, la Didascalia Apostolorum, documenti normativi e liturgici insieme. Nei due documenti si registra la beneficenza privata e comunitaria nei riguardi delle vedove, equiparate ai malati e ai poveri (Trad. 24 e 30; Didasc. 2, 25,2-3), e si parla del coetus delle vedove come un istituto riconosciuto nelle comunità (Trad. 10; Didasc. 3, 7,1 ss.). La vedova incarna in particolare un ideale di continenza. Le Didascalia si occupano anche della diaconessa i cui compiti sono più attivi di quelli della vedova, come visitare le donne ammalate, ungere le donne all'entrata nel fonte battesimale ed accoglierle all'uscita (Didasc. 2, 26, 6; 3, 12, 1-13). Forse la stessa Febe di 1Cor 16 e Rom 16,1-2 era una vedova, dato che Paolo la ricorda da sola.

La Traditio apostolica coopta le vedove senza imposizione della mano (vidua non ordinatur (xeiretonein) sed eligitur ex nomine, Trad. 10, Botte p.30) e assegna loro il ruolo della preghiera. Esse vengono onorate in comunità tanto da rientrare nelle richieste al battezzando se le onorassero (an honoraverint viduas, Trad. 20, Botte p. 42) e, per la dovuta attenzione nella necessità di essere aiutate, vengono equiparate ai malati e ai poveri (Trad. 24 e 30, Botte, p. 62 e 74).

Riguardo ad un loro ruolo in comunità, ad esse viene riservato l'opus spiritale di essere 'altare Dei' , spazio che tuttavia divide con le virgines sacrate digiunando spesso e pregando per la Chiesa (Trad Ap. 23, Botte, p.60). A lei viene richiesta totale sottomissione al Vescovo, che diviene il suo difensore (defensor viduarum).

L'ideale della vedova è la sua perseveranza nella castità scelta ('in castitate adhaerere', Didasc. 3, 1-2).

 

  1. La vedova in epoca postnicena

Con l'avvenuta pace costantiniana del 313 tra Chiesa e Impero, la vedova vive nell'ambito dell'ascesi domestica ma acquista maggiori spazi pubblici. Prendendo poi spazio nella società cristiana del tempo il valore della continenza, dato il nascere e lo svilupparsi del monachesimo, la vedova viene inserita tra la verginità e la castità coniugale creando con esse veri modelli di vita ascetica. In tale contesto la continenza vedovile diventa anche oggetto di trattati di vita ascetica, come nel caso di Ambrogio e di Agostino.

Emerge frattanto in epoca postnicena il gruppo delle diaconissae. Ne danno notizia le Constitutiones Apostolorum (di ambito siriaco del 380 c.)  in cui le vedove sono "viduae ecclesiae, personae electae" (Const. 8, 12,45), tuttavia nella lista vengono dopo le diaconissae (mentre nella Didasc. Ap., le precedevano) ma precedono le vergini (Const. 8, 12,44). Questo documento si occupa principalmente della diaconessa, in particolare nei cc. 6-8; alle vergini dedica due paragrafi (4 e 8) dicendo di loro ciò che nelle Didascalia si diceva delle vedove. In merito alla scelta delle vedove viene rilevato che essa sia dettata da zelo per la pietà e non da disprezzo per il matrimonio (Const. 4, 14, 1-3 e 8, 24, 2). L'autore delle Costituzioni Apostoliche vede nella verginità l'ideale della continenza, nella vedova vi nota di più l'ideale ascetico.

Un altro documento d'interesse è il Testamentum Domini (ed. Rahmani, Mainz 1899) della seconda metà del sec. V. In merito alle vedove esso s'ispira alla Tradítio Hyppoliti (c. 10). Di rilevante nel non risposarsi della vedova c'è la motivazione di fede. La vedova svolge inoltre il suo lavoro nella gioia e senza ostentazione, incoraggia le giovani che vogliono vivere nella verginità che anche raduna per la preghiera comune (Test. 1, 40,1). La vergine trova nella vedova, all'interno della comunità ecclesiale in cui è inserita, una guida sperimentata alla sua scelta verginale.

Le vedove tuttavia nelle comunità cristiane postnicene guadagnano più spazio delle diaconesse, data l'entrata nel coetus viduarum di donne vedove di preminente rango sociale.

