È l’amore la forma più autentica della conoscenza

Riprendiamo sul nostro sito un articolo firmato da Michela Altoviti pubblicato su «L’Osservatore romano» di sabato 23 marzo 2024 in cui si parla dell’incontro di spiritualità per la Pasqua 2024 degli insegnanti di religione cattolica della diocesi di Roma. L’Ufficio pastorale scolastica resta a disposizione per la rimozione dal sito su richiesta degli interessati.


È l’amore la forma più autentica della conoscenza

Saper suscitare «la domanda di senso nei più giovani» è la missione affidata agli insegnanti di religione cattolica della diocesi di Roma sabato sera, 16 marzo, dall’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero per l’evangelizzazione. Il presule ha infatti presieduto nella basilica di San Giovanni in Laterano una celebrazione a conclusione del pomeriggio di spiritualità organizzato dall’Ufficio per la pastorale scolastica del Vicariato quale consueto appuntamento in prossimità della Santa Pasqua. Guardando in particolare al Vangelo della quinta domenica di Quaresima, Fisichella ha osservato come il testo evangelico «mette al centro la domanda dei Greci e quindi di coloro che non erano giudei, i non credenti secondo il modo di pensare di allora», che avevano il desiderio di “vedere Gesù”; da qui il richiamo alla necessità per un docente di religione cattolica, pur nella «complessità del momento sociale attuale — sono ancora le parole dell’arcivescovo — in cui una cultura nuova, che è solo agli inizi, modifica lo stile di vita dei nostri giovani» , di saper proporre e far «suscitare la richiesta di un incontro personale con Lui», non riducendo dunque la lezione di religione cattolica ad un nozionistico trasferimento di informazioni o ad una «spiegazione su Gesù».

Fisichella ha spiegato ai tanti insegnanti riuniti nella cattedrale — cui ha affidato «il compito di suscitare un interrogativo che oggi non è più posto, quello che da sempre l’umanità si pone sul senso della nostra vita» — di essere in grado di comprendere la difficoltà del loro lavoro, essendo stato egli stesso un docente all’inizio del ministero sacerdotale, svolgendo il proprio incarico al liceo Virgilio di Roma, «quando la vita e la cultura del nostro Paese erano molto diversi». Guardando ancora al momento presente, monsignor Fisichella ha osservato che «nella nostra società, nonostante il secolarismo che invade tutto l’Occidente», c’è ancora «un profondo senso religioso: seppure attenuato — ha proseguito — è insito nella domanda “Io chi sono e come devo svolgere la mia vita?”»; è solo «attraverso tale interrogativo che può sorgere il desiderio di vedere il Signore e di incontrarsi con Lui — ha detto ancora il presule — e di questo noi possiamo essere strumento credibile ed efficace, portando gli altri a vedere il Signore, nella misura in cui ognuno di noi abbia vissuto personalmente questa esperienza». Per Fisichella si tratta di «fare emergere il nucleo fondamentale del Vangelo, che è il mistero della Pasqua: la vita che viene donata e la vita che viene restituita in pienezza», affinché davvero «la fede possa essere la vera risposta a Dio che si rivela». Spesso infatti, ha chiosato l’arcivescovo, come «la folla presente nel Vangelo», si attribuisce «ad un tuono o alla voce di un angelo quanto viene udito» e questo dipende dal «nostro modo di stare davanti alla Parola», riconoscendola o meno come «D io che entra in relazione con noi», a dire che è importante chiedersi se «la Parola, quando viene proclamata e anche quando è nelle nostre mani perché noi possiamo parteciparla ai nostri studenti, trova orecchie attente e ascolto coerente». Soprattutto, per monsignor Fisichella, «quando Dio parla la prima risposta è — o dovrebbe essere — il silenzio dell’ascolto», affinché non ci siano «equivoci». Da ultimo, un inciso sul significato dell’espressione evangelica “perdere la propria vita” che «è l’insegnamento di Gesù ai suoi interlocutori nel Vangelo odierno», ha detto l’arcivescovo, chiarendo come «davanti alla domanda sul senso della vita noi poniamo l’esempio di Colui che la vita l’ha persa per poterla godere in pienezza». Perciò «non vuol dire morire» ma «consegnarsi a Lui e dunque essere realmente discepoli», nella consapevolezza che «la morte vissuta da Gesù, in un modo che tocca e colpisce anche il centurione romano, è un’esperienza di rivelazione dell’amore di Dio e di come ci ama: dando tutto se stesso». A questo proposito, Fisichella ha ricordato anche l’insegnamento di san Bonaventura, «il profondo teologo dell’amore», che riconosceva appunto nell’amore «la forma più autentica della vera conoscenza».

Prima della celebrazione eucaristica, con la preghiera di alcuni salmi di pellegrinaggio, i docenti, animati dal coro degli insegnati di religione del Vicariato, guidato dal professor Luigi Lazzari, hanno avuto la possibilità — in occasione della celebrazione dei 1700 anni dalla fondazione della Basilica di San Giovanni — di riconoscersi «comunità ecclesiale in piena unità con tutto il popolo di Dio della nostra diocesi», come ha detto nel suo saluto il direttore dell’Ufficio scuola diocesano Rosario Chiarazzo, guardando anche al prossimo Giubileo del 2025, rispetto al quale ha manifestato all’arcivescovo Fisichella piena disponibilità e volontà di collaborazione. Ancora, ringraziando per la partecipazione e per il loro lavoro i docenti, il direttore ha espresso un sincero augurio per una Santa Pasqua, alla luce «della nostra vita di fede e del nostro Battesimo, con cui tutto ha avuto inizio». In tal senso Chiarazzo ha ripreso gli spunti offerti dalla dottoressa Nataša Govekar, direttore della Direzione teologico-pastorale del dicastero vaticano per la comunicazione, che prima della Messa aveva tenuto una riflessione a carattere artistico-spirituale su “La fede attraverso le immagini”, proprio in riferimento alla basilica lateranense. In particolare, l’esperta si è soffermata sul mosaico dell’abside della cattedrale, richiamando, tra l’altro, il valore del Battesimo di Gesù nel Giordano quale manifestazione da parte di Dio del Figlio e spiegando il significato simbolico e allegorico della croce gemmata che nel medaglione centrale — posto all’intersezione dei due bracci — riproduce al suo interno proprio Giovanni Battista che battezza Gesù.