5 Aprile 2024
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Incontri formativi: La dimensione culturale, pubblica e politica della fede cristiana (Programmato per il19 marzo e RINVIATO AL 18 APRILE)
Prof. Giuseppe Lorizio
Direttore Ufficio Cultura Vicariato di Roma
Docente emerito presso la PUL
Ci proponiamo il superamento di una visione privatistica e individualistica della fede cristiana, rilevandone in primo luogo la dimensione comunitaria, con riferimento alla chiesa e alla ecclesiogenesi come “comunicazione della fede”.
In secondo luogo, siamo chiamati, anche come docenti, a vivere ed esprimere la dimensione culturale della fede cui aderiamo. Sembra un momento favorevole per tanti motivi. Nel nostro Paese è in atto un dibattito, a tratti vivace, su quella che il potere di turno denomina “egemonia culturale”. Non possiamo sottrarci dal partecipare e dire la nostra, prendendo le distanze proprio da una concezione che rischia di strumentalizzare la dimensione culturale per affermare l’egemonia del proprio gruppo o peggio del proprio partito sugli altri. La cultura autentica ci libera da tali tentazioni sempre in agguato. Al tempo stesso non possiamo non misurarci con la tendenza all’esculturazione del cristianesimo. Non possiamo riprodurre modelli del passato, perché, come afferma papa Francesco nella Veritatis gaudium, abbiamo bisogno di una vera e propria “rivoluzione culturale” (n. 3 e nota 27 con riferimento alla Laudato si). Tale rivoluzione sarà possibile e si potrà attuare grazie alla nostra (personale e di gruppo) capacità di compenetrare i contesti nei quali siamo inseriti. La Chiesa Italiana richiama di recente la necessità dell’impegno nell’ambito culturale. Rimando per tutto ciò al mio articolo pubblicato su Avvenire (https://www.avvenire.it/agora/pagine/chiesa-e-cultura-e-arrivato-il-tempo-della-presenza).
Infine, ma non per ultima la dimensione “politica” della fede e la necessità di una rinnovata “teologia politica”. Se abbiamo assistito a una sorta di irruzione del “religioso” in politica, è perché, certamente con intenti strumentalizzanti, i politici intercettano aspetti inquietanti e diffusi di quel “ritorno al sacro” di cui si parla da tempo. Non si tratta di episodi da marginalizzare e non prendere sul serio, anche perché pongono domande cruciali alla teologia. Dal mio personale (spero non individuale) punto di vista, quella della politica è un’esigenza profonda della stessa teologia, che non può non sporgersi sulle vicende umane e sulle loro espressioni. La polis ha un urgente bisogno di presenze religiose che non si affermino solo a partire dall’emozione e dal sentimento, ma anche dal pensiero e dalla ragione. La minaccia del fondamentalismo religioso e del conflitto di civiltà non si sradica soltanto con iniziative di intelligence poliziesca. Abbiamo bisogno di un’intelligence della fede e delle fedi per non soccombere a tentazioni di pericoloso fideismo. In questo contesto ricevere dalla teologia cristiana una elaborata riflessione sulla “laicità”, a partire dal loghion cristologico (e direi gesuano) del “restituite a Cesare ciò che è di Cesare e restituite a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12, 16-17) può certamente ispirare l’azione politica di quanti non intendano la laicità come pura e semplice neutralità, ma piuttosto come appartenenza ad un popolo (laos) che crede e che vuole pensare.
Testo di riferimento: Aa. Vv., Tra Cesare e Dio. La cultura del risorgimento a 150 anni da Porta Pia, Edizioni rosminiane, Stresa 2022.
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