Nel IV secolo, infatti, e nella prima metà del sec.V scelgono di far parte del coetus viduarum molte vedove di posizione sociale elevata, spesso di rango senatorio, come ad esempio si ha negli scritti di Girolamo per Paola della famiglia degli Scipioni, di Marcella vedova del senatore Cereale (Epp. 108, 3-5; 127, 2), in Agostino per Giuliana della famiglia degli Anici. Esse, data la loro consistenza patrimoniale, si dedicano ad attività caritative, promuovono costruzioni di monasteri soprattutto in Palestina, intraprendono pellegrinaggi.

La stessa legislazione imperiale dopo il 313 favorì le viduae incluse con le feminae e le mulieres, come si evince dai ventuno titoli del Codice Teodosiano (CTh 1,22; 2,16; 3,5; 3,7; 3,8; 3,9; 3,11; 3,13; 3,17; 4,12; 5,1; 8,16; 9,9; 9,14; 9,21; 9,24; 9,25; 9,42; 10,20; 13,10; 16,2). Nei loro riguardi recita, ad esempio, la costituzione del 329 "Viduas... speciali indulgentia dignas credidimus" (CTh 9, 21,4), dove indulgentia ha il significato tecnico di venia/gratia per una violazione della legge a motivo dell'ignoranza. Similmente nella costituzione di Onorio e Teodosio del 414 (CTh 2, 16,3) si dice: "Et mulieribus et minoribus in his quae vel praetermiserint vel ignoraverint, innumeris auctoritatibus consta esse consultum", dove il consultum/consulere indica il 'prendersi cura, venire in aiuto'. Le viduae sui iuris (prima di 25 anni non potevano contrarre liberamente un nuovo matrimonio) godevano di maggiore libertà anche economica, tuttavia la costituzione di Valentiniano-Valente e Graziano del 371 (CTh 3, 7,1) introdusse un regime più restrittivo per quelle che passavano a seconde nozze, nel senso che spettava al giudice giudicare la causale e non alla vedova. In tale contesto s'inseriscono gli scritti riguardanti le vedove, di Ambrogio di Milano e di Agostino d'Ippona che qui esaminiamo.

  1. Ambrogio, De viduis (Opera omnia, Verginità e vedovanza I, Città Nuova, Roma 1989; ed. Cantagalli, Siena 202)

Ambrogio, il già consularis (governatore) della Liguria e dell'Emilia, nel 377 a tre anni dalla sua consacrazione episcopale, scrisse il De virginibus (in PL 16, 187 - 232) in cui fa riferimento ad esempi di vita associata di vergini consacrate:

 

«Vengono dal Piacentino vergini per consacrarsi, vengono dal bolognese, dalla Mauritania, per essere velate (1, 10,60)... Che dire delle vergini bolognesi, schiera feconda del pudore che, avendo rinunziato alle delizie del mondo, abitano il sacrario della verginità? Senza aver compagno l'altro sesso, avendo a compagno il pudore, cresciute fino al numero di venti e al frutto di cento, lasciato l'asilo dei genitori, pongono le tende nei tabernacoli di Cristo, militi infaticabili della castità: ora fanno risuonare canti spirituali. ora si guadagnano da vivere col lavoro, e anche per l'elemosina cercano ausilio con la mano » (Virginb. 1, 10,57).

Subito dopo, nella stessa linea scrisse per donne vedove, associate e consacrate, il De viduis, cui seguì il De virginitate (in PL 16, 265-302) per rispondere a chi l'accusava di persuadere troppe giovani alla scelta dello stato verginale. Nel trittico ambrosiano il referente della vergine come della vedova è, in primo luogo, la Chiesa che comprende anche la Madre del Signore, di cui loro sono un'immagine vivente. Come referente sociale la donna cristiana, in particolare la vergine, aveva allora di fronte la "vergine vestale" che, a Roma, godeva d'immensa stima pubblica tanto che se un condannato le incontrava per strada, riceveva la grazia della liberazioneCon tali scritti, Ambrogio volle sostituire nella società tardoantica l'immagine della donna romana con quella cristiana, facendo leva sulla vergine consacrata e sulla vedova, ambedue legate dal voto di continenza e pubblicamente viste come testimonianza vivente di Chiesa.

Della vedova Ambrogio indica le condizioni per essere accolta nel coetus viduarum, ne delinea la virtù e la operatività.

