Inizio anno

A chiunque, genitore o educatore che sia, abbia il privilegio di accompagnare i nostri ragazzi nel mistero sorprendente della vita, il compito di indicare la strada della speranza

Durante questi giorni di festa ho pensato a quale sarebbe potuto essere il modo migliore di iniziare l’anno per questa rubrica. Ho appuntato diverse idee che avrò modo di condividere prossimamente, visto che di tante che mi sono ronzate in testa alla fine è stato un episodio capitatomi recentemente a convincermi di essere quello giusto per questo inizio 2018. Lo racconto brevemente.

A inizio dicembre mi invitano per una conferenza su adolescenti e mondo digitale, tema sempre più richiesto e su cui nell’ultimo anno ho avuto modo di intervenire e scrivere spesso. Arrivo sul posto con una relazione rodata e verificata in numerose formazioni con docenti, educatori, genitori e gli stessi adolescenti: parlerò dei social e dei loro processi, di Instagram e di Whatsapp, di echo chamber e drifting postmoderno, di storylling digitale e nuove sintassi mentali della Generazione Zero; lo farò in modo comprensibile e accattivante, susciterò un bel dibattito e l’incontro funzionerà alla grande.

Quando entro nella sala, una bella sala di un complesso al centro del paese che mi ospita, sistemo il pc, carico il prezi dell’intervento, scambio quattro chiacchiere con il signore che si occupa del proiettore. L’ambiente in realtà è semivuoto, probabilmente verrà poca gente, mi dico «pazienza», esco per una breve telefonata a casa prima di iniziare. Quando rientro ecco la sorpresa: la sala si è riempita in tutti i posti, addirittura vedo portare sedie aggiuntive, c’è tanta gente. Resto sorpreso non tanto per l’affluenza inaspettata, quanto per il fatto che non abbia assolutamente visto passare tutte quelle persone, nonostante mi fossi fermato a telefonare su quella che mi era sembrata essere l’unica porta di accesso. Guadagno la via per il tavolo, mi siedo, si avvicina una signora che mi saluta cordialmente, è l’organizzatrice dell’incontro: «Buonasera professore, sono Cristina, ci siamo sentiti telefonicamente, se per lei va bene attendiamo cinque minuti, la tombolata nell’altra sala del centro è appena finita».

Volgo lo sguardo verso l’assemblea con in testa quella parola, «tombolata», inizio a notare ovunque persone anziane, alcune davvero molto anziane. «Ah, avete giocato a tombola?» dico sorridendo alla signora Cristina. «Sì, qui al centro anziani a dicembre lo facciamo ogni venerdì» mi risponde. «Centro anziani» ripeto io meccanicamente, «e quanti anziani ci sono qui al centro anziani?» aggiungo sorridendo, ma in realtà nella mia mente rimbomba questo pensiero: «Sono in un centro anziani? Ma mica me l’avevano detto! E adesso che gli dico? Ma che capiscono della relazione che ho preparato? Questi a malapena hanno utilizzato il telefono della Sip, come glielo spiego come funziona la viralizzazione di un post?!».

«Sì certo, ci sono molti anziani, abbiamo anche diversi novantenni! Sa professore, durante la riunione del gruppo che organizza gli eventi è venuta fuori l’idea di farne uno per capire come funzionano questi impiastri a cui stanno sempre appiccicati i nipoti, così abbiamo chiesto e ci hanno consigliato il suo nome». «Benissimo – rispondo solare -, proveremo a dire qualcosa sugli smartphone (gli impiastri) che sia comprensibile a tutti» ma in realtà sprofondo nella certezza che di quello che ho preparato nessuno realisticamente capirà una virgola. «Pazienza – mi ridico -, provo a dire le cose semplicemente, se poi non capiranno non sarà colpa mia ma di chi ha organizzato».

Inizia la conferenza, mi sforzo di essere semplice, spiego ogni passaggio che potrebbe essere ostico, a tratti sento alcune espressioni davvero troppo lontane, a tratti sento comunque un’attenzione partecipe, fatto sta che riesco a parlare per circa un’ora con la sensazione di non essere stato proprio un marziano. «Ringraziamo il professore per l’interessantissima lezione – dice soddisfatta la signora Cristina -. Se qualcuno volesse chiedere qualcosa o chiarire qualche dubbio ora può, del resto le informazioni sono state tante e certo anche un po’ lontane dalla nostra esperienza».

Intervengono un paio di persone. Una signora fa una prevedibile tirata apocalittica all’insegna del tutto è perduto. Ci sta. Un altro fa i complimenti ma mi rimprovera di avere parlato troppo velocemente. Quando la signora Cristina sta per sciogliere l’assemblea nei saluti finali alza la mano un signore distinto (e davvero molto anziano) che per tutto il tempo mi ha osservato dalla prima fila. Mi dice queste parole, che riporto qui a memoria:

«Caro professore, io la ringrazio tanto per la sua conferenza. Come lei immaginerà noi tutti abbiamo nipoti che usano questi telefoni e certo noi non ci capiamo proprio niente di questi arnesi. Io comunque qualche messaggino lo mando, sono uno che si aggiorna, ecco il mio cellulare. Io professore non potrò imparare mai tutte le cose che ci ha spiegato e forse nemmeno mio figlio e la mia nuora possono farlo per tenere a bada il mio caro nipote. Questi figli saranno sempre più avanti, sa professore, ci sono nati con gli arnesi in mano! Ma una cosa io la posso e la devo fare professore: io a mio nipote so insegnare la speranza. E lo faccio ogni volta che lo vedo. Ci parlo e gli insegno la speranza. Io vengo dalla guerra sa professore? E glielo dico sempre a mio figlio quando si lamenta di continuo di mio nipote che certo che lo deve riprendere, che certe cose non stanno bene, ma che non deve togliergli la speranza. Guai! Hanno una vita davanti, pensi che bellezza! Perché sa professore, a volte questi ragazzi mi sembrano tristi ma io non penso perché ci sono tutti questi pericoli tecnologici. Io penso invece che il vero pericolo per loro sono quelli che non gli insegnano più la speranza. Questi genitori mica la insegnano la speranza, e nemmeno la scuola! Lei la insegna la speranza? E la speranza caro professore serve anche per questo mondo digitale che lei tanto gentilmente ci ha spiegato. La speranza è come il pane professore, e per i figli il pane è ancora più necessario. La speranza professore! Non se la scordi mai!».

Resto in silenzio, non riesco a dire che un «grazie», partecipo a un applauso per niente retorico ma carico di senso. Un applauso nitido nell’indicare una direzione seria e precisa a chiunque, genitore o educatore che sia, abbia anche quest’anno il privilegio di accompagnare i nostri ragazzi nel mistero sorprendente della vita. A tra quindici giorni.