Sono passati esattamente cinquant’anni – era il 31 maggio 1970 – dalla promulgazione da parte della Congregazione del Culto Divino del nuovo Rito della Consacrazione delle vergini, voluto da Paolo VI. Papa Montini recepiva così la volontà dei Padri conciliari, che avevano chiesto di ripristinare questo rito in uso fin dai primi secoli della Chiesa. Per celebrare l’anniversario, Papa Francesco ha inviato una lettera alle consacrate dell’Ordo Virginum. «La vostra chiamata – dice il Santo Padre – mette in luce l’inesauribile e multiforme ricchezza dei doni dello Spirito del Risorto che fa nuove tutte le cose. Al tempo stesso essa è un segno di speranza».
Ricordando che «la pandemia ancora in corso ha costretto a rinviare l’incontro internazionale per festeggiare questo importante anniversario», il Pontefice evidenzia che «la fedeltà del Padre ancora oggi pone nel cuore di alcune donne il desiderio di essere consacrate al Signore nella verginità vissuta nel proprio ordinario ambiente sociale e culturale, radicate in una Chiesa particolare, in una forma di vita antica e al tempo stesso nuova e moderna». Di qui l’invito del Papa a proseguire «in questo cammino», e a collaborare con i vescovi perché «vi siano seri percorsi di discernimento vocazionale e di formazione iniziale e permanente».
Proprio nella diocesi di Roma avvenne la prima consacrazione con il nuovo rito: nel 1973, con Rosella Barbieri. Le vergini consacrate attualmente presenti in diocesi sono trentanove, mentre una ventina sono le donne in formazione; a guidarle è il vescovo delegato monsignor Paolo Ricciardi, mentre l’assistente è don Concetto Occhipinti. «L’Ordo Virginum è una realtà in cui l’antico e il nuovo si intrecciano e prendono la forma dell’oggi – riflette Cecilia Caiazza, vergine consacrata della nostra diocesi -. Forma antica perché affonda le sue radici nei tempi apostolici, nella originalità della vita evangelica, e nuova per la sua rifioritura all’indomani del Vaticano II, quando si stabilì anche il rito della consacrazione delle vergini fosse rivisto».
«Con il cuore abitato dallo Spirito di Dio – osserva ancora Caiazza – e dall’intimità con Cristo Gesù fino ad assumerne “gli stessi sentimenti”, potremo abitare col cuore la città, come “lampade accese” che scrutano, vegliano, vigilano, ascoltano, soffrono e offrono, amano, ed accendere la fiamma della fede con l’olio della carità, della tenerezza, della maternità, fino “a dare la vita per un amore più grande”».
2 giugno 2020