− Quanto all'accoglienza Ambrogio tratta anzitutto della vedova che si sceglie come tale e viene approvata (ubi eligitur vidua quae probata est, 2, 8). Le condizioni di sceglierla e approvarla sono quelle della Lettera a Timoteo: l'essere stata univira e abbia non meno di 60 anni (1Tim 5, 3). Il caso di ammettere una vedova più giovane, rispetto all'età indicata nella Lettera a Timoteo, per Ambrogio vale l'argomentazione che adoperava per accogliere una giovane tra le vergini consacrate, se l'età può essere una pregiudiziale per essere arbitri di se stessi, non lo è per essere testimoni della divinità. Egli, pertanto, sulla possibilità di assumere nell'ordine delle vedove anche delle giovani, pur considerando le difficoltà cui si va incontro, non ne escludeva la possibilità.

L'accoglienza nel coetus era tuttavia operativa dopo un periodo di prova in cui la vedova non solo maturava alcune convinzioni al riguardo, ma anche dimostrava di essere capace di affidare la propria vita al Signore, che sceglie come suo bene primario. Egli scrive:

«Viene scelta la vedova che è provata, non solo è ammaestrata a pensare, ma anche a sperare riguardo al Signore (Viduis 2, 8)... (Nella vedova di Sarepta) era grande il dovere della pietà, ma più fecondo fu quello della religione... il Profeta di Dio dovette essere anteposto al figlio e alla salvezza... a lui diede tutto il sostentamento della sua vita, lei che nulla lasciò per sé, tanto ospitale da dare tutto, tanto fedele da credere subito » (Viduis 1, 6).

− Quanto alla virtù della vedovanza, essa è un dono divino, « è del Signore - infatti- promettere la perennità dei sacramenti celesti e garantire una grazia imperitura di spirituale esultanza, elargire i sussidi della vita, i sigilli della fede, i doni della virtù » (Viduis 3, 17).

Egli sottolinea pertanto che, se la vedovanza è una necessità, la virtù della vedovanza, "che non si qualifica solo per la continenza del corpo, ma per la virtù" (Ivi 2, 7), è grazia (Ivi 1, 3). Essa si esplica nella pietà famigliare verso i figli e i genitori (utrumque pietatis affectum, 2, 7), nell'ospitalità, come ad esempio la vedova di Sarepta per il profeta Elia (3Reg 17, 9ss), e non è quindi ristretta agli amici e ai parenti, ma a chiunque si trovi nel bisogno, perché noi cristiani "non siamo limitati da un confine prestabilito riguardo all'ospitalità ... perché anche noi siamo ospiti del mondo" (Ivi 1, 5).

− L` "opus virtutis" della vedova, grazia della castità (gratia castitatis, 11, 68) che va oltre la servitù coniugale (coniugalis definitio servitutis, 11, 69) e ricade su di lei come un onore tributatole persino dai vescovi (Ivi 2, 8), viene riassunta da Ambrogio in tre compiti particolari che ne delineano l'immagine e il ministero nella comunità ecclesiale: l'officium pietatis (verso i figli e i genitori), l'impegno dell'ospitalità espletato con umile atteggiamento (studium et humilitatis obsequium), il ministero di una misericordia abbondante (misericordiae ministerium liberalitatisque). Se il primo compito riguardava la sua famiglia, gli altri due impegni portavano la vedova nel vivo delle difficoltà della società del tempo: gli itineranti per necessità (a causa di carestia e guerre), le difficoltà di matrimoni andati a male in cerca di aiuto, come di violenze estreme che causavano la morte. La vedova è presente agli uni con l'ospitalità, agli altri col ricreare possibilità di reinserimento nella comunità cristiana che li aveva emarginati nel cosiddetto "luogo dei penitenti".

Ambrogio, per un compito così gravoso, prende in seria considerazione anche le difficoltà che, per il comune sentire, si pensano connaturali alle donne perché di 'sesso debole'. Al superamento di tali difficoltà, il vescovo di Milano fa rilevare anzitutto che la debolezza fisica può essere compensata dalla fortezza d'animo, che nella donna si manifesta proprio quando non è sotto tutela dell'uomo. Egli, per l'occorrenza, chiama in causa gli esempi di donne bibliche, quali Giuditta, Debora (Gdc 4, 4-22), Giaele:

« La storia, ci tiene a sottolineare il vescovo di Milano, a incoraggiare gli animi femminili, ci dice che una donna fu giudice, una donna prese decisioni, una donna fu in grado di profetare e, in mezzo a truppe combattenti, con femminile autorevolezza insegnò l'arte militare. Dunque, o donne.. .non avete ragione di attribuire la vostra instabilità alla debolezza del sesso o alla perdita del sostegno del marito. Siete perfettamente in grado di sussistere e di difendervi, basta non venga meno la forza dell'animo (Viduis 8, 50 - 51), voi che potete raggiungere il vertice del potere pubblico (Ivi 9, 52)... Le vedove pertanto non solo non hanno bisogno dell'aiuto dell'uomo, ma sono anche di aiuto agli uomini (il caso di Debora) che si accollò le funzioni degli uomini e, avendole assunte, le portò a compimento... Dunque la natura non è rea di colpa, né schiava della debolezza: i coraggiosi non li fa il sesso, ma la virtù» (Viduis 8, 44).

La scelta della castità vedovile, per la sua riuscita, presuppone poi un'idea adeguata di castità e l'aver presente la modalità di assimilazione. La castità, pertanto, rileva Ambrogio, non è tanto un astenersi da rapporti sessuali quanto una virtù che si esplica positivamente sul piano dei rapporti con gli altri. Inoltre il totale donarsi che essa comporta non spoglia l'individuo immiserendolo, in quanto inserisce la vedova in una capacità di rapporti umani più ampi.

Allo stesso modo l'avviare una giovane alla scelta verginale richiede il rispetto della sua sensibilità femminile che, per natura, non soffre scosse violente, ma assimila gradualmente. Pertanto egli vieta che, all'inizio, vengano dati alla vergine ordini o comandi che potrebbero offendere il suo delicato sentire di donna. Bisogna darle piuttosto baci e carezze che le consentano di sviluppare il suo amore verginale e il suo iniziale entusiasmo sino a tradurlo gradualmente in una scelta di fedeltà costante.

La scelta della castità, per Ambrogio, è un'esperienza di Chiesa che si fa all'interno della comunità, la quale conosce un triplice stato, ognuno degno di lode: il matrimoniale, il vedovile e quello della verginità consacrata. I tre stati sono infatti l'uno nell'altro perché, se la vergine nasce dal matrimonio, dallo stato vedovile prende forza lo stesso magistero della vergine. Non a caso Ambrogio dedica nel De viduis uno degli elogi più belli alla vergine consacrata:

« La verginità - egli sottolinea - è lode dell'età, e non cerca aiuto dagli anni, poiché è frutto di tutte le età. Conviene all'adolescenza, adorna la giovinezza, rende più grande la vecchiaia. In ogni età essa ha i capelli bianchi della sua giustizia, la maturità della gravità, il velo del pudore » (4, 25).

La vedova, d'altra parte, nella comunità cristiana è testimonianza quotidiana di vita vissuta, per la castità custodita per Iddio e per la religione vissuta come primo dovere nella vita, affidando a Dio tutta la propria esistenza. La sua vita, tipo della Chiesa che prega (Viduis 2, 11- 13 e 3, 14 - 20), è infatti una vita di fede dedita alla preghiera. Per tale motivo anche la verginità trae scuola di vita dalla vedovanza, rafforzando il suo stesso magistero dall'esempio delle vedove.

La vedova, infine, è in grado di vivere l'officium della sua vocazione, perché è capace di misericordia, che anzi ne costituisce il ministero più operativo.

«È prossimo - sentenzia Ambrogio - chi fa misericordia. Fa' anche tu misericordia, e sarai parente di Pietro. Non il vincolo del sangue, ma l'affinità della virtù fa parenti poiché non camminiamo nella carne, ma nello spirito. Ama la parentela di Pietro, l'affinità di Andrea, affinché preghino per te »(Viduis 9, 54).

Ambrogio affronta anche le difficoltà che si fanno alla condizione della vedova. Lei, si obbietta, appartiene all'infirmitas sexus (il corrispondente dell'infirmitas aetatis dell'uomo) che già nel diritto romano giustificava la tutela mulierum. Ambrogio parla delle lacrime della vedova che la sostengono nel dolore dell'animo in quanto il piangere "concilia la misericordia, diminuisce la fatica, toglie il dolore, conserva il pudore.. .per lei (è) ricompensa della carità e compito della pietà" (Viduis 6, 36).

Egli si ferma tuttavia sulla sua fortezza d'animo che supera la fragilità della sua natura (7, 37; 8, 44 e 51), ricavandolo dall'esempio biblico di Giuditta che sconfisse Oloferne (7, 3742 - 8, 43); di Debora che "mostrò come le vedove non solo non hanno bisogno dell'aiuto dell'uomo, ma sono anche di aiuto agli uomini, lei che ... si accollò i compiti degli uomini e, assuntili, li compì" (8, 44­47); di Giaele, che vinse Sisara (Giudici 4,17-22) e profetizzò la nascita della Chiesa dalle genti (Viduis 8, 47-50), le cui armi per vincere le potenze inique non sono quelle del mondo, perché "le armi della Chiesa sono la fede e la preghiera" (8, 49) che, divenute proprie della vedova, ne costituiscono la continua occupazione (si cura non desit, Ivi 8, 51).

Qualcuno obbiettava ancora che il discorso fluiva "per una vedova benestante" (Viduis 9, 53). Ambrogio incoraggia la vedova in difficoltà chiedendole di essere fiduciosa delle persone che ha vicine, sia perché pregano per lei sia perché anch'esse con la misericordia le si rendono prossime.

La vedova, che faceva professione di vedovanza, vestiva anche un abito modesto, di colore scuro (in Girolamo, Ep. 38, 3; 39, 3 habitu a matronis ceteris separato), che le permetteva di avvicinare le persone più umili, ricalcando in sé l'atteggiamento del medico celeste che

« non suole solo visitare i ricchi, ma anche i poveri e i servi dei poveri (et servulos pauperum visitare).. .Il Signore non disdegna di visitare le vedove e di entrare nell'angusta abitazione di un vile tugurio. Dà ordini come Dio, fa visita come un uomo » (Viduis 10, 60).

 

L'exortatio finale di essere vedove degne della loro virtù, Ambrogio la dedica a ricordare loro che la vedovanza ecclesiale non le colloca al di sopra di altre donne, perché la Chiesa è costituita da tutti. Egli scrive:

« Come esortiamo le vedove alla grazia della virtù, così sollecitiamo le donne all'osservanza della disciplina della Chiesa, perché la Chiesa è costituita da tutti" (Viduis 11, 70)... bisogna lasciare che ciascuna valuti le proprie capacità e che non sia costretta dall'autorità di un precetto, ma sollecitata dall'aumento della grazia (Ivi 11, 71)...(tenendo presente che) il precetto è emanato per i sottoposti, il consiglio è dato agli amici (Ivi 12,72) ... Infatti la forma di un mandato può essere duplice: l'una è precettiva, l'altra è volontaria (Ivi 12, 73)... La fedeltà è d'obbligo, la misericordia è in premio" (Fides igitur ex debito, misericordia in praemio, Ivi 12, 74) ... Infatti il precetto riguarda la castità, il consiglio l'integrità ... è la volontà non l'impotenza che fa il continente... una virtù d'altro genere, per le quali devono acquistare pregio: fede salda, misericordia abbondante, avarizia lontana, grazia continua» (Ivi 13, 75).

4.Agostino, De bono viduitatis, in Opera omnia VII, 1, Città Nuova, Roma 1978).

Agostino scrive "Sul bene della scelta vedovile", circa 40 anni dopo lo scritto di Ambrogio. Egli cede all'insistenza di Giuliana della famiglia degli Anici, che aveva fatto professione di vedovanza (de professione sanctae viduitatis), di scriverle qualcosa in merito, e lui ne scrive per lei e altri interessati (1,1). Lo fa nella linea dell'apostolo Paolo, sia circa la dottrina che è alla base di tale scelta di vita (quae ad vitam moresque pertinet, 1, 2)( cc. 1- 15,19 la prima parte); sia circa delle esortazioni che possono aiutare a viverla (16, 20 - 23, 29, la seconda parte del piccolo trattato).

Quanto alla parte dottrinale (la prima parte), la "vedova cattolica che ne fa professione (catholica vidua)",- egli premette - la fa nell'ambito della fede cristiana (3, 4), e viene consigliata dall'apostolo Paolo di non rimaritarsi (1Cor 7,8) senza per questo disprezzare chi si risposa come vollero i discepoli di Tertulliano e Novaziano (4, 6). Suggerisce perciò a Giuliana: "non esagerare i meriti della tua vedovanza tanto da condannare negli altri, come male, ciò che male non è. Godi piuttosto del tuo bene" (4, 6), essendo beni sia la pudicizia coniugale che la continenza vedovile (Et bonum est pudicitia coniugalis, sed melius bonum est continentia vidualis, 5, 7).

La professione di vedovanza, una volta fatta, va poi mantenuta, perché la volontà che non mantiene tale voto va condannata, dato che "quando è stato emesso il voto, occorre essere perseveranti" (9, 12; 11, 14).

Se tuttavia - ci tiene a precisare - seguisse il contrario, che cioè ci si risposi, le nozze sono comunque valide, anche se qualcuno pensa il contrario che cioè il matrimonio di persone consacrate sia piuttosto un adulterio o non sia un vero matrimonio (10, 13).

Qualcuno, osserva Agostino, vuole anche stabilire "una certa graduatoria di meriti fra le diverse categorie di vedove… come quelli che valutano il merito delle vedove dal numero dei mariti e non dallo sforzo compiuto per osservare la continenza (qui de numero virorum, non de ipsius continentiae viribus pensant merita viduarum)" (13, 16). Per la perseveranza nella castità unita ad una sana religiosità, Agostino cita l'esempio neotestamentario di Anna che "sposata una sola volta… tenne fede al proposito di continenza vedovile, perseverando in esso fino a tarda età, unendolo a profonda religiosità e devozione (vidualis continentiae munus usque ad tardam senectutem tanta pietatis servitute perduxerit)" (Ivi).

La scelta di vedova cattolica, come Giuliana, non si pone pertanto al di sopra di altre scelte di esistenza nella Chiesa, ma all'interno di tre beni: il matrimonio da cui è nata Demetriade, la sua scelta vedovile, e quella verginale scelta dalla figlia Demetriade:

« Voi avete offerto a Cristo quella sacra vergine che è tua figlia…Ora lei aggiunge qualcosa del suo merito di vergine ai meriti vedovili di sua nonna e di sua madre…Voi vi siete sposate e, sposandovi, avete perso la verginità, ma questo ha permesso che nascesse da voi una sacra vergine » (Ivi 14, 18).

Nella seconda parte, circa l'esortazione per vivere la vedovanza (15,19 - 23,29), Agostino riprende in sintesi la dottrina esposta affinché l'esortazione "faccia sì che un proposito di bene sia ornato e sostenuto da vera dottrina.. .dato che su questi tre argomenti -matrimonio, vedovanza e verginità-, egli rileva, ci sono molte questioni insidiose e molte incertezze" (15, 19).

Tuttavia, riguardo alla scelta della vedovanza, le cose da tener presenti sono principalmente tre.

  1. Ringraziare Dio di amare la continenza, perché si tratta di un dono deposto dallo Spirito santo nel cuore della vedova. Dice infatti l'Apostolo "Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per riconoscere i doni che Dio ci ha elargiti" (1 Cor, 2,12; in De bono viduitatis 16, 20).
  2. Aver presente che l'aiuto della grazia di Dio non distrugge il nostro libero arbitrio (Ivi 17, 21). Infatti, precisa il vescovo d'Ippona

« Chi potrebbe avere la virtù della continenza.., se non chi la vuole? ...Ma se mi chiedi da chi venga accordata al nostro volere la possibilità di ricevere e di possedere, ascolta la Scrittura 'sapendo che nessuno può essere continente, se Dio non glielo concede' (Sap. 8, 21, in De bono viduitatis 17, 21) (dato che) "colui che fa crescere è Dio"(1 Cor. 3,7, Ivi 18, 22).

  1. Perseverare nella continenza perché scelta per

« piacere con la massima intensità al   'più bello tra i figli degli uomini' (Sal 53, 3; in Ivi 19, 23)... dalla cui deformità sulla croce è scaturito il prezzo della vostra bellezza ».

Rivolgendosi infine alla madre e alla figlia, conclude:

« Tutte e due, madre e figlia, avete incontrato la Persona a cui piacere mediante la castità, che è la vostra comune bellezza e, per questa Persona, avete ricusato le nozze: tu, le seconde, lei anche le prime ... A Lui tenetevi insieme unite ... In questa bellezza vi è socia, bella come voi, colei che per tua figlia è nonna (Proba), per te suocera… Quanto al rigoglio di questa bellezza, finché c'è la carità a dilatarla e farla progredire, gli anni non la segnano con le rughe... Siate assidue nell'orazione » (Ivi 19, 24).

La vita della persona consacrata scorre pertanto

«nello stato di santa castità e occorre che le gioie spirituali prendano il posto dei piaceri carnali: la lettura, 1'orazione, la salmodia, i buoni pensieri, l'impegno in opere di bene, l'attesa della vita futura, l'elevazione del cuore. E, inoltre il ringraziamento al Padre di ogni lume per tutti questi benefici» (Ivi 21, 26).

Raccomanda infine a Giuliana di curare la stima sociale del buon nome, perché non

«è sufficiente avere una buona coscienza davanti a Dio, non interessando affatto la stima degli uomini. Questi tali agiscono con imprudenza, anzi con crudeltà ... uccidono l'animo del prossimo... Chi ha cura della propria reputazione è caritatevole verso gli altri» (De bono viduitatis 22, 27).

A loro compete infine il diffondere la vita consacrata:

"Avanti dunque nella vostra corsa! Correte con perseveranza finché non raggiungiate la meta. Con l'esempio della vita e con parola di persuasione attirate al vostro seguito quante più persone potrete" (Ivi 23, 28).

Conclusione

Alcuni elementi sintesi sulla figura della vedova, inserita nel coetus viduarum, che possiamo ricavare dalla storia cristiana antica (sec. II - V), possono essere i seguenti.

  1. Quanto alla documentazione normativo-liturgica ricaviamo le seguenti indicazioni.

Nella Chiesa prenicena, sin dall'inizio la vedova costituisce un coetus, cioè un gruppo che gravita nell'ambito dei profeti con ruoli liturgici. Quando nel sec. III, la comunità cristiana, come responsabili di comunità, optò per i vescovi e i diaconi, che assunsero in sé anche il ruolo di profeti e dottori (Didachè 15, 1), le vedove sopravvissero in sette ereticali (gnostiche e montaniste). Nelle comunità della Grande Chiesa vennero equiparate ai malati e ai poveri per provvedere alle loro necessità (Trad. 24 e 30; Didasc. 2, 25,2-3). La vedova, dal punto di vista spirituale, incarnava un ideale di continenza e di preghiera, cui si doveva grande onore (Trad. 20; 24; 30, Botte, p. 42, 62, 74).

In epoca postnicena, la vedova acquistò maggiori spazi pubblici, ,anche perché entravano in tale coetus vedove di rango sociale economico elevato. La vedova, inserita tra la castità coniugale e la verginità, si faceva promotrice di un particolare modello di vita ascetica, quello dell'ascesi della continenza che, liberandola dai legami maritali, le permetteva socialmente di essere operativa a largo raggio. Su tale ideale si scrissero trattati di vita ascetica, come quelli di Ambrogio e di Agostino.

  1. Il De viduis di Ambrogio è un vero trattato sulla spiritualità della vedovanza cristiana, che si proponeva come un modello di vita femminile all'interno della stessa società romana di cui, con le vergini consacrate, era immagine vivente della Chiesa (per Ambrogio, per chi non sapeva leggere e per chi non era cristiano). L` "opus virtutis" della vedova, grazia della castità (gratia castitatis, Viduis 11, 68), si esplicava su tre versanti: la famiglia se ne aveva bisogno, l'ospitalità, il ministero della misericordia. Se sappiamo abbastanza dei primi due ambiti di operatività della vedova, sappiamo meno sulla specificità del suo ministero della misericordia. Forse il modo di far riferimento, da parte di Ambrogio in De viduis 3,16 - 17, alla vedova di Sarepta, figura della Chiesa per il cui granaio il Verbo raccoglie, ogni giorno, il cibo dai peccatori (Christus, cui quotidie de peccatoribus cibus, ecclesiae cumulo congregatur, Viduis 3, 17), rimanda al ministero della misericordia della vedova, legato alla riconciliazione dei penitenti. In tale contesto pensiamo vada letto anche Viduis 10, 65 dove si parla della vedova che "amministra il corpo e il sangue di Cristo", rende cioè possibile, con la sua opera di riconciliazione, il ridare ai peccatori l'eucaristia, oppure portare l'eucaristia ai carcerati.

Rimane da precisare il misericordiae ministerium liberalitatisque che viene considerato specifico della vedova e non solo nel senso generale di ogni opera di bene. Ambrogio, infatti, parla di Cristo dal quale "ogni giorno viene raccolto il cibo tra i peccatori per l'ammasso della Chiesa" (Viduis 3, 17), alludendo al perdono dei penitenti che affonda nella grazia dell'incarnazione "In senso mistico si mostra anche che il Figlio di Dio per costruire la Chiesa ha assunto i sacramenti del corpo umano" (Viduis 3, 20).

Ambrogio usa il termine `misericordia' per l'aiuto ai poveri "Docuit Scriptura (il Vangelo di Luca sui due spiccioli della vedova, Lc 21, 2-4 che commenta in Exp. In Lc 10, 6)...quam misericordem in pauperes et liberalem esse conveniat" (Viduis 5,27) (Viduis 5, 27)Concludendo con la vedova di Sarepta Ambrogio sottolinea "quanta grazia conferisca 1'elemosina" (Viduis 4, 21) legata al perdono dei peccati e "quanto sia grande nelle vedove il dono della benedizione divina" (Ivi) in quanto la vedova di Sarepta meritò il  segno profetico della venuta di Cristo. Ambrogio dà della Scrittura sempre due livelli interpretativi, nel caso della vedova essa sul piano morale dà tutta se stessa, sul piano mistico le due monete sono i due testamenti di cui nutre la sua fede e la sua capacità di misericordia, tanto da essere una donna cristiana perfetta nella fede e nella grazia. Egli scrive:

« Attingendo dalla sua fede, ha offerto in sostegno agli uomini i due testamenti… ha unito la fede alla misericordia »(Viduis 5, 29).

Il tesoro della vedova è "il profumo della fede che gli altari del tuo cuore esalano e spira l'affetto della mente religiosa" (odorem fidei quem altaria tui cordis exhalent et religiosae mentis spiret affectus) (Viduis 5, 30). La sua castità operosa lavora di notte e di giorno, rimane fedele al marito, alleva i figli, serve i poveri (Viduis 5, 31), le sue mani infatti non sono mai vuote di misericordia, di fede, di castità, quei 'doni di pietà' (pietatis munera) che aiutano a crescere anche le giovani che la vedono al lavoro (Viduis 5, 32). Il suo vivere, infatti, è scuola per le nuove generazioni:

« La giovinetta ti veda mentre lavori, ti veda mentre servi » e il loro progredire nella vita cristiana è la ricompensa di Dio alla vedova (Viduis 5, 32). La vedova che istruisce non richiamando chi è più giovane, ma mostrando uno stile di vita che, nel caso della nuora, si tradurrà nell'aiutarla nella vecchiaia, come Ruth che invece della sua casa paterna preferì stare con la vedova Noemi (Viduis 6, 33; in Ruth 1-2), perché "Un ottimo insegnamento non conosce indigenza" (Viduis 6, 33)

  1. Agostino, nel piccolo trattato De bono viduitatis, scritto per la matrona romana Giuliana, si preoccupa di aiutarla a vivere la vedovanza cristiana da lei scelta, fondata sulla sana dottrina della Chiesa che, nei tre stati possibili alla donna, non ne persegue uno disistimando l'altro. L'esortazione conclusiva è la fedeltà al voto fatto.

Quanto al 'ministero della misericordia' cioè all'operare della vedova, Agostino ne enumera i servizi in altri discorsi in quanto la misericordia è una componente di ogni credente, enfatizzata al suo tempo in relazione al servizio delle vedove, quasi da divenirne una specificità, come nel caso di Ambrogio.

Sintetizza Agostino in un sermone dedicato alla spiegazione dell'ospitalità a Gesù di Marta e Maria:

Ser. 104, 2: « Crediamo forse che fu biasimato il servizio di Marta, tutta occupata nelle incombenze richieste dall'ospitalità dato che aveva accolto come ospite il Signore?... Se un simile biasimo è giusto, lascino pure tutti il servizio prestato ai bisognosi... di chi è forestiero nel proprio paese, di chi ha bisogno del pane, del vestito, d'essere visitato, riscattato, seppellito. Siano eliminate le opere di misericordia (quis peregrinus in vico sit, quis egeat pane, quis indumento, quis visitandus, quis redimendus (il carcerato), quis sepeliendus; vacent opera misericordiae) perché si possa attendere solo alla scienza della salvezza?.. Ivi 7: Queste scompariranno; si devono tollerare, non amare. Se vuoi adempiere il compito di Marta occupandoti di esse devi usare la moderazione e la misericordia: la moderazione nell'astenerti da eccessi, la misericordia nel largire. Passerà la fatica e arriverà il riposo; ma si arriverà al riposo unicamente attraverso la fatica ».

Agostino nel suo piccolo trattato che intitola "I1 bene della scelta vedovile" rappresenta un tempo quando tale coetus stava cedendo nel servizio ecclesiale. Lui negli anni 397 - 401 dedicò a sua madre vedova Le confessioni. Monica non era del ceto sociale alto, ma una comune madre di famiglia. Di essa Agostino fa un'immagine della Chiesa, che fa nascere nella fede, fa rinascere nella fede quando qualcuno la perde, custodisce la fede nella sua famiglia che pertanto si trasmette in famiglia. Nel primo ventennio del sec. V si è ad una svolta di evangelizzazione: non sono le nobili matrone romane che se ne fanno carico, ma ogni madre di famiglia, muova figura vivente della Chiesa.Venuto poi a scomparire il locus paenitentium si entra nella fase del pellegrinaggio in penitenza dei propri peccati.

Vittorino Grossi 14.11.2015

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